Alfredo Borgia (Responsabile rapporti parlamento ed Enti Locali – Sky)

“Avevo compiuto da poco 18 anni – ahimè più di venti anni fa – quando su un giornale lessi un boxino con l’annuncio della nascita di un corso di formazione liberale; risposi e mi trovai insieme a pochi altri, credo 20 persone in tutto, a partecipare alla prima edizione della Scuola di Liberalismo.

Non avrei mai immaginato che da quel locale un po’ triste dove si svolgevano le lezioni, sopra un deposito di carta straccia alla Magliana, sarebbe scoccata una scintilla che avrebbe permesso alla scuola di moltiplicarsi in tutta Italia, a me di farmi tantissimi amici (e per 6 anni persino una fidanzata!), ma soprattutto di iniziare un cammino di apertura mentale che solo le idee liberali possono insegnarci. Grazie alla scuola ho potuto visitare paesi e istituzioni: Strasburgo, Bruxelles, la Germania, il Lussemburgo, tornando ogni volta arricchito e al contempo divertito.

Una piccola vanità me la devo concedere: eravamo nel 1994, non avevamo più una sede e ricordo le facce cupe di Enrico Morbelli ed Elvira Cerritelli, preoccupati per la minaccia di chiudere la Scuola, quando per un colpo di fortuna, riuscii a far ospitare i corsi nell’aula magna del Collegio Nazareno! Quanta strada dalla squallida stanzetta della prima edizione alla maestosità di quella nuova sede.

Non è un caso che l’edizione del ’94 è stata quella che ha visto il maggior numero di iscritti, complice anche il fatto che forse in quell’anno sembrava che le idee liberali dovessero trionfare… Non andò proprio così, ma questa è un’altra storia.” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Fausto Carioti (Vice-direttore del quotidiano Libero).

“Sarà stato l’inverno tra il 1990 e il ’91, o giù di lì. Un secolo fa, insomma. Quando dalle scale della Luiss che portano ai piani sotterranei (allora le lezioni si facevano in viale Pola) spunta fuori Giovanni Orsina a dire al sottoscritto e a un pugno di amici, tra cui Vittorio Macioce e Gaetano Pellicano, che a Roma c’erano dei pazzi che organizzavano una Scuola di Liberalismo. Siccome noi ci ritenevamo gli unici liberali della Capitale (unica eccezione i nostri maestri lì in accademia, mostri del calibro di Dario Antiseri, Domenico da Empoli, Lorenzo Infantino e Antonio Martino), l’effetto fu ambivalente: shock e rosicamento per la perdita dell’esclusiva, misti a una certa eccitazione simile a quella provata da Robinson Crosue quando scopre la presenza di Venerdì sull’isola (e sì, non eravamo soli, c’era qualcun altro con cui parlare di idee, e non solo di calcio e dell’altro argomento).

I liberali sono realisti per definizione, e quindi refrattari agli entusiasmi. Soprattutto sono animali individualisti, insofferenti al gruppo e ancora di più al gregarismo. Però, vista con gli occhi di oggi, quella platea che a metà degli anni Novanta sarebbe stata riempita da centinaia di ragazzi, iscritti a una scuola costruita artigianalmente nel salotto di casa Morbelli, resta uno dei ricordi più emozionanti dell’epoca. Parlo per me, ma per una volta credo di poterlo fare anche a nome dei miei quattro o cinque amici liberali di allora e di oggi (sebbene l’uso del “noi”, a loro come a me, continui a procurare forti reazioni allergiche: una volta contratto, il virus dell’individualismo liberale tende ad accompagnarti per tutta la vita).”

Elvira Cerritelli (Coordinatrice Scuola di Liberalismo Roma)

“Uno dei punti di forza della Scuola di Liberalismo è sempre stato la sua connotazione internazionale. Grazie all’energia organizzativa del gruppo che ruota attorno a Enrico Morbelli, oltre alla Scuola nei primi anni ’90 vennero realizzati anche alcuni viaggi in Europa. Per l’esattezza furono quatto: a Strasburgo e Lussemburgo, a Parigi, a Bruxelles e a Berlino. Dettero la possibilità di incontrare liberali d’oltralpe e visitare istituzioni europee, sempre accompagnati o ricevuti da amici liberali che Morbelli aveva sparsi nell’intera Europa.

