Prescrizione e magistrati, ecco cosa non funziona

Prescrizione e magistrati, ecco cosa non funziona

Giustizia: intervista a Carlo Nordo. Da Libero del 12 novembre 2018

«Da che sono in pensione, lavoro di più». Sembrava quasi impossibile. Ma il procuratore Nordio non mente: due editoriali alla settimana sul Messaggero, più l’articolo nelle pagine di Cultura il sabato, l’impegno alla Fondazione Venezia, quello alla giuria del premio letterario Campiello, la prossima inaugurazione a Mestre del museo Emme9, un’opera da cento milioni. «E il tutto senza più la segretaria. Per me, che sono disordinato, abbandono il telefono dove capita e non sono abituato a organizzarmi non è semplice». Meglio parlare dì giustizia allora, tema caldo, tanto per cambiare.

L’addio alla prescrizione è stato legato alla riforma del processo penale: equivale a dire che non si farà mai?

«Vuol dire che – nella migliore delle ipotesi – arriverà tra qualche anno. Una riforma seria richiede tempi di elaborazione, e di discussione parlamentare, incompatibili con le date indicate. E poi non si sa neppure che riforma vogliono. Mi creda, la prescrizione non sarà abolita, anche perché farlo sarebbe contrario all’articolo 111 della Costituzione, secondo il quale il processo deve concludersi entro termini ragionevoli».

Di che tipo di riforma avrebbe bisogno il nostro processo penale?

«I codici di procedura penale sono di due tipi. Quello inquisitorio e scritto, che avevamo fino al 1988, e quello accusatorio orale anglosassone, che abbiamo introdotto nell’89, adattandolo alle nostre tradizioni, cioè pasticciandolo. Quindi abbiamo bisogno di un codice coerente, che torni al passato o svolti definitivamente verso il sistema inglese, che io prediligo e vorrei copiassimo. Ma temo avremo un altro pastrocchio, se mai ci sarà».

Che vantaggi ha il sistema anglosassone?

«Discrezionalità dell’azione penale, che riduce i tempi dei processi perché fai solo quelli importanti, separazione delle carriere, con giudici di nomina governativa e pm elettivi, e divieto di appellare le assoluzioni, perché se un giudice ha prosciolto, dubitare della sua sentenza significherebbe violare il principio del ragionevole dubbio di innocenza. Con questi tre accorgimenti avremmo processi rapidi e la questione prescrizione si risolverebbe da sé».

Quanta responsabilità hanno davvero i magistrali nella lunghezza dei processi?

«Responsabilità, e meriti, dei magistrati nella durata dei processi sono stari sempre enfatizzati. I processi durano a lungo per una ragione elementare: la sproporzione tra i mezzi e i fini. Con l’azione penale obbligatoria, la massiccia produzione normativa che prevede sempre nuovi reati e la riduzione delle risorse, anche se i magistrati lavorassero il doppio – e le assicuro che lavorano già molto, e talvolta anche troppo, e inutilmente – i tempi saranno sempre eterni. Finché non depenalizzeremo molti reati e non lasceremo liberi i pm di non perseguire tutte le denunce, avremo sempre migliaia di processi prescritti».

Cosa pensa della prescrizione lei?

«Ubbidisce a due criteri: il venire meno dell’interesse dello Stato a punire con il decorso del tempo, e la garanzia di una ragionevole durata del processo. Va mantenuta. È vero però che alcuni reati si scoprono sempre anni dopo la loro commissione, pensiamo ai falsi in bilancio o alle frodi fiscali, e quindi si sono già mangiati metà del tempo di prescrizione. Il compromesso giusto sarebbe far decorre il termine della prescrizione non dal momento della commissione del reato, ma da quello della scoperta del suo autore, e dalla iscrizione nel registro degli indagati. Sempre con un termine massimo però, per evitare che uno possa esser processato a una lunga distanza dal fatto».

La prescrizione però ha mandato assolti molti colpevoli..

«Sì certo, ma è colpa dello Stato. Eliminarla però significa colpire le vittime, perché se la prescrizione viene meno, i processi si allungano e la parte lesa deve attendere di più per avere giustizia».

