Disobbedienza dei sindaci, due riflessioni giuridiche e un paradosso

Disobbedienza dei sindaci, due riflessioni giuridiche e un paradosso

La decisione del sindaco Orlando di non applicare il decreto sicurezza sull’iscrizione dei migranti nel registro dei residenti, si colloca in quel filone di matrice sofoclea, già inaugurato dal sindaco di Riace, per il quale quando una legge confligge con le proprie idee è cosa buona e giusta violarne la lettera e lo spirito. Naturalmente Sofocle non c’entra nulla, perché Antigone, l’eroina che antepone le norme della sua coscienza a quelle vigenti, non solo si trova davanti un tiranno, ma accetta le conseguenze fatali della sua nobile disubbidienza. Mentre Orlando e gli altri sindaci che lo stanno
seguendo non solo hanno di fronte la legge di uno Stato democratico, approvata secondo la procedura prevista dalla Costituzione più bella dl mondo, ma invece di dimettersi intendono, come tutti hanno capito, trarre un ipotetico vantaggio politico.

Non crediamo affatto che questi presunti buoni sentimenti siano stati ispirati dal discorso di Capodanno del presidente Mattarella. Semmai ne offrono una interpretazione faziosa e distorta. Perché il Capo dello Stato, com’era suo dovere, ha ricordato che – nel pieno rispetto delle leggi – esistono doveri di solidarietà, fratellanza e umanità. Il che non gli ha affatto impedito di firmare il decreto che Orlando e compagni intendono disapplicare.

E questo ci induce a due riflessioni di ordine giuridico.

1. La prima, banale, che il rispetto delle leggi non è la volatile opzione di moralisti sospetti, ma un obbligo vincolante e positivamente sanzionato.

2. La seconda che il giudizio di anticostituzionalità, che giustificherebbe – sempre secondo Orlando – la loro disapplicazione, non solo è prerogativa dell’apposita Corte, ma costituisce una mancanza di rispetto proprio nei confronti di Mattarella che, a rigor di norme, è il primo a delibare sulla loro conformità alla Costituzione. Arrogarsi questo
compito, come pare stiano facendo questi sindaci, non è dunque solo un atto giuridicamente illegittimo, ma anche un atteggiamento politicamente offensivo verso la massima carica istituzionale.

Il fatto è che, come la politica non ha sentimenti, così la spregiudicatezza di chi ne maneggia gli strumenti non conosce confini. Perché la tirade di questi sindaci sembra proprio l’estremo sussulto di una sinistra sbandata e incerta che cerca annaspando, di riconquistare opinabili consensi e precarie simpatie. Il decreto sicurezza infatti non solo allarga le loro competenze, ma risponde a istanze che da tempo i responsabili delle amministrazioni cittadine hanno, con buone ragioni, avanzato. Mentre la gestione dei migranti ha sollevato, e continua a sollevare, problemi immensi di natura finanziaria e gestionale che le varie Autorità stentano a risolvere per mancanza di mezzi, di coordinamento e di programmazione.

Orbene, soltanto la strumentalizzazione ideologica di una falsa solidarietà può evocare lo spettro di una discriminazione razziale, quando è sotto gli occhi di tutti che i Comuni soffocano sotto le difficoltà di una redistribuzione ragionevole di questa massa di stranieri approdati senza un criterio selettivo nel nostro Paese.

E qui arriviamo al paradosso più bizzarro. L’unico ad aver capito la gravità del problema, o comunque il primo ad aver provato se non a risolverlo, almeno a contenerlo, è stato il ministro Minniti, fino a ieri candidato a dirigere quel partito democratico che ora, nell’affannosa ricerca di raccattar proseliti, sembra intenzionato a seguire Orlando e De Magistris in questa incauta e rischiosa avventura. Non sappiamo se sia una scelta pagante in termini elettorali. Ma sappiamo che la prossima volta che questi signori sfileranno per le vie cittadine in nome della legalità subiranno l’ennesima derisione dell’irriverente Beppe Grillo e la perfida ironia dell’irruento Salvini. Ed è doloroso dire che se le saranno pienamente meritate.

Carlo Nordio, Il Messaggero 3 gennaio 2019

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