Anche quest’anno stessa spiaggia e stesso mare. Ma soprattutto stessi privilegi. Peggio: privilegi rinnovati e addirittura ampliati. C’è una categoria che seguita a beneficiare di condizioni di rendita assurde: i balneari. E, se possibile, lo fa oggi con ancora maggior convenienza grazie al nuovo decreto firmato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Tale provvedimento, appena varato, riduce in modo sostanziale i canoni demaniali marittimi ovvero i corrispettivi dovuti allo Stato per l’occupazione delle spiagge: per le aree scoperte passano da 3,3 a 2 euro al metro quadro, quelli per le aree attrezzate da 5,5 a 3,4 euro e per le aree di maggior valore economico si scende da 7,3 a 4,5 euro. Un intervento che arriva mentre lo Stato continua a registrare una morosità media del 25% sulle concessioni (30 milioni di euro annui) e che porta il gettito complessivo da 120 a 74 milioni di euro. Una perdita secca che neppure si sforzano di nascondere. Tutto in nome dei voti.
L’assennatezza è evidente: mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti parla di tagli della spesa, lo stesso governo e lo stesso partito regalano ai balneari un trattamento di favore che non ha eguali in Unione Europea. La Commissione Ue lo sa, l’ha detto e ridetto che le concessioni andrebbero messe a gara, secondo quanto previsto dalla direttiva Bolkestein. Nel nostro Paese invece le gare si rinviano da oltre un decennio, con la scusa delle proroghe. La questione è però ben più profonda. L’Italia è da anni in violazione della direttiva 2006/123/CE, una norma europea che abbiamo formalmente recepito ma di fatto costantemente eluso prorogando quelle esistenti, spesso senza alcuna selezione competitiva. La Corte di Giustizia dell’Ue e il Consiglio di Stato ci hanno più volte tirato le orecchie in quanto le proroghe sono illegittime e la scadenza ultima resta fissata al 31 dicembre 2023. In teoria da quest’anno dovrebbero partire le gare; in pratica ci si muove ancora a rilento o si reintroducono benefici economici difficilmente giustificabili.
Non è normale che uno stabilimento balneare paghi allo Stato quanto un normale dipendente versa all’Irpef. Questa è una fotografia che racconta l’iniquità del sistema: rendite elevate, bassissimo contributo alla finanza pubblica e accesso bloccato per nuovi gestori che potrebbero offrire servizi migliori e, come spesso capita, al miglior prezzo. Pur promettendo che il 2025 sarà «l’ultimo anno» delle proroghe (e noi lo speriamo vivamente), il decreto Salvini introduce un sistema tariffario che di fatto continua a premiare i concessionari attuali, senza risolvere le gravi distorsioni del mercato. Anziché valorizzare il demanio e aprire alla sana e leale concorrenza, si ‘scontano’ ulteriormente i prezzi a vantaggio di chi già sfrutta quei beni in assenza di una trasparente procedura pubblica.
Tutto questo preoccupa anche chi non gestisce alcuno stabilimento, dal momento che si tratta di risorse pubbliche sottoutilizzate, di un mercato bloccato e di un principio di equità fiscale sistematicamente violato. In Europa le spiagge sono gestite tramite gare pubbliche e a valori di mercato. Da noi restano appannaggio di pochi, spesso da generazioni, senza concorrenza e a prezzi simbolici. Il vero riformismo non sta nelle misure populiste, ma nel ristabilire regole eque per tutti. Rispettare la direttiva Bolkestein, mettere a gara le concessioni, adeguare i canoni al valore di mercato sono i passi di una politica economica seria. Il resto è soltanto rendita assistita.
La Lomellina