Separazione carriere, un successo la raccolta delle firme

Separazione carriere, un successo la raccolta delle firme

Prosegue con successo in tutta Italia la raccolta di firme per la presentazione di una legge di riforma costituzionale per la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici promossa dall’Unione delle Camere penali alla quale hanno già aderito il Partito Radicale, la Fondazione Einaudi e i liberali italiani.

Oltre 41.000 delle 50.000 firme necessarie sono già state raccolte, non solo nei Tribunali ma soprattutto nelle piazze e nelle strade delle nostre città, da Bolzano a Patti, da Brindisi a Bologna e in tante altre zone.

Un segnale forte del fatto che la società civile è spesso più avanti della politica, e che un tema apparentemente arduo che riguarda l’organizzazione della giustizia penale sia invece immediatamente compreso da tutti i cittadini, i quali percepiscono come una anomalia il fatto che, in un processo penale, colui che giudica e colui che accusa siano colleghi ed appartengano allo stesso ordine.

La necessità di avere un giudice “terzo” come sta scritto nell’art. 111 della nostra Costituzione riguarda, infatti, da un lato la sostanza del ruolo del Giudice, ma dall’altra anche la forma, perché un giudice separato da colui che rappresenta l’accusa non è più visto con sospetto e trova la necessaria legittimazione dall’intera collettività.

Come tutti sanno, infatti, non è sufficiente che un giudice sia imparziale in quanto deve anche apparire tale, non solo a colui che è giudicato ma anche davanti all’intera società.

La proposta dell’Unione Camere penali italiane sulla separazione delle carriere, secondo il comunicato emesso di recente dall’Anm, mirerebbe, tuttavia, a “stravolgere l’intero impianto costituzionale” in quanto inciderebbe non solo sull’organizzazione ordinamentale della magistratura, ma anche sulla sua composizione e sul suo governo autonomo.

Ma se da un lato è vero che la proposta incide su tali aspetti ed anche su quello relativo all’applicazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, non può certamente affermarsi che si tratti di uno “stravolgimento” mirando, al contrario, tali riforme a risolvere alcuni evidenti ritardi del nostro sistema e a rimediare ad alcuni squilibri che affliggono la giustizia penale e non getta affatto le basi, come si legge, nel comunicato, per l’assoggettamento dell’ordine giudiziario al potere politico.

Come è noto, infatti, in tutti i paesi europei le carriere di pubblici ministeri e dei giudici sono nettamente separate e questo non significa affatto che i procuratori nei diversi sistemi siano privi della necessaria autonomia ed indipendenza.

Qualità che sarebbero peraltro nell’ambito della riforma certamente valorizzate essendo prevista la formazione di due distinti consigli superiori, uno facente capo alla magistratura requirente ed uno alla magistratura giudicante, con una soluzione che appare perfettamente in linea con quanto auspicato dagli organismi europei (The Role of public Prosecution in the Criminal Justice System, 2000).

Anche per quanto concerne l’obbligatorietà dell’azione penale, occorre chiarire che la proposta di riforma costituzionale non tende affatto a “sopprimere uno dei principi cardine del nostro sistema” bensì di affidarne semplicemente la corretta modulazione alla legge e al Parlamento.

È noto, infatti, che nel nostro sistema è invalsa la “prassi” certamente incostituzionale secondo la quale sono le singole procure e i singoli Procuratori Capo a decidere (con o senza l’adozione di apposite circolari) quali siano i reati da perseguire e quali no, arrogandosi di fatto un potere discrezionale e arbitrario che non è previsto da alcuna legge.

Ricondurre questo potere al Parlamento significa razionalizzare e rendere trasparente una scelta che non può che appartenere alla politica. Nessuno vuol davvero “segregare” i pubblici ministeri, ma solo creare un ordinamento che realizzi la terzietà del giudice come ineliminabile fondamento del giusto processo, ricordando che la cosiddetta “unità della giurisdizione” era un concetto proprio dello stato autoritario che è oramai tempo di superare, in favore di una organizzazione della giustizia penale più moderna e più efficiente che recuperi la necessaria trasparenza dell’azione della intera magistratura, restituendole davanti agli occhi di tutti i cittadini una nuova immagine ed una rinnovata credibilità. [spacer height=”20px”]

Francesco Petrelli (Segretario dell’Unione Camere penali italiane), Il Tempo 18 giugno 2017

 

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