Sospenderla per chi è condannato in primo grado o allargare il novero dei reati imprescrittibili, come forse si farà, è una soluzione?

«È una mostruosità».

Il giustizialismo della sinistra era sostanzialmente antiberlusconismo, quello dei grillini cos’è?

«È acquiescenza supina a luoghi comuni infantili. Dilettantismo emotivo. M5S è esploso come consenso sotto la pressione degli scandali politici, specie quelli legati ai rimborsi alla cosiddetta casta. Il loro terreno di coltura è la reazione alle ruberie e si sono convinti che, se aumentano le pene, loro salgono nei sondaggi. Puntano all’elettorato scandalizzato dal malcostume generalizzato e ambiscono a moralizzare il Paese attraverso il sistema penale ma sbagliano ricetta: se vuoi battere la corruzione devi diminuire le leggi e snellire procedure, tutto l’opposto di quanto fa M5S».

Si può dire che il loro giustizialismo è vendetta sociale e giacobinismo?

«Non li accrediterei di tanto onore. Saint Just e Robespierre erano altra cosa. Semmai li paragonerei a Hebert, o a Chaumette, gli ultrà del Terrore che furono i primi a essere decapitati».

Il Parlamento non conta più nulla, il governo è bloccato: la magistratura è diventalo il potere più importante dello Stato?

«La magistratura ha assunto un forte ruolo di supplenza dai tempi di Tangentopoli non perché abbia fatto un passo avanti, ma perché la politica ha fatto due passi indietro».

Quanto è vera l’affermazione che i giudici fanno politica?

«Anche questa è una favola. Ma è sufficiente che alcuni magistrati, diventati famosi per inchieste nei confronti di politici, si candidino alle elezioni, per far sorgere questo sospetto. Anche per questo motivo io, avendo indagato nella prima tangentopoli, poi sulle coop rosse e recentemente sul Mose, ho detto che non avrei mai fatto politica. La sola idea che si pensi che ho fatto il mio lavoro per prepararmi un buon ritiro parlamentare, e magari prendere il posto di quelli che ho inquisito, mi fa rabbrividire».

Di Pietro con Tangentopoli, De Magistris che indagò Mastella e cadde Prodi, le Olgettine e la condanna Mediaset: la storia d’Italia è stata scritta dai giudici?

«No, semmai da una politica fiacca e subalterna. I politici hanno condizionato per anni l’attività politica alle iniziative giudiziarie, utilizzando gli avvisi di garanzia e le inchieste contro i rivali come una clava. Così però hanno delegittimato l’intera categoria e si sono messi nelle mani dei magistrati. I grillini poi sono il massimo: usano la clava della magistratura anche contro loro stessi. Se la Lega facesse altrettanto, Salvini avrebbe dovuto dimettersi dopo quella curiosa inchiesta di Agrigento sulla Diciotti, dalla quale è stato prosciolto in meno di due mesi».

Con Berlusconi è stata fatta una giusta applicazione della Severino?

«Il diritto penale dice che la condanna non può essere retroattiva e allora la decadenza dal Parlamento dopo una condanna contemplata dalla Severino è stata trasformata in sanzione amministrativa. Ma essa resta comunque una sanzione afflittiva, e quindi non si può applicare retroattivamente. Questo è stato fatto per ragioni politiche, ed è una macchia indelebile della nostra sgangherata civiltà giuridica».

È cambiato qualcosa nella giustizia rispetto ai tempi di Berlusconi?

«In peggio, come si vede. Sono stati creati reati assurdi, seguendo le mode, con leggi squilibrate. Oggi investire uno da ubriachi è più grave che farlo di proposito e certi reati di pedopornogra-fia su internet sono puniti più gravemente dell’atto sessuale in sé».

Responsabilità dei magistrati: si ha la sensazione che le toghe non paghino per i loro errori, è vero?

«No. Il cosiddetto errore del magistrato è fisiologico, se riguarda ii merito della decisione. In tutti i paesi le sentenze vengono riformate, perché il giudicare è compito quasi sovrumano. Però ci sono due casi in cui il magistrato che sbaglia dovrebbe pagare: quando non legge le carte e quando non conosce le leggi. Pagare non in denaro, tanto è assicurato, ma nella carriera. Un magistrato inetto o incapace non va sanzionato nel portafoglio, va destituito».

