Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità al tempo del Coronavirus

Il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità al tempo del Coronavirus

Abstract

L’emergenza da Coronavirus in Italia ha comportato l’adozione di una serie di misure mai prima viste, neppure in tempi di guerra o in presenza di altre epidemie.

Mi riferisco soprattutto al decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, cui sono seguiti i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (di qui in poi D.P.C.M.) del 23 febbraio, del 25 febbraio, del 1° marzo, del 4 marzo, dell’8 marzo (che fa cessare l’efficacia dei D.P.C.M. del 1° e del 4 marzo 2020), del 9 marzo, e dell’11 marzo 2020. Ma in materia rilevano anche il decreto legge 2 marzo 2020, n. 9, il decreto legge 9 marzo 2020, n. 14, la delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, nonché l’ordinanza del Ministro della salute 30 gennaio 2020.

E a tali provvedimenti sono seguite numerose ordinanze adottate dai Presidenti delle Regioni e persino da Sindaci.

Non è questa la sede né il momento per ragionare sulla tempistica e sulla portata dei provvedimenti adottati, anche perché occorrerebbe incrociare competenze giuridiche con specializzazioni mediche di particolare natura (soprattutto, ma non solo, epidemiologiche), né sui tempi e modi della recentissima trasformazione dell’epidemia in pandemia, appena dichiarata dall’OMS.

Ma questa è l’occasione – purtroppo – per ragionare sul ruolo e sulla natura del reato di cui all’art. 650 c.p. e, cioè, di Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità.

La contravvenzione di cui all’art. 650 c.p. quale norma penale in bianco

Come è noto, il reato di cui all’art. 650 c.p. apre il libro secondo del codice penale e, pertanto, è la prima delle contravvenzioni disciplinate dal legislatore; e certo non a caso.

In particolare, detto articolo è contenuto nel Titolo I (Delle contravvenzioni di polizia), Capo I (Delle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza), Sezione I (Delle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica), Par. 1 (Delle contravvenzioni concernenti la inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose), con il seguente testo:

«Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206».

Tralasciando in questa sede i pur interessanti profili legati alla individuazione del bene giuridico tutelato, mi sembra invece di particolare interesse l’inserimento della contravvenzione de qua nella categoria delle c.d. leggi penali in bianco.

Succede che, talvolta, la legge penale, stabilita la sanzione, lasci la fissazione del precetto – o meglio la sua specificazione – agli atti normativi di rango inferiore (regolamenti amministrativi, provvedimenti del giudice, ecc.). Si pensi al riguardo, oltre che all’art. 650 c.p., che rappresenta l’ipotesi paradigmatica:

a) all’art. 28, l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. statuto dei lavoratori), Repressione della condotta antisindacale, in base al quale il datore di lavoro che non ottempera al decreto del giudice teso a reprimere il suo comportamento diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione, è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale;

b) all’art. 388 c.p., Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, per il quale è punito (tra l’altro) chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito;

c) all’art. 329 c.p., Rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica, per il quale è punito il militare o l’agente della forza pubblica, che rifiuta o ritarda indebitamente di eseguire una richiesta fattagli dall’Autorità competente nelle forme stabilite dalla legge.

Dubbi di costituzionalità

Sebbene parte della dottrina giudichi incostituzionale il ricorso a siffatto modo di costruire la norma penale, l’orientamento prevalente ritiene ammissibile il ricorso alle c.d. leggi penali in bianco. Ed alla stessa conclusione è pervenuta la Corte costituzionale, sia pur con risalente sentenza (Cortecost. 8 luglio 1971, n. 168), che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 650 c.p., sollevata in relazione all’art. 25, comma 2, Cost.

Per ammettere la costituzionalità di norme come l’art. 650 c.p., tuttavia, occorre comunque valutare con particolare rigore il provvedimento dell’Autorità che integra e specifica il precetto; provvedimento che deve essere, a sua volta, legalmente adottato e sufficientemente preciso.

Il provvedimento legalmente dato dall’Autorità

Infatti, per integrare la condotta di cui all’art. 650 c.p., occorre un provvedimento che si diriga con forza obbligatoria nei confronti del destinatario: dunque, un ordine diretto a una o più persone determinate o determinabili in relazione a contingenze attuali e presenti. A mio avviso, rientrano in siffatta categoria anche i regolamenti, gli statuti e le ordinanze di carattere generale, le ordinanze contingibili e urgenti emanate dal sindaco in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere locale, ovvero dai rappresentanti dello Stato o delle regioni, in caso di emergenze dello stesso tipo riguardanti più comuni, i provvedimenti adottati dalle Autorità militari per assicurare la difesa militare.

