La bufala-spread del referendum E il debito cresce

La bufala-spread del referendum E il debito cresce

Dopo mesi passati a pendere dalle sue bizze, lo spread era stato seppellito nel silenzio. Da tempo è tornato a farsi sentire, anche se solo ora anche altri se ne accorgono. Sostiene il Sole24Ore che il nostro è superiore a quello spagnolo a causa del referendum costituzionale. Evitiamo di prenderci in giro. Ed evitiamo di sostenere che il confronto referendario deve essere sereno e nel merito, salvo abbandonarsi all’idea che da quello dipenda lo spread, quindi la sicurezza dei nostri conti. È per quei conti che gli investitori ci guardano con sospetto e ci chiedono più soldi, non per il referendum.

Rispetto alle due fiammate, nel 2011 e nel 2012, l’odierna differenza fra i tassi d’interesse che i tedeschi pagano sul loro debito pubblico e quelli che paghiamo noi è assai più contenuta. Volteggia attorno ai 130-140 punti base (fu più di 500). Ma è un po’ come la febbre: se il termometro segna 40 la faccenda è grave, se segna 37 è roba da poco. Ma se hai inghiottito quantità impressionanti di paracetamolo e il termometro continua a salire fino alla zona rossa, è segno che l’infezione in atto è potente. Il nostro spread si trova sulla parte bassa del termometro, ma solo grazie alla Bce e alla sua politica monetaria. Fossimo fuori da quella protezione lo sfonderemmo, il termometro.

Tanto stanno così le cose che la situazione italiana è da tempo rimproverata a Mario Draghi: lo vedi che comprare tempo serve a poco, illudendo che si possa andare avanti senza cambiare musica? Il cielo non voglia che la posizione di Draghi s’indebolisca. A dimostrazione di quanto la faccenda sia seria, c’è lo spread dello spread, ovvero il differenziale fra il nostro e quello spagnolo. In condizioni normali sono gli spagnoli a dover pagare di più, per accudire il loro debito. Questo perché, al di là di tante chiacchiere, noi italiani siamo ottimi pagatori, storicamente più affidabili dei tedeschi. Abbiamo un sistema produttivo in pesante affanno, ma di gran lunga superiore a quello spagnolo. Così come patrimoni pubblici e privati imparagonabilmente più alti. Perché allora come nel 2011/2012 il nostro spread torna a superare il loro?

Perché se il presidente del Consiglio annuncia che è ora di finirla con l’austerità, chi sa far di conto e opera sui mercati chiede: quando era cominciata? Mai, dato che lo Stato ha continuato a spendere più di quanto incassa. Mai, visto che le politiche monetarie europee sono espansive e i tassi d’interesse al suolo. Cresce, la preoccupazione verso l’Italia, perché dopo avere detto che avremmo contenuto il debito non per i parametri europei ma per i nostri figli, non ha mai smesso di crescere. Con tanti saluti a figli e nipoti.

E se il governo presenta i conti sostenendo che quadreranno grazie a maggiore gettito fiscale per 8,5 miliardi (ovviamente presi ai cattivi e agli evasori, ma pur sempre maggiore pressione fiscale laddove se ne prometteva la riduzione); grazie a un maggiore deficit per 6,2 miliardi, quindi promettendo ancora maggiore debito in capo ai pargoli; e grazie a tagli della spesa pubblica per appena 2,6 miliardi, così stabilendo che la spending review è un genere letterario, non una politica reale, se il governo dice queste cose chi ha orecchie per intendere conclude: questi non hanno capito che aria tira e pensano di andare avanti così per l’eternità, incapaci di modificare alcunché.

Sono convinti che il deficit tutto sta a farlo votare dal loro Parlamento (che corre giulivo) e deglutire alla Commissione europea, mentre il problema è un altro: trovare chi ci mette i soldi. Quindi: chiediamo più soldi per finanziare la loro irresponsabile continuità. A ciò conduce la Repubblica dei bonus (a nulla).

Il referendum non c’entra niente. Ieri il Financial Times s’interrogava sull’Italia, ma mica sulla Costituzione, bensì sulla tenuta del sistema bancario, con particolare riferimento alle Popolari. Sono mesi che la divaricazione degli spread va avanti, nella distrazione generale. Qui si fa finta di credere che gli altri abbocchino alle riforme epocali già fatte, ma son bubbole spese in prima serata e dissolte già in prima mattinata. Quando i mercati aprono.

Davide Giacalone, Il Giornale 15 ottobre 2016

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