Brexit, tre cose che ci riguardano

Brexit, tre cose che ci riguardano

Guardare da fuori aiuta a capirsi dentro. Che succede in Uk? Eravamo abituati ad ammirare la loro classe dirigente, la solidità delle tradizioni parlamentari, un sistema maggioritario che premiava la moderazione e il cambiamento nella continuità. Visti da fuori sembrano nel pallone, afflitti da trasformismo (chi si batté per il remain s’incaponisce a gestire il leave), incapaci di conciliare le bubbole raccontate agli elettori con la realtà. Succedono tre cose, che ci riguardano tutti.

1. Lontani dalle durezze, talora sanguinose, della storia, lontani dalle guerre (grazie al cielo), ci si è riempiti di estremisti parolai. Il dolore seleziona classi dirigenti che imparano a rispettare la realtà. Lontani dal dolore si pensa di poterla ignorare. Il dolore induce a conoscere e rispettare la storia, per costruirne una che si spera migliore. La cancellazione del dolore appanna il senso della storia e consegna tutti a una contemporaneità tanto pervadente quanto effimera. Siccome sarebbe stolto sperare nel dolore e nella guerra per potere selezionare classi dirigenti che siano veramente tali il compito di chi ragiona, di quelle élites al centro di tanto onanistici dibattiti, consiste proprio nel contrastare chi affoga nel presente dimenticando il passato e così cancellando il futuro.

2. Democrazia rappresentativa e democrazia diretta, parlamenti e referendum, convivono bene se si distinguono gli ambiti e si premia la coerenza. Un politico che sostiene una cosa e poi, dopo un referendum che gli dà torto, si converte all’opposto non è un vero democratico, ma un vero voltagabbana. Un politico che cerca il consenso promettendo agli elettori che le scelte fondamentali non le farà la maggioranza che eleggono e per la quale chiede il loro voto, ma saranno rimesse a loro stessi, non è un furbo: è un inutile. Pericoloso, perché pone le basi della contraddizione fra il pronunciamento al voto legislativo e quello al voto referendario. La democrazia non è votocrazia, come qualcuno sembra credere e troppi vanno dicendo. La democrazia funziona se c’è uno Stato di diritto e se è chiara l’attribuzione delle responsabilità (e dei meriti). Se si prevale al voto decentrando altrove la responsabilità delle scelte si è degli irresponsabili. Forse fra i più temibili avversari della democrazia.

3. Sullo sfondo rimane il problema più grosso: la frattura generazionale. Siamo abituati a un mondo in cui i giovani crescono più velocemente dei vecchi, sicché i primi devono passare dalle intemperanze post-adolescenziali alla conoscenza e responsabilità, portando così a patrimonio collettivo il loro naturale e positivo desiderio di cambiamento. Ma ora abitiamo un mondo in cui i vecchi crescono più velocemente dei giovani (ed è un bene che si viva più a lungo, mentre è un male che la natalità decresca al punto della denatalità), il che comporta un ribaltamento dei rapporti di forza. Così il mondo che fu sembra migliore del mondo che è e il desiderio di difendere le rendite prevale su quello di favorire la crescita e la produzione. I giovani inglesi sono in stragrande maggioranza su una posizione diversa dalla maggioranza referendaria (e non sono andati tutti a votare). I giovani italiani assistono all’allargamento di cordoni pensionistici con i quali saranno strangolati.

Che fine fanno le società in cui il passato è orizzonte migliore del futuro? Quelle in cui la cancellazione del dolore (che è cosa bella) diviene cancellazione della storia (cosa orribile)?

Demagogia e propaganda sono sempre esistite. D’arruffapopolo è colma la storia. Ma una tale eclissi di lucidità e responsabilità, un tale cedimento all’estremismo verbale no, non sono consueti. Sembrano poggiare sull’idea che il benessere (negato a parole e goduto nei fatti) sia una specie di diritto di cittadinanza, oramai dato ed irrevocabile. Occhio, perché non è così.

Davide Giacalone, Formiche 17 gennaio 2019

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