Invece, non ci si può riferire, genericamente, alla violazione di leggi o norme giuridiche ed è irrilevante l’inosservanza di semplici inviti, o consigli.

Il provvedimento, poi, deve essere formalmente legale, cioè dato, con il rispetto delle formalità eventualmente richieste dalla legge, dall’Autorità competente, e sostanzialmente legale, cioè adottato in esecuzione di una norma giuridica imperativa per l’Autorità e nei limiti del potere discrezionale conferitole. Tale provvedimento, poi, deve poi essere adeguatamente motivato.

Le ragioni del provvedimento

Inoltre, il provvedimento deve essere legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene. Benché solitamente vi sia, l’apposizione di un termine per l’adempimento da parte della pubblica amministrazione non sembra essere necessaria. Una volta consumata la contravvenzione, nessuna importanza hanno la cessazione delle emergenze che determinarono l’adozione del provvedimento e neppure l’annullamento dello stesso provvedimento o la revoca dell’atto.

Tralasciando le ragioni di giustizia, e rimanendo sullo sfondo le ragioni di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico, mi sembra che – in tempi di Covid 19 – i provvedimenti siano stati presi prevalentemente per ragioni di igiene e, dunque, di salute pubblica.

Rincorrere, in tale sede, i vari provvedimenti emessi dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai vari Presidenti delle Regioni e da alcuni Sindaci non è possibile, né utile, poiché è mia intenzione fare brevi riflessioni di massima.

I provvedimenti in materia di COVID-19

Pertanto, mi sembra opportuno richiamare il decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, il quale, all’art. 3, dispone che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale. E il riferimento è a misure adottate, appunto, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale.

Peraltro, è curioso che il decreto legge richiami la clausola di consunzione del salvo che il fatto non costituisca più grave reato, che è già contenuta nello stesso art. 650 c.p. e, dunque, è perfettamente inutile ribadirla, almeno sul piano tecnico.

Le condotte contestate

Come anticipato, la contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p. consiste nella inosservanza del provvedimento dell’Autorità legalmente dato per le ragioni previste. Naturalmente, trattandosi di contravvenzione, la stessa si integra sia a titolo di dolo che se commessa per colpa.

Ma il vero punto è nella precisione dei contorni delle condotte vietate, cosa che non sembra essere del tutto assicurata dai vari provvedimenti sin qui emessi.

Dal sito del Ministero dell’interno (www.interno.gov.it) emergono, al 12 marzo 2020, dati molto severi e preoccupanti sui controlli di polizia per il contenimento del contagio da Coronavirus. Sono state controllate 130.584 persone e verificati 62.218 esercizi commerciali. Ma soprattutto sono state denunciate per violazione dell’art. 650 c.p. (in ottemperanza ai D.P.C.M. 8 e 9 marzo 2020) ben 4.275 persone e 369 esercenti.

Numeri molto elevati, che preoccupano quando connessi a prescrizioni incerte, come in materia. Infatti, mi sembra che le prescrizioni indicate, in relazione al reato di cui all’art. 650 c.p., siano “ballerine” e che sembrino talvolta più consigli che obblighi.

Ad esempio, non si può uscire da casa se non per validi motivi. Ma si può uscire da casa per andare al lavoro, per ragioni di salute o situazioni di necessità. E per provare queste esigenze dovrà essere compilata un’autodichiarazione che potrà essere resa anche seduta stante sui moduli in dotazione alle forze di Polizia.

Per fare un altro esempio, lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro. In ogni caso bisogna evitare assembramenti. Però, abbiamo tutti letto di diciotto ciclisti amatoriali denunziati, in Piemonte, per violazione del decreto Conte, perché usciti dal comune di residenza, sia pur sulla pista ciclabile.

Esempi che alimentano i dubbi anche in chi – come me – ritiene possibile, in linea generale, il ricorso a norme penali in bianco, ma gradirebbe che il provvedimento da rispettare fosse chiaro e netto: come se fosse la stessa legge a fissare i divieti.

Altrimenti, i sospetti di illegittimità e le zone di ombra applicativa saranno prevalenti e mineranno dalle fondamenta il ricorso a norme quali quella di cui all’art. 650 c.p.

Guida all’approfondimento

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Contenuto pubblicato sul portale tematico Il Penalista

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