Fondamentalismo, pace e libertà

Fondamentalismo, pace e libertà

Man mano che il tempo passa, emerge più netto il grande problema culturale del come fronteggiare la pratica fondamentalista. Che continua a crescere ovunque nella logica della società chiusa: cioè attorno all’autorità delle sue certezze sovrastanti il cittadino. Fronteggiarla è un problema innanzitutto dei laici, dal momento che, della società chiusa e autoritaria, i laici sono i nemici più coerenti nei principi e più attrezzati nei metodi per sgretolarla.

Sino ad ora i criteri laici sono stati poco utilizzati nel contrasto al fondamentalismo. Gli approcci alle tragedie fondamentaliste sono stati diversi ma tradizionali. In una prima fase si è reagito come se si trattasse di attacchi folli di sparuti nemici armati, in una fase successiva considerando il fondamentalismo derivato da una diffusa protesta sociale antiglobalizzazione , in una fase ulteriore ritenendolo causato  da lotte di religione in parte interne all’islam ed in parte esterne contro gli infedeli cristiani, e nella fase più recente provando ad arginare il fondamentalismo da un lato combattendo sul piano militare l’Isis e dall’altro intensificando il sistema di controlli preventivi sulle relazioni interpersonali nei territori estranei all’Isis.

Quanto fatto nella fase più recente è realistico, e quindi, finché non  contraddice le premesse, rientra nell’impostazione laica (se ne possono discutere le modalità ma non lo stare ai fatti limitando la possibilità di danni più immediati al convivere), però non configura una strategia laica compiuta. Nonostante ciò, il realismo di questa fase va già oltre i criteri delle fasi precedenti, perché antepone in qualche modo le esigenze del convivere rispetto alle parole d’ordine delle comunità a sfondo ideologico o religioso: tipo, la supremazia da confermare, nella prima fase, la sociologia pauperistica poi, le lotte religiose dopo. Non per caso, proprio ora il Papa ha lanciato un richiamo rilevante sotto il profilo dei valori religiosi. Ha detto che  oggi c’è una guerra, ma non è una guerra tra religioni poiché tutte le religioni vogliono la pace. Riflettere su cosa significhi il richiamo, è utile per il contrasto laico al fondamentalismo.

Le tragedie fondamentaliste in Europa avvengono in contemporanea alla campagna condotta da anni dalla Chiesa cattolica a sostegno delle migrazioni verso l’UE, motivata con il compito messianico di  accogliere chi cerca di sfuggire alla violenza, all’oppressione e alla fame. In questa campagna traspare la tendenza a trattare i problemi di vita senza affrontare in chiave civica le interrelazioni tra cittadini nello stesso territorio, in partenza e in arrivo. Una tendenza presente non solo in luoghi arretrati quanto a struttura democratica ed economica ma anche laddove tali strutture sono di livello assai più evoluto.  E che ha un nucleo evidente: gestire le questioni del convivere attraverso i precetti e gli insegnamenti del Dio tramite il suo rappresentante in terra, e quindi attraverso l’autorità della gerarchia che predica sovrapponendosi al cittadino, partecipe solo per riconoscersi nella verità divina e non per scegliere i modi effettivi del convivere.

Per questo  il principale messaggio cattolico è quello della pace e non quello della libertà del cittadino. Così si trascura l’esperienza storica – la pace non porta alla libertà mentre la libertà promuove  la pace – per il fatto che l’esperienza non parte dalla verità divina e non ne è sperimentalmente determinata (così come la libertà avanti tutto si fonda sulla diversità di ciascun individuo e di ciascun territorio); epperò la pace avanti tutto crea un clima comunitario adatto ai sogni mondialisti e alle politiche di rivendicazione a scapito del costruire intorno al cittadino le strutture per convivere: un clima funzionale al seguire l’autorità che predica la soddisfazione dei bisogni anche dei più poveri e trascura la necessità delle risorse e del produrre, evoca un futuro luminoso in terra e proclama la sicurezza nell’ordine della volontà divina.

Così inquadrate, le parole di Francesco sono più chiare. Affermare che  le religioni sono  per natura pacifiche e quindi contro il fondamentalismo, equivale ad una cauta difesa.  Perché, a parte la sua molto discussa fondatezza per il passato, riconferma la concezione imperniata sul criterio della pace quasi per esorcizzare l’irrobustirsi dell’attenzione civile ai fatti della convivenza e all’impegno per limitare i danni materiali arrecati ai singoli cittadini dal fondamentalismo.  Insomma, si ripropone il tradizionale armamentario irenico giudicato ancora  più efficace  e convincente, nonostante i ripetuti fallimenti di fatto, che non l’impegnarsi nel promuovere un po’ alla volta sviluppi culturali autonomi per ogni cittadino e sviluppi normativi che agevolino l’instaurarsi di relazioni interindividuali aperte per meglio usare le risorse e per produrre.

