Manifesta per la libertà, contro il regime iraniano: Sarina Esmailzadeh uccisa a colpi di manganello

Manifesta per la libertà, contro il regime iraniano: Sarina Esmailzadeh uccisa a colpi di manganello

Sarina Esmailzadeh, appena sedicenne, era un’adolescente in cerca di libertà, contraria all’obbligo dell’hijab e si interessava molto ai problemi sociali del popolo iraniano. Amava discutere dei diritti delle donne. Era piena di energia e ballava senza il velo con un ragazzo di poco più grande di lei. Lo faceva nel chiuso della sua stanza, davanti alla videocamera del suo computer o ripresa dal suo smartphone.

“Invece di chiamarci contestatrici ci chiamano provocatrici”, diceva, rivolta ai follower del suo canale YouTube, su Telegram e Instagram.

“Ci prendono di mira, anche se siamo a mani nude. Ci colpiscono, ci torturano, ci stuprano, ci accecano o ci ammazzano. Ci hanno stuprate nelle prigioni e torturate anche psicologicamente per spingerci al suicidio una volta uscite dal carcere e, dopo che ci hanno uccise, la tortura colpisce le nostre famiglie, i nostri genitori per indurli a dichiarare che invece siamo morte perché ci siamo suicidate, lanciandoci nel vuoto o perché drogate o ammalate”.

La rivoluzione in Iran, “Donna, Vita, Libertà”, nasce da una lunga storia di movimenti per i diritti delle donne e di attivismo all’interno e all’esterno del paese. Le cittadine iraniane da anni elaborano strategie per sfidare la discriminazione di genere, sia in politica che nella società. Nata e guidata da donne, la rivolta attraversa le divisioni di genere, di classe ed etnia e rappresenta la più seria sfida popolare ai leader teocratici e all’autoritarismo.

A scendere nelle piazze è soprattutto la “Generazione Z”, quella che non ha nulla da perdere; una generazione che rifiuta l’ipocrisia di vivere la libertà solo nello spazio privato e la rivendica ovunque, a cominciare dallo spazio pubblico.

Quella iraniana è anche per questo una rivoluzione nata dalla periferia, dagli ultimi, dalle minoranze delle più remote province del paese e subito divampata nei centri urbani con le donne protagoniste, con la generazione dei ventenni, con gli studenti a cui si sono uniti operai e lavoratori di settori produttivi strategici, che sta rivelando una inedita sintonia tra strati della società da sempre distanti, ma che ora sembrano uniti nella comune alta richiesta di libertà.

Quel che accade in Iran dal 16 settembre 2022 è un evento epocale anche perché allontana la preoccupazione che esisteva fino a poco tempo fa che faceva immaginare un destino per l’Iran drammatico.

Il paese, lacerato lungo linee di frattura etnica e religiosa, faceva presagire la possibilità di una sua balcanizzazione per le profonde divisioni esistenti. Fino a poco tempo fa si temeva che il centro e la periferia avrebbero finito per scontrarsi brutalmente. Fortunatamente sta accadendo il contrario. Grazie alle donne e ai giovanissimi.

La mamma di Sarina si sarebbe tolta la vita, impiccandosi poco dopo aver appreso che le forze di sicurezza iraniane avevano picchiato sua figlia fino alla morte. L’adolescente è stata uccisa da un duro colpo di manganello infertole sulla testa dai miliziani volontari pasdaran dei Guardiani della rivoluzione islamica durante una manifestazione anti regime a Karaj, pochi giorni dopo l’uccisione di Jîna, Mahsa Amini, la ventiduenne curda-iraniana picchiata fino alla morte dalla cosiddetta “polizia morale” di Tehran per presunta violazione del rigido codice di abbigliamento islamico.

Dopo la fine del suo corso di lingua, Sarina si era unita a un raduno di studenti nei pressi della sua scuola per sostenere le proteste.

Durante la manifestazione gli agenti di sicurezza l’hanno colpita violentemente alla testa facendola sanguinare copiosamente.

Le sue amiche l’hanno portata per le cure in una delle abitazioni vicine al luogo dell’aggressione poiché non c’erano le condizioni per il suo trasferimento in ospedale, ma Sarina non ce l’ha fatta ed è morta lì, dissanguata.

Il 23 settembre 2022, intorno alle ore 12, le forze di sicurezza hanno chiamato i familiari di Sarina chiedendo loro di recarsi rapidamente al cimitero per ricevere il corpo senza vita della ragazza e per poter procedere al “ghusul”, l’abluzione secondo il rito islamico che prescrive che il corpo del defunto venga disinfettato e pulito da tutte le impurità visibili.

Affinché la sua famiglia identificasse Sarina, le forze di sicurezza hanno mostrato il suo volto, che ha rivelato numerose ferite; la parte destra della fronte della ragazza era completamente fracassata.

Dopo la sua sepoltura, Hossein Fazeli Harikandi, il capo della magistratura di Alborz, ha affermato che la giovane si sarebbe suicidata lanciandosi dal tetto della casa di sua nonna ad Azimieh, a Karaj, la mattina del 23 settembre.

I pasdaran hanno minacciato sua madre dicendole che non avrebbe mai visto il fratello di Sarina nel caso in cui non avesse suffragato la versione fornita dalle autorità iraniane.

I pasdaran avevano deriso la mamma straziata dal dolore, dicendole che sua figlia era immorale, che era una terrorista perché teorizzava sui social uno stile di vita come quello occidentale. La famiglia stava cercando da due giorni Sarina che non aveva fatto ritorno a casa dal 21 settembre, giorno della sua morte. Dopo averne finalmente visto il corpo martoriato, sua madre, vessata dai pasdaran nel tentativo di metterla a tacere affinché non rivelasse la causa reale della morte di sua figlia, è tornata a casa dove si sarebbe impiccata.

I genitori dei manifestanti uccisi dalle forze paramilitari volontarie chiamate basij che desiderano seppellire i propri figli sono spesso soggetti a severe normative da parte delle autorità iraniane e a un ricatto: quello di poter ottenere la restituzione del corpo del congiunto morto solo in cambio del silenzio.

Sarina era orfana di padre dal 2013, da quando aveva appena sei anni, e viveva con sua madre e col fratello maggiore. La sua mamma era gravemente malata, aveva un tumore al cervello. La ragazza è stata sepolta in una tomba a due piani accanto a suo padre Aref nel cimitero di Behesht Sakineh di Karaj.

Nel quarantesimo giorno dalla sua morte, i compagni di classe di Sarina hanno tenuto una cerimonia commemorativa e hanno rimosso la foto di Khamenei dalla parete della loro classe affiggendo al suo posto la foto della loro compagna. Una sua amica ha scritto sul account Telegram: “La primavera sta arrivando. Anche se ci uccidi, anche se ci tagli la testa, anche se ci colpisci, cosa farai con gli inevitabili germogli?”

Su Telegram e YouTube la giovane ripeteva ai suoi fan: “Non siamo come la generazione precedente, quella, di 20 anni fa, che non sapeva com’era la vita fuori dall’Iran. Noi siamo consapevoli di ciò che accade oggi nel mondo e ci chiediamo cosa abbiamo in meno rispetto agli altri adolescenti che vivono in altri paesi. Perché dobbiamo soffrire costrette a vivere una doppia vita, quella pubblica in cui dobbiamo celare la nostra identità e quella privata nel chiuso delle nostre stanze?”

Nel suo ultimo video su Telegram, Sarina, ha pronunciato queste parole: “Mi sembra di essere in esilio nella mia stessa patria”.

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