Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia di Roma è stata costituita il 10 dicembre del 1962, a poco più di un anno dalla scomparsa dell’illustre eponimo, per iniziativa del Partito Liberale Italiano del quale era allora segretario Giovanni Malagodi.

Ne furono soci fondatori società, associazioni ed enti che erano il Gotha dell’economia e della finanza italiane: dalla Banca d’Italia all’IRI alla Fiat, dalla Comit al Credito Italiano a Mediobanca, dalle Assicurazioni Generali alla Olivetti alla Techint.

Alcuni di questi soci non ci sono più, ma la maggior parte di essi, talvolta con diverso nome a seguito di fusioni e incorporazioni, partecipa tuttora alla vita della nostra Fondazione.

A tutti va il ringraziamento sincero mio e degli amici e colleghi che mi affiancano nell’amministrazione della Fondazione, con la riconoscenza che si deve a chi ci ha dato i natali e con l’impegno di rinsaldare i rapporti che ancora ci legano e di cercare di corrispondere alle loro aspettative ed ambizioni.

Perseguiamo, d’altra parte, anche l’obiettivo di ampliare la platea dei soci con nuove acquisizioni e questo proselitismo ha già prodotto qualche risultato, che ci incoraggia a proseguire.

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 La Fondazione compie dunque cinquant’anni e questa pubblicazione intende celebrarne l’importante anniversario: nel ricordo dell’attività svolta e dei traguardi raggiunti in questi dieci lustri di vita – dei quali sono compendio e testimonianza i capitoli che seguono – e con un grato pensiero rivolto ai sette presidenti che l’hanno guidata per i quarantanove anni che hanno preceduto l’inizio del mio recente mandato.

Alcuni di questi miei predecessori sono ancora presenti, in qualità di presidenti onorari, nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione e sono Giancarlo Lunati, Valerio Zanone e Roberto Einaudi, ai quali mi legano vincoli di personale amicizia e di risalente consuetudine, mentre altri past president, purtroppo, non sono più fra noi. Essi, tuttavia, occupano posizioni eminenti non solo nel nostro ricordo e nella storia della Fondazione, ma nella storia d’Italia e portano i nomi illustri di Gaetano Martino, Ruggero Moscati, Vittorio Badini Confalonieri e Franco Mattei.

Fra le tante persone care e altamente meritevoli, che in questo mezzo secolo di vita della Fondazione ne hanno più e meglio sostenuto il gravoso impegno operativo e la feconda produzione, mi sia consentito ricordare e ringraziare, in particolare, Franco Chiarenza, Vice Presidente di questo nostro Istituto e soprattutto prezioso braccio destro di tutti i presidenti che ha via via affiancato.

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 Preliminarmente all’ulteriore sviluppo del discorso celebrativo, mi preme anticipare e dare il dovuto rilievo a due importanti informazioni contenute nei capitoli che seguono.

La prima è nello scritto di Valerio Zanone, ove egli ricorda che il legame (il “cordone ombelicale”, per usare le sue stesse parole) fra la nostra Fondazione e il PLI (che nel 1962 ne aveva promosso la costituzione) fu reciso di comune accordo nel 1984.

Mancavano nove anni al fatidico 1993, che vide implodere tutti i partiti storici italiani, il PLI era ancora al governo del paese e Zanone ne era il segretario: con questa decisione si intese affermare l’imparzialità della Fondazione rispetto ad “opinioni” di parte, politicamente predeterminate, dando così a questo istituto di cultura quella connotazione di indipendenza da tutti i partiti che è fra le più alte (ma anche più costose) della cultura liberale.

La seconda informazione, sulla quale desidero preliminarmente richiamare l’attenzione del lettore, è quella contenuta nel capitolo di questo libro firmato da Bruni e Orsina in merito ai risultati di eccellenza conseguiti dalla Fondazione nella ricerca storica e nella raccolta e valorizzazione di un rilevante patrimonio archivistico e documentario riguardante il partito ed il pensiero liberali.

Credo pertanto che, fin dalla denominazione della Fondazione, si debba in avvenire correttamente indicare che la sua missione culturale attiene agli studi non soltanto di politica e di economia, ma anche di storia.

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 La celebrazione del cinquantenario della Fondazione non vuole – né deve – essere soltanto memoria e consuntivo del passato, quantunque eccellente per iniziative intraprese e traguardi conseguiti.

Può essere lecito farne un momento di pausa e di riflessione per riprendere lena dopo mezzo secolo di impegno e di lavoro, ma in sequenza ravvicinata lo sguardo deve essere rivolto agli anni futuri. I cinquanta trascorsi sono solo una tappa del nostro cammino e la Fondazione, col pensiero rivolto ad una produzione culturale che si arricchisce col tempo a beneficio delle nuove generazioni, deve avere l’ambizione di pensare e di dire, come il Michelangelo, “più vivo e più ho avvenire”.

Certo, la cultura liberale che è nella nostra missione deve misurarsi, nel mondo d’oggi, con realtà e problemi economici e politici molto diversi da quelli cui facevano riferimento i pensatori del passato, Croce ed Einaudi compresi.

Esprime da par suo questa radicale diversità Natalino Irti che, in un recente saggio (1), così la sintetizza : “ … gli individui sono soli … Questa deserta e dolorosa solitudine sta dinanzi alle nuove potenze della tecnica e dei mercati planetari. L’individuo avverte … che l’economia non gli appartiene più: non appartiene più ai singoli e neppure allo Stato sovrano … Oggi l’economia è avvertita come potenza lontana e oscura, ingovernabile o governabile da soggetti che sfuggono alla scelta del singolo. Il quale si dice dentro di sé: sono libero, ma non ho alcun modo di partecipare alle decisioni che orientano l’economia. Chi volesse interpretare questa condizione storica, o stato d’animo, nei termini del dialogo tra Croce ed Einaudi, potrebbe forse concludere che il liberismo oggi dominante è separato dal liberalismo: un liberismo senza liberalismo; un regime dell’economia e non un’istanza della coscienza morale”.