Eravamo tutti giovani e liberali, e questo credo fossero i principali ingredienti – necessari e sufficienti – per il loro successo. Servirono a far conoscere e amalgamare un gruppo che, con il tempo, a fronte di percorsi personali e professionali molto diversi, si ritrova ancora oggi, ricorda, e soprattutto vede, affronta la vita e risolve i problemi con la lente liberale acquisita alla Scuola e rafforzata con le esperienze internazionali. Per molti era la prima occasione di quel tipo, e come tutte le prime volte, non si dimentica. Ancora oggi, capita di ricordare particolari, aneddoti, piccole e grandi cose imparate, foto che testimoniano un’esperienza unica.

Sulla scia del successo di quei primi viaggi “liberali”, grazie al contributo, preziosissimo, di docenti come Domenico da Empoli e Angelo Maria Petroni, che hanno sempre fatto parte di un circuito internazionale di associazioni e università liberali come la Mont Pelerin Society, la Adam Smith Society e la George Mason University tanto per citarne qualcuna, ad alcuni degli allievi più meritevoli della Scuola di Liberalismo (e con una certa dimestichezza con le lingue) fu data l’opportunità di poter fare esperienze, direi uniche, in giro per l’Europa e negli Stati Uniti.

L’IHS (Institute for Human Studies, oggi IES Institute for Economic Studies) è una Fondazione americana nata in Virginia presso la George Mason University dove c’era James Buchanan (premio Nobel per l’economia nel 1986 e fondatore della “Public Choice”) con sede europea a Parigi, che organizza seminari per la diffusione della teoria liberale (“classical liberalism” come si legge sul sito) tra i giovani studenti e studiosi.

A partire dalla fine degli anni ‘80 a seguito del crollo del muro di Berlino, l’IHS si è concentrato sulla diffusione del liberalismo nei Paesi ex sovietici. Quei primi seminari agli inizi degli anni ’90 si svolsero in posti come l’Estonia, l’Ungheria o la Germania per favorire i partecipanti provenienti dall’est europeo che si affacciavano a istituzioni nuove come il libero mercato, nuove forme di libertà individuale, conoscevano vecchi e nuovi diritti, vedevano nascere e crescere per la prima volta la democrazia con le sue istituzioni, le sue regole, i suoi valori. Oggi l’Asia centrale è fulcro di diversi seminari, e sicuramente, l’IES arriverà in nuovi luoghi dove il liberalismo e la democrazia sono ancora poco noti, ma soprattutto dove la libertà ed il mercato forse non sono ancora troppo di casa.

La formula dei seminari è sostanzialmente rimasta uguale nel corso del tempo. Ad ogni seminario partecipano circa 40 giovani studenti, metà provenienti da diversi Paesi europei e metà provenienti dal Paese ospitante proprio per consentire una osmosi tra menti e culture allora davvero diverse; caratteristica precipua dei gruppi è che non ci sono mai state molte persone della stessa nazionalità. Durante il giorno si svolgono le “lecture” principali o le esercitazioni, mentre la sera dopo cena, gruppi di discussione –coordinati da un docente-analizzano e riflettono sulle letture lette in precedenza prima di partire.

Il successo dei seminari è dovuto a diversi fattori, sicuramente i luoghi prescelti, spesso immersi in scenari naturalistici incontaminati e lontani da qualunque distrazione, che favoriscono quindi la concentrazione massima e il costante lavoro confronto tra studenti e docenti. La qualità del corpo docente è sempre altissima, e poiché docenti e discenti devono vivere tutto il giorno insieme, mangiare insieme, stare a contatto diretto tutto il tempo; c’è la possibilità per tutti di imparare, di dialogare, e quindi di arricchirsi intellettualmente e culturalmente anche di fronte a un hamburger o una tazza di caffè, e magari iniziare a costruire un rapporto che si svilupperà nel tempo, che produrrà nuovo studio e nuove ricerche.

