Luigi Einaudi e i rischi del sovranismo

Luigi Einaudi e i rischi del sovranismo

In un testo del ’45 in favore degli Stati Uniti d’Europa (e in uno del 1897 sulla Stampa) il futuro Presidente metteva in guardia contro i rischi del sovranismo: una lezione da meditare nei tempi che stiamo vivendo. Ne scrive Gianni Vernetti su La Stampa del 30 aprile 2018

Il 20 agosto 1897 il venticinquenne Luigi Einaudi scrisse un editoriale sulla Stampa dedicato al liberale William Thomas Stead, direttore della Review of Reviews, pioniere del giornalismo investigativo, che sarebbe morto sul Titanic. A partire da una riflessione sul contributo di Stead alla diffusione della cultura anglosassone, Einaudi analizza il processo federalista che aveva da poco portato all’unione delle colonie canadesi in un unico grande Stato federale (il Canada) e al dibattito in corso per unire tra loro le sette colonie australiane. Il tutto come pretesto per proporre un’anticipatrice e illuminante riflessione sugli Stati Uniti d’Europa e sul tema della «sovranità nazionale».

Luigi Einaudi riprenderà e amplierà queste riflessioni cinquant’anni più tardi, nel gennaio del 1945, con il saggio Il mito dello Stato sovrano, pubblicato sulla rivista Risorgimento liberale. Rileggere quelle pagine è illuminante e di grandissima attualità.

L’autore ripercorre il processo di nascita della Confederazione tra la prima Costituzione del 1781 e la seconda del 1788 («A more perfect union…»), ricordando come quei primi sette anni di vita erano stati anni di discordie, anarchia ed egoismo. La radice del male stava appunto nella «sovranità» e nella «indipendenza» dei 13 Stati.

Einaudi rifletteva sull’America, osservando un’Europa quasi cancellata dai nazionalismi, e individuava proprio nello «Stato sovrano» il nemico numero uno della civiltà: «lo Stato sovrano che, entro i suoi limiti territoriali, può fare leggi, senza badare a quel che accade fuor di quei limiti, è oggi anacronistico e falso».

Unico antidoto alle guerre

Fra le macerie di un continente ancora dilaniato dal conflitto, il futuro Presidente della Repubblica tratteggiava con precisione le caratteristiche degli Stati Uniti d’Europa, unico antidoto al ripetersi di nuovi conflitti: «Esercito unico e confine doganale unico sono le caratteristiche fondamentali del sistema. Gli Stati restano sovrani per tutte le materie che non siano delegate espressamente alla federazione; ma questa sola dispone delle forze armate […]. Anche le guerre diventeranno più rare, finché esse non scompaiano del tutto, nel giorno in cui sia per sempre fugato dal cuore e dalla mente degli uomini l’idolo immondo dello Stato sovrano».

Ripensare oggi all’insegnamento di Luigi Einaudi è di grande utilità in un mondo nel quale le democrazie liberali sono scosse da nuove forme virulente di protezionismo, populismo e «sovranismo», e l’onda tellurica è già giunta lontano: l’America First della Alt-Right statunitense, da Breitbart News a Steve Bannon, che ha costituito l’humus ideologica dell’elezione di Donald Trump; la «democrazia illiberale» di Viktor Orban che ottiene un terzo e pericoloso mandato nel nome della difesa assoluta dei propri confini e della tutela dell’identità etnica ungherese; e infine l’Italia del 4 marzo, con una maggioranza di elettori che ha affidato a due movimenti populisti, anti-europei e nazionalisti (Cinque Stelle e Lega), i possibili destini di uno dei Paesi fondatori dell’Europa.

Ma la sfida all’Occidente è anche «esterna». Russia e Cina hanno fondato sulla «tutela assoluta della sovranità nazionale» la costante delle proprie scelte geo-politiche. La Russia ha giustificato l’intervento militare in Siria a sostegno del regime di Assad proprio per tutelare la sovranità nazionale siriana. La Cina ha chiuso al suo interno a ogni forma possibile di sviluppo democratico e, sempre in nome del rispetto assoluto della «sovranità nazionale», rappresenta un modello possibile di sviluppo alternativo a Bretton Woods, attrattivo per quei Paesi africani, mediorientali e asiatici che apprezzano finanziamenti allo sviluppo incuranti della tutela dei diritti dei lavoratori o del rispetto degli standard ambientali.

Democrazie liberali che si indeboliscono sotto la spinta dei nuovi populismi e autarchie che si rafforzano: in Cina, con la riforma della Costituzione che ha dato il via a un mandato senza limiti temporali per Xi-Jinping, assegnandogli poteri senza precedenti, e in Russia con la vittoria di Putin e la conquista di un quinto mandato presidenziale. Russia e Cina rappresentano anche un modello di una possibile nuova forma di «stabilità»: frontiere ermeticamente chiuse e nessun flusso migratorio; molto mercato e pochissima democrazia. Paesi dunque apparentemente «ordinati» che sembrano offrire risposte più solide a un Occidente spesso confuso e in preda a una costante instabilità politica, economica e sociale.

Una sfida per l’Occidente

Ma la risposta dell’Occidente e delle democrazie liberali dev’essere quella di accettare la sfida, non certo di chiudersi a riccio su sé stessa. Ai nuovi «sovranismi» e nazionalismi «interni», la risposta non può che essere un rilancio coraggioso e ambizioso del processo di integrazione europea. Lo ha detto con parole forti il presidente francese Macron lo scorso 17 aprile all’Europarlamento: per evitare i rischi di una nuova «guerra civile europea» bisogna costruire una nuova «sovranità europea» per contrastare i nuovi egoismi nazionali e il fascino illiberale.

E alla sfida «esterna» delle apparentemente sempre più forti autocrazie, la risposta non potranno certo essere più dazi e più protezionismo, ma società sempre più aperte e sempre più inclusione di un largo numero di Paesi in un sistema di valori condivisi: la diffusione di diritti e democrazia dovrà tornare a essere una priorità della politica estera dell’Occidente. Solo cosi l’«idolo immondo» della sovranità nazionale, lucidamente denunciato un secolo fa da Luigi Einaudi, perderà di forza e di pericolosità.

Gianni Vernetti

La Stampa, 30/04/2018

 

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