Fisc(hi)o

Fisc(hi)o

Il senso dell’incontro a Palazzo Chigi è chiaro e positivo: il governo non può arretrare, rispetto al programma esposto in tema di giustizia, al tempo stesso non può avanzare rompendo a testate il fuoco di sbarramento acceso con polemiche strumentali e infondate, provando a mettere in bocca al ministro Nordio cose che non ha mai detto, quindi ribadisce gli obiettivi e il punto più rilevante e decisivo, ovvero la separazione delle carriere oltre quanto già disposto dalla riforma Cartabia, ma abbassa i toni, allunga i tempi e apre al dialogo. L’ultima cosa è anche una perfida ironia, visto che il ministro è magistrato da una vita e lo rimarrà intellettualmente a vita, diciamo che farà un giro d’ascolti fra le correnti, mentre il problema politico vero resta in capo al Partito democratico: se non coglie l’occasione di dare una mano a un’impostazione civile e responsabile, non prona alle corporazioni, si ritroverà in futuro, magari con diverso nome, prigioniero di quel che ancora lo tiene in vincoli.

Sul fronte della scuola, dopo avere iscritto il “merito” nella carta intestata ministeriale, si trovano a dover guadare il fiume del rinnovo contrattuale. Se riusciranno a metterci meccanismi e somme premiali per gli insegnanti meritevoli, avranno fatto un ottimo lavoro. Altrimenti potranno contare sul trofeo impagliato che ogni ministro mette sulla propria scrivania: la modifica degli esami di maturità. La più inutile, frequentata e velocemente abbandonata riforma della storia, dal 1861 ad oggi. Avere approcciato il tema con l’evocazione delle gabbie salariali, quando le scuole meno qualificate si trovano dove il costo della vita è inferiore, è stato gesto di generosa imperizia. Circa i rapporti internazionali, la solidarietà atlantica e la collocazione europea, conti e vincoli compresi, siamo nel campo della continuità. Come è bene che sia. Certo che si possono introdurre novità (magari si riuscisse a stabilizzare la Libia, il che comporta sintonia con Francia e Ue, ma anche sponda Usa per gli altri Paesi coinvolti nell’area), ma non modificherebbero la sana continuità. Chi temeva o sperava in sfracelli, ne prenderà
atto.

Il tema su cui il governo può far risuonare un fischio di scossa e novità, conciliando la propria identità politica con l’assennatezza delle proposte, il tema su cui, al tempo stesso, potrebbe sentirsi un fischio di fine dei giochi preliminari, è quello fiscale. Sì, è vero che il punto di partenza è la “flat tax”, che non ci sarà, ma qui le riforme di oggi possono camuffarsi con la propaganda di ieri, lavorando sulla “flat” per questo o quel gruppo di contribuenti, per un determinato reddito o un altro, che è l’opposto della “flat”, in realtà è un regime forfettario come altri già ne sono stati varati, ma il travestimento può riuscire. Più interessante quel che viene presentato come uno stadio di passaggio, ma è in sé già sostanza, ovvero la riduzione del numero delle aliquote.

In qualsiasi modo lo si realizzi comporta che, nelle aree a cavallo dell’aliquota cancellata, ragionevolmente le intermedie, qualcuno pagherà di meno e qualcuno dovrà pagare di più. Non meno interessante vedere come ci si muoverà sul lato delle detrazioni e degli adempimenti, in modo che il fisco non sia oltraggioso oltre che esoso. Il governo non potrà permettersi sgravi che generino un calo delle entrate e quando tocca riformare “a gettito costante” è evidente che non si susciterà la felicità, ma sarebbe già molto la ragionevolezza e la serenità. Il governo prenda il tempo necessario. Non senta la fregola dell’intervista e dell’annuncio. Non consenta la gara di visibilità fra colleghi ministri e fra alleati di maggioranza. Energia sprecata che consuma le batterie. Fin qui è stata proprio la moderazione nell’esibizione a farne il tema più promettente e affidabile. Cancellare un’aliquota non è la rivoluzione, ma è un apprezzabile gesto verso quei (troppo pochi) italiani che pagano il conto per tutti.

 

La Ragione

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