Pensioni, la quota 110 di Einaudi

Pensioni, la quota 110 di Einaudi

Sul tema pensioni, alcune riflessioni di assoluta attualità di Lugi Einaudi nell’articolo sul Sole 24 Ore di Davide Colombo

I lavoratori della classe 1952 che quest’anno andranno in pensione con i requisiti di vecchiaia a 67 anni devono essere orgogliosi. Non solamente per la lunga carriera produttiva che si lasciano alle spalle ma anche perché hanno superato un limite, quello dei 65 anni, che già nel loro anno di nascita venne considerato troppo basso per la pensione dall’allora presidente della Repubblica, Luigi Einaudi.

La storia è interessante. In un testo scritto nel 1952 (“Sui limiti di età”, inserito nella raccolta Lo scrittoio del presidente, Torino 1956) Einaudi appuntava alcune riflessioni di assoluta attualità. Considerando che l’età media d’ingresso nel mercato del lavoro si alzava sempre di più in un Paese che si andava scolarizzando e che, allo stesso tempo, cresceva la longevità degli italiani, Einaudi arrivò alla conclusione che il pensionamento a 65 anni per gli impiegati statali era da superare. «I legislatori, e non solo il nostro, non si sono ancora avveduti del mutamento profondo» scriveva il presidente. Spiegando che «il minor prodotto da parte dei giovani e la cessazione della produzione da parte di uomini ancor validi… fanno sì che l’onere gravante sul nucleo centrale andrà via via facendosi sempre più intollerabile».

Per «nucleo centrale» si devono intendere i cittadini in età da lavoro, diciamo tra i 19 e i 64 anni, che all’epoca erano poco più del 57% della popolazione contro il 60% attuale. Sempre per un raffronto storico: la speranza di vita di un uomo nel 1952 era di poco superiore ai 64 anni contro gli 80 anni e tre mesi attuali e mentre all’epoca gli over 65 erano circa l’8% della popolazione, oggi siamo oltre il 21%.

Secondo il presidente della Repubblica non c’erano dubbi: «Il limite di età tradizionale dei 65 anni è ormai divenuto antidiluviano e dev’essere riformato d’urgenza». Einaudi pensava alla sostenibilità del sistema e a conti pubblici. Ma sapeva che i suoi oppositori avrebbero sollevato un’altra obiezione: ritardare il pensionamento in un Paese «dove si dice esistere una disoccupazione di due milioni di persone» avrebbe reso ancor più difficile il collocamento dei giovani.

Anche su questo punto la risposta dell’economista, caposcuola del pensiero liberale, fu sicurissima: «La teoria di limitare il lavoro degli anziani allo scopo di creare lavoro per i giovani è un sofisma grossolano». Mentre è «verità lapalissiana» che solo un’economia più grande, in cui tutti «hanno modo di partecipare e produrre qualche cosa», offre più occasioni di impiego. Insomma il limite di età dei 65 anni per lavorare nelle amministrazioni pubbliche e private del 1952 era per Einaudi «anacronistico» e andava al più presto superato.

Poiché a un’opinione così netta non si poteva non fare seguire un atto, il presidente nei limiti del suo potere diede istruzioni al segretario generale, Ferdinando Carbone, di adottare un adeguamento per gli impiegati del Segretariato. Due decreti arrivarono pochi mesi dopo e disponevano «il collocamento a riposo d’ufficio» sia degli impiegati come dei salariati dipendenti del Segretariato generale della Repubblica «che abbiano compiuto 70 anni di età con 40 di servizio». Oggi si direbbe “quota 110”. Solo in subordine si dava «facoltà all’amministrazione di collocare a riposo chi abbia compiuto 65 anni con 40 di servizio». Ovvero “quota 105”.

Nei prossimi giorni, dunque, quando arriverà al Colle per la firma il decreto che vara “quota 100”, i lavoratori del 1952 si ricordino questa storia. E si preparino ad andare con fierezza e orgoglio in pensione con la sacrosanta vecchiaia «a normativa vigente», ovvero con i loro 67 anni. Che sarebbero piaciuti a Einaudi ben più dei 62 anni dei neo-quotisti. E se avessero qualche dubbio se lo tolgano rileggendo le Prediche inutili del presidente: la loro carriera lunga non ha mai, in nessun caso, tolto a qualche giovane un’occasione d’impiego.

Davide Colombo, Il Sole 24 Ore 15 gennaio 2019

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