Oggi tutto questo può sembrare qualcosa di semplice e scontato come modello organizzativo di seminari, ma agli inizi degli anni ’90, in un’era senza internet, mail, twitter o facebook, partecipare ai seminari e poi creare dei contatti e mantenerli non era proprio impresa facilissima. Ora con tutti questi nuovi mezzi di comunicazione è possibile invece avere amici liberali in tutto il mondo e confrontarsi quotidianamente con i tanti studiosi liberali, libertari, anarco-capitalisti, tanto per citare alcune delle correnti di pensiero più comuni, che offrono il loro contributo via twitter o facebook e consentono una costante crescita intellettuale.

Personalmente ho partecipato nel 1992 al seminario svolto a Lepanina in Estonia, e nel ‘94 ad un seminario negli Stati Uniti presso la George Mason, perché chi partecipava ai seminari estivi europei riceveva spesso l’invito a presentare candidatura per la partecipazione ai seminari negli Stati Uniti. Inoltre insieme all’Université de la nouvelle économie a Aix-en-Provence diretta da Jacques Garello, IHS organizzava un seminario ai primi di settembre dove erano inviati tutti quelli che avevano partecipato in giro per l’Europa o per il mondo ai seminari IHS. Fu proprio in quelle occasioni che ebbi l’occasione di conoscere persone come Carlo Lottieri, Marco Bassani, Nicola Iannello, liberali, anzi libertari e amici.

Non di meno hanno vissuto esperienze simili alla mia altri frequentatori della Scuola di liberalismo come Stefano da Empoli e Patrizia Tumbarello che andarono in Ungheria, o Corrado Rajola che come me è andato sia in Europa che negli USA a Seattle, oltre che molte volte a Aix-en-Provence.

Non posso non raccontare l’entusiasmo per la partecipazione a quei seminari, perché per uno studente universitario italiano, passare dalle polverose aule delle facoltà delle università italiane, in cui a volte l’unico momento di rapporto diretto con un professore è solo all’esame, a un contatto diretto e continuo con docenti che ti stimolano a pensare, a riorganizzare quanto hai appreso in una chiave diversa è una grande ginnastica mentale, un arricchimento che darà frutti per il resto della propria vita. È come ottenere una lente nuova, con cui vedere il mondo, analizzare la vita, operare al meglio ed effettuare le proprie scelte.

Ho ancora la raccolta delle fotocopie degli articoli e dei saggi che ho dovuto leggere prima di andare al seminario e di cui si discuteva la sera dopo cena. La location scelta era una costruzione sul Baltico che in tempo sovietico era destinata a centro estivo per ufficiali, e ovviamente rispondeva benissimo alla caratteristica comune a tutte le sedi dei seminari, era davvero lontana da tutto e tutti per evitarci distrazioni. Quindi non potevi fare altro che stare lì e parlare, in chiave liberale di tutto e di più; fu lì che incontrai, ad esempio il prof. Leonard Liggio (che poi ritrovai qualche anno dopo negli Stati Uniti a GMU) storico attentissimo alle cose italiane che mi fornì allora una chiave di lettura dell’emergente fenomeno della Lega che era assolutamente precisa e puntuale, ed il prof. Norman Berry, filosofo inglese che preziosi suggerimenti ed insegnamenti mi ha dato in un campo che per me non era familiarissimo avendo una formazione prettamente giuridica.

In America avvenne un episodio curioso, un gruppo di ricercatori della GMU stava sperimentando un modello econometrico ed aveva bisogno di un gruppo per testarne la validità applicativa. Così ci ritrovammo a effettuare delle simulazioni fornendo dei dati ed alla fine quelli che avevano fornito le risposte giuste vennero pagati, in dollari, e ricordo la sorpresa di ritrovarmi in mano con del denaro che ripagava circa la metà del costo del mio volo! Infatti per partecipare ai seminari bastava pagarsi il viaggio, a tutti gli altri costi provvedeva IHS. Anche oggi è possibile frequentare i seminari IES, che ovviamente si sono evoluti sia nella struttura organizzativa che nella formula, ma la magia per un giovane sono certa è e rimane inalterata. Gli italiani sono spesso tacciati di provincialismo e queste esperienze, consentono un “assaggio” di mondo liberale fuori dai confini patri, che pochi altri tipi di esperienze offrono e garantiscono.