Il punto sta qui. Quella dichiarazione del Papa vuole evitare che si superi l’antica concezione religiosa della lotta tra il bene e il male e che si scelga l’impegno istituzionale sulla libertà dei cittadini (che abbaglia meno ma è assai più fecondo). Perché, se tutte le religioni vogliono la pace e sono il bene mentre il fondamentalismo è il male e provoca la guerra, allora si resta alle dispute antiche e non muta il ruolo della religione cattolica di far riconoscere con il proselitismo  la verità di fronte ai mali del mondo e di relegare gli aspetti militari e polizieschi nel novero delle debolezze umane sterili. Se invece si riconosce che il fondamentalismo non è il male ma una teoria dei rapporti civili fondata sull’imporre un modo d’essere ai singoli cittadini (più penetrante se religioso, autoritario, non  sperimentale), il cominciare a contrastare la teoria, oltre che in termini militari e polizieschi,  sul piano degli sviluppi culturali e normativi dei cittadini e delle relazioni tra di loro e con il mondo (che è la fisiologica propensione laica), finirebbe per spingere in un angolo le ricette religiose, in quanto non  ispirate ai quei principi e soprattutto ne tarperebbe il ruolo di riferimento nel determinare la politica pubblica.

Perciò,  la frase che oggi non si tratta di guerre religiose, serve a sorvolare sul fatto che lo scontro con il fondamentalismo non verte sulla  fede o sulla paura bensì su una diversa concezione del modo di convivere tra cittadini individualmente diversi. Di fatti, la vera causa del pericolo attentati non è  il terrorismo  ma il disegno fondamentalista, che sfida apposta idee ed istituzioni imperniate sul libero esprimersi di ciascun individuo. E’ questo principio che il fondamentalismo vuole distruggere.  Perché, al contrario del conformismo fideista di potere che è l’anima fondamentalista, il principio della libertà individuale fa del conoscere sperimentale e dello spirito critico di ciascuno, gli strumenti essenziali per migliorare le condizioni di vita dei rispettivi cittadini.

La vera battaglia contro il fondamentalismo si combatte sviluppando,  sempre e dappertutto, la diversità, il cambiamento e l’interagire tra i diversi con il conflitto democratico nella libertà. Quindi non va confuso l’impegno militare e poliziesco contro l’Isis con una repulsa verso l’Islam o con il negare che i musulmani laici (in particolare quelli europei) sono le prime vittime dell’Isis. Non va confuso l’impegno decisivo – che è quello di far maturare dovunque i sistemi per educare gli individui e rimanere legati ai fatti del mondo – con l’enfatizzare la nostra civiltà spettacolarizzandola. Essa, in quanto incline alla libertà dei suoi componenti, non esclude componenti disattente alle problematiche della diversità e del cambiamento (ad esempio le impostazioni del pacifismo mondialista) che non ostacolano davvero il fondamentalismo.

Appartenere alla civiltà occidentale non garantisce il contrasto al fondamentalismo. Molto di frequente i protagonisti degli atti di terrore sono europei molto giovani, maschi e femmine, di famiglie musulmane solo per un terzo, reclutati ed indottrinati dai fondamentalisti, in nome dello spirito umanitario verso gli oppressi, perché nella società manca una fede, per la voglia di ribellarsi all’insensibilità del mondo, per la speranza palingenetica di stare in una comunità fraterna portatrice del vero.

Il contrasto al fondamentalismo sta nel convivere esprimendo lo spirito critico e il rispetto reciproco. Per farlo, è sbagliato evocare lo scontro di civiltà (un ritorno a “bene contro male”). Serve dedicarsi ai singoli cittadini e alla loro pervasiva libertà. Disintossicare ognuno dalla droga del successo, dell’apparire, dello sperare disgiunto dal progettare e indurlo a prendere iniziative, ad applicare la tolleranza laica, a sviluppare responsabilità individuali che danno lavoro e benessere. Questa è la profilassi politica a largo spettro contro il terrorismo e  i suoi lupi solitari. Del resto contro il terrore non serve lo scudo. Primo perché non copre mai tutto. E poi perché percepire il rischio è il modo migliore per abbassarne la probabilità e per ridurne gli effetti applicandosi al tempo stesso a sgretolarne le cause, che sono nella concezione chiusa di società. Il compito laico è diffondere la coscienza che la battaglia sul ruolo del cittadino è il vero contrasto al fondamentalismo.

Raffaello Morelli sulla Rivista bimestrale Non Credo n. 44

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