Proprio a questi inquietanti problemi della libertà, che il nuovo mondo ci propone, la Fondazione dovrà quindi dedicare studi, ricerche e formazione dei giovani, impegnandosi per ridare all’aggettivo liberale significato rigoroso e quel contenuto di pensiero, oggi vanificati dal processo inflattivo che il termine ha subìto.

Per conseguire maggiore efficacia e autorevolezza nelle azioni miranti all’evoluzione e all’aggiornamento del pensiero liberale negli anni avvenire, la Fondazione, nel nuovo Statuto approvato lo scorso anno, ha previsto la costituzione di una Consulta Liberale. Composta da docenti e studiosi di economia, diritto, storia, politologia e altre discipline, tutti di chiara fama, essa ha il “compito di rappresentare un punto di riferimento per la cultura liberale e una sede di confronto con il liberalismo internazionale”, così come è internazionale la sua composizione, e “può manifestare in maniera autonoma il proprio punto di vista…”.

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 Ma in questa nostra Italia – cui la recessione economica e la crisi sociale e politica sembrano negare un futuro accettabile e ove il governo relega la cultura nel limbo delle cose non prioritarie, lesinandole perciò promozione e sostegno – un’istituzione culturale come la nostra può avere spazio e prospettiva?

Il dubbio – specie da parte di chi ha il mandato e la responsabilità di garantire all’istituzione lunga vita dopo il giro di boa del mezzo secolo – va fugato, con un ottimismo che è certo solo della volontà ma è anche della ragione.

La parola “cultura” è usata, nella lingua italiana, in una pluralità di accezioni, tutte però riconducibili all’idea dell’arricchimento dello spirito umano in termini di conoscenza e di valori ideali.

Non sembra dunque lecito dubitare dell’utilità della cultura nel mondo contemporaneo, che proclama il primato della conoscenza in ogni comparto dell’attività umana e nella stessa economia, ove – si afferma – i saperi fanno oggi premio sugli averi, i beni immateriali dello spirito su quelli materiali.

Anche per quanto attiene agli orientamenti della politica, se il governo, adducendo la recessione, lesina risorse alla cultura, il Presidente della Repubblica, in un messaggio di metà agosto all’indomani della conversione in legge del decreto sulla spending review, gli ricorda invece che la spesa per investimenti in innovazione, ricerca e formazione (in una parola, la spesa per la cultura) non può essere tagliata perché le sole chances di far riprendere al nostro paese un cammino di sviluppo e di crescita passano per queste tre strade obbligate.

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 Le parole del Presidente della Repubblica nell’esercizio del suo alto magistero nutrono di elementi di razionalità il convincimento dell’impossibilità, per un paese moderno ed evoluto, di non investire in cultura. E tuttavia gli amministratori della Fondazione, nell’elaborazione dei programmi di attività e dei budget, fanno un affidamento solo marginale sui finanziamenti pubblici poiché, al riguardo, pesano l’esperienza del progressivo inaridirsi di questi flussi negli anni trascorsi e la consapevolezza che i vincoli di bilancio dello Stato e degli Enti territoriali non consentiranno, almeno nel breve, una significativa inversione di questo trend negativo.

Anche la ricerca di un mecenatismo d’antan, da parte dei soci o di altri finanziatori non riconducibili alla Pubblica Amministrazione, sarebbe infruttuosa: i tempi sono duri anche per il mondo bancario e delle imprese in generale.

Da anni, perciò, gli amministratori della Fondazione, per finanziarne l’attività, puntano su prodotti che sfruttano gli asset della nostra istituzione e possono essere offerti agli operatori economici con prospettive di acquisto perché suscettibili di ritorno sotto forma di influenza sui processi decisionali e di immagine.

Il più utilizzato tra questi asset è stato, negli ultimi anni, quello della storia e delle opere di Luigi Einaudi Presidente della Repubblica, Governatore della Banca d’Italia, pensatore, scrittore. E alcune iniziative, tuttora in corso, si collocano su questo stesso filone (v. in proposito il capitolo di questo libro curato da Roberto Einaudi).

Ma la Fondazione deve puntare anche su altre opportunità.

Particolarmente felice, ad esempio, l’iniziativa e l’esperienza dell’Osservatorio sulla Politica Energetica (v. infra Marcello Inghilesi) e (prossimamente) sulla vasta e cruciale materia delle interdipendenze fra ordinamento giuridico e sistema economico (Law and Economics). In questo tipo di iniziative, la Fondazione mette a disposizione di stakeholders – generalmente di primaria grandezza ed importanza e di volta in volta diversi – non solo e non tanto le sue capacità di studio e di ricerca (posto che tali soggetti già le possiedono in misura più che sufficiente) quanto piuttosto una sede credibile (perché non di parte) e autorevole (per nome e tradizione), nella quale elaborare e dalla quale far pervenire all’opinione pubblica e alle competenti istanze decisionali, analisi e proposte sulle problematiche considerate.

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 Auguri dunque di buon cinquantenario e di lunga vita alla Fondazione.

Noi amministratori siamo già in cammino per la prossima tappa, con risorse materiali scarse, ma con la cospicua eredità della nostra storia e grande ricchezza di idee e di voglia di fare.

Mario Lupo

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(1) N. IRTI, Dialogo sul liberalismo tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi, Bologna, il Mulino, 2012, p. 53 e s.

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