Ho incontrato molti giovani che negli ultimi lustri hanno seguìto la Scuola di Liberalismo e poi sono andati a fare i seminari IES in Europa o in America, e devo dire che il fascino di queste frequentazioni resta immutato, così come il ricordo sempre entusiasta, e la percezione, fortissima, di aver fatto una esperienza che rimarrà unica per il resto della propria vita è quello che si legge negli occhi di chi racconta la partecipazione al “proprio seminario”; ed anzi pensano che il binomio scuola-seminario IES sia stata una opportunità unica ed irripetibile, e soprattutto assolutamente imperdibile.

Una cosa infine posso dire con assoluta certezza: arrivare ai seminari dicendo di provenire dall’Italia per il tramite della Fondazione Einaudi e la Scuola di Liberalismo, è sempre stato, e sempre sarà il miglior biglietto da visita per presentarsi, ed è un biglietto che vale oro.”

Stefano Da Empoli (Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività).

“I miei ricordi della Scuola di liberalismo sono inevitabilmente influenzati dall’esservi arrivato da figlio di uno dei docenti della prima ora. Non è un caso che giunsi alla Scuola, ancora minorenne, insieme ad Alberta Martino, figlia di Antonio, di poco più grande. Insomma, ci facemmo coraggio insieme, nell’affrontare docenti e organizzatori, inevitabilmente amici dei rispettivi padri, e studenti come noi, che, oltre a poterci imbarazzare con i loro giudizi sui nostri genitori, ci avrebbero potuto vedere in una luce diversa, non necessariamente gradevole. Il risultato fu decisamente migliore delle aspettative. Forse complice il genius loci (il Teatro della Scaletta, con le sale di prova e i costumi di scena, il suo essere a pochi metri dalla Roma che conta), le idee liberali, che avevo la fortuna di avere appreso già in casa, acquistavano un nuovo fascino. E, soprattutto, incredibile a dirsi per un liceale della Cassia come me, potevano diventare oggetto di infinite discussioni con dei coetanei o quasi-coetanei.

Nella Scuola, nacquero molti rapporti di amicizia e di conoscenza, non pochi dei quali sono sopravvissuti all’inevitabile erosione del tempo e ai diversi percorsi, anche geografici, intrapresi successivamente. In più, il metodo socratico di discussione della Scuola, almeno di quella Scuola, lo portai con me nelle esperienze successive. A cominciare dalla breve ma intensa parentesi di politica attiva, quando promuovemmo con Nicola Porro e altri giovani militanti della Gioventù Liberale italiana un cenacolo serale che si alimentava degli stessi mostri sacri del liberalismo e in parte delle stesse persone che affollavano il teatro in miniatura di via del Collegio Romano.

Non sempre ritrovai lo stesso spirito interattivo, da università americana più che da tipico corso italico, in alcune delle frequentazioni della Scuola che feci in tempi più recenti. Notai anche un aumento dell’età media dei frequentanti. Era, forse, la conseguenza dell’implosione della grande eccitazione dei primi anni Novanta, quando il liberalismo era di minoranza ma si preparava, secondo molti di noi, a diventare maggioranza; oppure delle condizioni di contesto culturale oggettivamente cambiate (queste per fortuna in meglio): la pubblicazione in italiano di tanti classici del liberalismo, la nascita di think tank liberali se non libertari, che promuovono iniziative simili, l’ascesa di Internet, che consente di apprendere e interloquire senza bisogno di intermediazioni.

Tuttavia, mi pare di poter dire che non è affatto semplice riprodurre negli schemi odierni, magari più moderni e aggiornati ma anche più dogmatici, la dialettica davvero aperta, nel senso popperiano del termine, della Scuola di Liberalismo. Tra tutte cito l’eterna querelle tra liberali di sinistra e di destra (per semplificare, tra seguaci di Dahrendorf e Hayek). Che oggi non trova un vero luogo di confronto. Chissà che questa non possa tornare ad essere la vera ragione d’essere della Scuola nei prossimi anni e decenni. Per far discutere chi viene da posizioni diverse, e magari non le cambia, almeno nel breve periodo, ma ne esce arricchito di un bagaglio culturale e argomentativo di valore inestimabile. In altre parole l’essenza del liberalismo laicamente inteso.”

Gaetano De Salvo (dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri).