Poiché è impossibile provare il dolo, come si può far scontare qualche conseguenza a chi apre inchieste che durano anni, distruggono carriere e si concludono in nulla?

«Bisognerebbe fare come in America: una statistica delle inchieste andate a buon fine e dei processi persi. E quando uno perde troppo, mandarlo a casa perché ha sbagliato lavoro».

A cosa è dovuto il calo di popolarità deila magistratura?

«Ha suscitato troppe aspettative, poi deluse. Oltre al protagonismo di alcuni di noi. Bastano pochi, e i molti ne subiscono le conseguenze».

Cosa pensa della nuova norma della legittima difesa?

«Sostanzialmente bene. Chi si difende in casa si sostituisce legittimamente a uno Stato che non ha saputo proteggerlo, e tantomeno ha il diritto di punirlo. L’avrei resa ancora più netta: io avrei sancito che, poiclié la legittima difesa è l’esercizio di un diritto, il fatto di reato non sussiste, invece è rimasta come causa di non punibilità di un comportamento considerato, a torto, criminale».

Fino a che punto il cittadino ha diritto a difendersi?

«Nei limiti della proporzione della reazione e dell’attualità del pericolo. Che però vanno valutati tenendo conto della gravissima alterazione emotiva in cui versa l’aggredito, il quale, in caso di assoluzione, ha diritto ad esser sollevato dalle spese legali».

Da procuratore che ha lavorato decenni sul territorio: perché è così difficile fermare la criminalità contro il patrimonio, se il reato non sfocia poi nel sangue?

«I reati contro il patrimonio sono sempre esistiti, in tutto il mondo. Oggi peto sono aumentati anche a seguito dell’immigrazione incontrollata. Dirlo non è razzismo, è statistica».

Che giudizio ha del decreto sicurezza? Cosa funziona e cosa no?

«Ne ho un buon giudizio anche se non credo che sarà risolutivo».

La stretta sul riconoscimento dello status di profugo è giusta?

«Dipende. Il profugo vero va protetto e assistito. Ii falso profugo va rimandato a casa. Ma non lo dice mica solo Saivini. Lo diceva già vent’anni fa la legge Turco-Napolitano».

I critici dicono che così aumentano i clandestini e illegalità…

«È una balla. Semplicemente, il decreto sicurezza va coordinato con le leggi esistenti, che prevedono l’espulsione dei clandestini. Riconoscere lo status a chi non ne ha diritto non è la soluzione ma è ignorare il problema. Ed è un’ingiustizia, doppia perché penalizza soprattutto i profughi veri».

Quando Salvini fu indagato per la Diciotti lei disse subito che era una stupidaggine. Perché?

«Per le ragioni emerse dalla successiva richiesta di archiviazione. Era un atto politico, insindacabile. Per di più il pm aveva ipotizzato il reato di arresto illegale, quando non era stato arrestato nessuno; e infine non aveva interrotto il presunto sequestro di persona, mentre la legge gli imponeva di evitare che il reato fosse portato a conseguenze ulteriori. Se Saivini fosse stato mandato a giudizio si sarebbe trovato come coimputato lo stesso pm, per il reato di omissione di atti d’ufficio o addirittura per concorso omissivo: è l’art 40 2° amuna del codice penale».

Che idea si è fatto dell’inchiesta che coinvolge il sindaco di Riace Lucano?

«Ha violato la legge e se ne è vantato. Ma peggio sono quelli che lo hanno sostenuto. Evocare a riguardo il concetto di disobbedienza civile, come ha fatto Saviano, è peggio di una bestialità, è un errore».

Lei indaga il Paese da oltre 50 anni: intravede i germi di un ritorno del fascismo o del razzismo?

«No, è una stupidaggine. L’Italia non è un paese razzista né fascista. Ma la paura è paura, e per definizione vede pericoli anche dove sono inferiori a quelli reali».

Viceversa Saivini gonfia l’allarme sicurezza a scopi di consenso come gli viene rimproverato?

«No. Salvini interpreta queste paure, e prende voti. È la democrazia, bellezza».

Pietro Senaldi, Libero 12 novembre 2018

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