Jan Palach, quel gesto ignorato dalla “meglio gioventù”

Jan Palach, quel gesto ignorato dalla “meglio gioventù”

La «meglio gioventù»: così ama definirsi la generosa, idealistica generazione che fece il 68. Ma con Jan Palach, lo studente cecoslovacco che 50 anni fa, il 19 gennaio del 1969, si diede fuoco nella Piazza San Venceslao di Praga per protestare contro l’invasione dei carri armati sovietici, la meglio gioventù diede il peggio di sé, fu cinica, indifferente, ottusa e, ciò che è più grave, non si è mai davvero vergognata per non aver saputo onorare il gesto di un coetaneo schiacciato da un’oppressione enormemente più feroce di quella patita nel libero Occidente. Non fu versata una lacrima per Jan Palach, se si eccettua una canzone meravigliosa di Francesco Guccini, come ha ricordato Federico Argentieri sulla Lettura. Una generazione che si dice combattesse contro l’autoritarismo non sapeva dire nulla contro un sistema in cui l’autoritarismo raggiungeva vertici inauditi di pervasività asfissiante.

Gridava contro la guerra in Vietnam ma non fu minimamente scossa dalla vista dei carri armati del socialismo reale. Agitare il nome di Jan Palach era da «fascisti», questo ho sentito in quei giorni nella mia scuola romana, il Mamiani, cuore della contestazione studentesca. Un ragazzo che si bruciava in piazza non meritava solidarietà. La meglio gioventù dimostrava sin da allora il suo volto ideologizzato, mosso da un’indignazione selettiva che chiudeva un occhio sulla repressione che angariava i Paesi finiti sotto il tallone sovietico. A sinistra si diceva che l’alternativa al comunismo moscovita fosse il radicalismo forsennato di Mao, o l’esotismo rivoluzionario di Fidel Castro, giammai Alexander Dubcek, rappresentante di un «revisionismo» che si accontentava di ripristinare le condizioni di una democrazia «borghese», dunque «di destra».

Non proprio tutti, nell’estrema sinistra, furono così cinici. La rivista Il Manifesto, alla vigilia della radiazione dei suoi esponenti dal Pci, uscì con questo titolo: «Praga è sola». Il Manifesto fu solo, Praga restò sola, il ricordo di Jan Palach si spense, nessun poster, nessuno striscione, nessun cartello ne fece un’icona di libertà, di coraggio, di protesta. Chissà se, a 50 anni di distanza, qualche resipiscenza si farà sentire. Ma forse no, la meglio gioventù non può permettersi di intaccare il monumento che ha voluto fare di sé stessa, lasciando sola la tomba di Jan Palach.

Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 13 gennaio 2019

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