Bilancio e opportunità

“Le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole. Questa peraltro non è una novità.” (Carlo M. Cipolla, Allegro – ma non troppo)

1992. Venti anni fa. Un’altra epoca. Alla cerimonia conclusiva della Scuola di liberalismo ero in t-shirt (suonava meglio dell’italica maglietta), speravo nel premio, ma non troppo. T-shirt dunque, e niente prima fila. Nella fotografia sorrido con un po’ d’imbarazzo, mentre Valerio Zanone mi stringe la mano consegnando la borsa di studio.

Utilizzai il denaro, lire naturalmente, per chi ancora se le ricorda, per andare negli Stati Uniti, George Mason University, e raccogliere il materiale per la tesi di laurea. C’era James Buchanan, importanti ragioni di studio e ricerca dunque, ma, suvvia, c’erano anche ragioni sentimentali.

Il titolo della tesina che mi ha fatto vincere il premio era Bilancio statale e opportunità costituzionali, articolo 81 della Costituzione, Einaudi, Vanoni e il pareggio di bilancio. Il debito pubblico italiano era un milione e mezzo di miliardi, lire naturalmente. Ventisette milioni a cittadino. Dopo, ci ho scritto su la tesi di laurea e vinto un concorso. Adesso, da privilegiato spettatore (quasi) di prima fila, rigorosamente in gessato e cravatta, vedo che a Bruxelles la regola di bilancio è stata chiamata golden rule e che oltre alle idee anche le parole, effettivamente, governano le cose del mondo, in particolare le parole mantenute.

1992. Grazie” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Nicola Iannello (giornalista di RAI Televideo).

“Tutto iniziò con una telefonata di Morbelli. Lavoravo alla RAI di Trieste e quella voce profonda e modulata che avevo abitualmente ascoltato alla radio (fin da bambino, ho poi sempre perfidamente raccontato) mi invitava a tenere una lezione alla Scuola di Liberalismo di Milano, anno 2000. Entrai allora in un ‘giro’ dal quale non sono ancora uscito. Tra i miei fiori all’occhiello, tra i vanti della mia vita intellettuale e mondana, spicca anche il titolo di “condirettore” della Scuola di Liberalismo, al fianco dell’unico e inimitabile “direttorissimo”. È accaduto a Roma, tra il 2007 e il 2009, quando l’Istituto Bruno Leoni decise di coorganizzare il ciclo di lezioni degli Amici della Fondazione Einaudi.

Le mie trasferte in missione per conto di Morbelli (ma talora anche con lui) annoverano viaggi a Torino, Palermo, Sulmona, Parma, Cervinara, Catanzaro, Bologna, dove sotto le insegne einaudiane la Scuola ha aperto con successo le sue “filiali”. In anni in cui la parola “liberale” in Italia faceva pensare ad aristocratici signori in giacca di tweed o ad anacronistici difensori del bel tempo che fu, solo la Scuola di Liberalismo teneva alta una tradizione altrimenti destinata all’oblio.

Poi tutti diventarono liberali. Anche in questo frangente, la Scuola è stata punto di riferimento per chi non voleva smarrirsi nella notte in cui tutte le vacche son nere. Oggi che il liberalismo è in disgrazia – per tacere del liberismo, accusato di ogni nefandezza, debito “pubblico” incluso – l’iniziativa morbelliana continua la sua testimonianza e la sua evangelizzazione, con discrezione, misura ed equilibrio, nel nome di uno dei maggiori liberali del Novecento italiano.

Luigi Einaudi non era solo un liberale a ventiquattro carati, un economista raffinato, un politico di princìpi integri, un divulgatore efficace; era anche un piemontese pragmatico che sapeva come l’impegno concreto fosse necessario per la diffusione delle idee di libertà. La Fondazione che porta il suo nome questo fa da mezzo secolo. La Scuola di Liberalismo è solamente una delle sue attività, dalla quale sono passate generazioni di studenti, molti dei quali hanno portato nelle loro vite e professioni i valori di libertà appresi in quella sede. Lunga vita alla Fondazione Einaudi, ai suoi Amici e alla Scuola di Liberalismo!” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Beatrice Lorenzin (deputata PdL al parlamento nazionale).

