Una bussola morale in tempi di disordine e illiberalità

Una bussola morale in tempi di disordine e illiberalità

La crisi dell’Occidente ha risvegliato antichi istinti imperialistici. L’Europa c’è, ma non suscita emozioni, non evoca appartenenze. Tutto questo incoraggia le persone, le società e gli stati a logiche e comportamenti illiberali. Mai come oggi si avverte il bisogno di un metodo politico, di una radice culturale. Un funzione storica per istituzioni come la Fondazione Luigi Einaudi

Un mondo senza ordine, un Paese senza bussola. È questa la realtà che i tempi ci impongono. Siamo, letteralmente, all’Anno Zero. L’Italia esce a fatica da una conclamata crisi di sistema e affronta l’inizio di un ciclo politico nuovo senza che l’offerta politica e l’assetto istituzionale si siano minimamente rinnovati.

Oltre confine regna il caos. È come se i ghiacci della Guerra fredda si fossero scongelati oggi e non nel 1991. Un vecchio ordine è morto, un nuovo ordine non è ancora nato. Le liberaldemocrazie annaspano. Si pubblicano ormai da anni libri in cui autorevoli studiosi descrivono, più o meno minuziosamente, la “crisi del potere” piuttosto che la “crisi della democrazia”, per non dire della crisi “delle vocazioni”.

Di sicuro ad apparire in crisi (di identità) è l’Occidente. E la crisi dell’Occidente ha risvegliato antichi istinti imperialistici. Non oggi, ma nel 2007, Vladimir Putin ha dichiarato guerra ai valori liberaldemocratici su cui si fonda la cultura occidentale, la nostra cultura. Xi Jinping lo ha fatto poco dopo, nel 2012. Con la forza delle armi piuttosto che con la forza dell’economia, l’impero russo e l’impero cinese erodono spazi vitali all’Occidente, mentre la Turchia di Erdogan ricostruisce tassello dopo tassello il vecchio impero Ottomano sotto quelle antiche insegne islamiche che Kemal Ataturk, prudentemente, ripiegò un secolo or sono.

L’Europa c’è; era e resta l’unica possibile salvezza degli stati nazionali europei, e in modo particolare degli stati fragili come l’Italia. L’Europa c’è, ma non suscita emozioni, non evoca appartenenze e vive solo nel momento estremo in cui rischia di soccombere a crisi tanto improvvise quanto globali.

Tutto questo incoraggia le persone, le società e gli stati a logiche e comportamenti essenzialmente illiberali. Un progressivo ritorno allo stato di natura. È presente il rischio che i già colossali problemi interni e internazionali vengano aggravati, per superficialità o per demagogia, sopravvalutando il ruolo dello Stato.

Mai come oggi, dunque, si avverte il bisogno di una bussola “morale”, di un metodo politico, di una radice culturale. Mai come oggi si avverte la penuria di quei fattori che fecero di Luigi Einaudi l’indimenticato “Presidente della ricostruzione”: il realismo, la competenza, l’equilibrio, la predisposizione al confronto, il senso profondo delle Istituzioni, il metodo liberale.

C’è, però, un problema. Quei soggetti cui un tempo era demandato il ruolo di officine della cultura, del ceto e della prassi politica sono tutti, e non da oggi, in crisi. Sono in crisi i partiti politici, sono in crisi i giornali, sono in crisi (di astinenza da oppio) gli intellettuali, sono in crisi i parlamenti, esautorati dai governi e delegittimati dai media. E con il parlamenti è in crisi la Politica tutta.

Tanti vuoti, vuoti di democrazia. Vuoti da colmare.

Mai come oggi, dunque, istituzioni come la Fondazione Luigi Einaudi, di cui sono stato appena nominato Segretario Generale, sono investite di una funzione che non è esagerato definire “storica”: offrire una bussola e indicare una rotta ad una politica sempre più disorientata e ad una società sempre più confusa. Per quanto ci riguarda, lo faremo, al solito, tenendo alto il nome di Luigi Einaudi e attualizzandone gli insegnamenti attraverso studi, convegni, progetti, analisi economiche, politiche e sociali.

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