“Fra le tante ragazze che hanno frequentato i corsi di formazione della Scuola di Liberalismo, Beatrice Lorenzin vanta l’iscrizione a due consecutive edizioni: quelle del 1994 e del 1995. Ed ebbe anche occasione di portare un contributo a quella successiva consentendo la pubblicazione del libro delle lezioni. All’epoca Beatrice era una studentessa di giurisprudenza, con un’antecedente formazione classica, mossa da quella ventata di rinnovamento liberale che in quegli anni pervadeva il nostro paese. In un particolare momento di transizione nella vita politica italiana, in cui molti, e da più parti, si proclamavano “liberali”, la futura parlamentare della PdL trovò nella Scuola di Liberalismo molte risposte alle domande che il suo entusiasmo le aveva sollecitato. Acquisendo così la consapevolezza delle motivazioni che furono alla base del suo futuro impegno politico.

Infatti l’anno dopo Beatrice venne eletta Consigliere nel XIII° Municipio, uno dei quartieri maggiormente popolosi di Roma. Forte di questa prima esperienza estremamente formativa, in quanto vissuta sul territorio in mezzo alla gente, nel 2001 entrò in Campidoglio quale Consigliere comunale di Roma, dopo un’impegnativa campagna elettorale, condotta “porta a porta”, incontrando personalmente migliaia di elettori, ascoltandoli sempre tutti, anche quelli dichiaratamente di opposti schieramenti. Successivamente, nel maggio del 2008, entra alla Camera dei Deputati, con la XVI° legislatura, ed anche in quell’occasione viene supportata dalla sua antecedente formazione, scelse infatti di partecipare ai lavori della I° Commissione “Affari costituzionali”; il seme gettato molti anni addietro, seguendo i corsi della Scuola di Liberalismo, aveva ormai dato i suoi frutti.

Quando chiesi all’onorevole Lorenzin cosa l’avesse portata la prima volta a frequentare quelle lezioni in quegli anni lontani, la risposta fu: “Il nome di Luigi Einaudi e la mia femminile curiosità”. E la seconda? “Volevo approfondire le tesi di politica economica elaborate da Von Hayeck e da Von Mises, i fondatori della scuola austriaca, nonché i precursori del sistema economico liberale moderno.” (intervista di Fabio Verna)

Carlo Lottieri (docente dell’Università di Siena).

“Quando penso alla Scuola di Liberalismo la mia memoria si muove lungo due diverse direzioni. In primo luogo, mi vengono alla mente le numerose trasferte italiane che, negli anni, ho affrontato per incontrare giovani e meno giovani, confrontarmi sui temi della libertà e del mercato, della proprietà privata e della concorrenza, del federalismo e del diritto di secessione. In varie parti della penisola queste iniziative hanno creato occasioni di confronto e amicizia.

Al tempo stesso, però, non posso scordare come molti studenti che avevano frequentato i vari corsi io li abbia conosciuti nei seminari estivi dell’IHS – Europe (ora IES): a Gummersbach, in Germania, o in qualche minuscola località bulgara oppure romena. Negli anni, tali incontri sono stati il prolungamento naturale delle scuole e hanno contribuito a rafforzare, in molti, quella passione per la conoscenza e la libertà che poi li ha spinti a diventare a loro volta docenti in giro per il mondo: dagli Stati Uniti alla Bosnia, al Sud Africa. Perché l’avventura della libertà valica ogni confine.” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Alberto Mingardi (direttore dell’Istituto Bruno Leoni).

“Si chiamano Scuole di Liberalismo perché a inizio anni Novanta, nel nostro Paese, del liberalismo andavano insegnati persino i rudimenti. Bisognava ricominciare dalle prime lettere di un alfabeto che era stato non dimenticato ma studiatamente rimosso: nel Paese di Vilfredo Pareto, Luigi Einaudi e Bruno Leoni. Vent’anni buttati dalla politica si spiegano anche così: una confusa voglia di libertà che si agitava fra gli italiani, l’assenza di una classe dirigente in grado di interpretarla.

Le Scuole hanno arato un terreno aspro, perché le idee di libertà potessero trovare di nuovo gli unici campi di battaglia loro congeniali: la mente e il cuore delle persone. Il loro compito non si è certo esaurito, ma pensiamo agli amici, alle discussioni, agli scontri, alle suggestioni che ci hanno regalato in questi anni. Le idee liberali possono vincere solo così. Cambiando una testa alla volta.” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Gaetano Pellicano (consulente economico dell’Ambasciata degli Stati Uniti).

“Scendevi qualche gradino, ti accoglieva un teatrino un po’ umido (La Scaletta, che ora non c’è più) e in quell’angolo di mondo ti ritrovavi con quei quattro gatti di giovani aspiranti liberali. Un rito settimanale, un esercizio di identità collettiva negata e proprio per questo indispensabile quando a vent’anni cerchi un approdo ideale, possibilmente minoritario. Pochi nella storia del tuo Paese, pochi nelle aule universitarie, pochi al mercato delle idee, eppure istintivamente liberali. Ecco cosa serviva a molti di noi: un percorso ideale, un collegamento con i pochi maestri disponibili, un’occasione per sapere che altri come te, o anche più di te, volevano la libertà di tutti come criterio per esplorare il mondo e incardinare il proprio futuro. Tempo qualche mese, Giovanni, Elvira, Gianni, Fausto, Nadia… uno dopo l’altro diventavano i tuoi interlocutori, i tuoi amici, i tuoi compagni di viaggio. Arrivato il tempo dei saluti si apriva la stagione delle tesine con relativo premio: Parigi, viaggio studio che sapeva tanto di vacanza. Di corsa per partecipare al bando della Fondazione Einaudi: borsa per fare ricerca sull’ombudsman dei giornali anglosassoni. Leggi, studia, scrivi, il professor Da Empoli che ti sprona. Il ritmo inizia ad incalzare, qualche sogno diventa progetto, altri si perdono nella confusione di entusiasmi che si accavallano. E dopo qualche anno ritrovi il grande maestro Morbelli che con il solito sorriso ti chiama nuovamente in causa. La Scuola di Liberalismo è sempre lì anzi non solo più lì, ma in giro per l’Italia ed è il momento di rimboccarsi le maniche e passare dall’altra parte del tavolo. Tu parli di innovazione, imprenditorialità, politica americana e incontri volti freschi, più sicuri di sé e del proprio liberalismo trionfante di fine anni Novanta. La storia finita, prosperità in abbondanza per tutti, le sorti progressive del globo che si diffondono mentre Osama preparava il grande botto. Qualche anno ancora e il liberalismo torna ad essere il nemico di sempre: la gente chiede più regole e più spesa pubblica, loro ci regalano più tasse. E ti domandi: perché non rinominarla “Scuola della Resistenza Antistatalista”? (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Nicola Porro (vicedirettore de “Il Giornale”).

“La prima Scuola di Liberalismo sembrava davvero una roba da pazzi. Enrico Morbelli era dunque perfetto nell’animarla; faceva tutto: dal segretario al direttore. Aveva messo al lavoro i due figli minorenni e indirizzo della scuola e quello del direttore coincidevano per il semplice fatto che la sede legale era a casa sua. Per le lezioni aveva rimediato una sorta di scantinato dalle parti di viale Marconi, o giù di lì. A Roma i liberali, quelli doc del partito, stavano a Via Frattina. Quelli regionali e locali a piazza Fontana di Trevi. L’Opinione di Rossana Livolsi a via Leccosa, dietro via della Scrofa. E Morbelli che ti trova? Viale Marconi. Come dire: spostare la caccia in periferia.

Eravamo una pattuglia: direi non più di una ventina. E stavamo lì a scoprire autori e pensatori sconosciuti al grande pubblico. Ci parlarono degli Austriaci ma anche di Einaudi. Dei monetaristi, ma anche di Croce. Provenivamo tutti da giri diversi. Il problema della prima scuola, ci confidò anni dopo Morbelli, era trovare docenti liberali a sufficienza: la merce all’epoca scarseggiava.

Chi ha fatto la prima Scuola di Liberalismo serba una certa sciocca antipatia per coloro che negli anni l’hanno scoperta. È la medesima ritrosia che i randiani hanno nel consigliare The Fountain Head o Atlas Shrugged a chi non se lo merita. Insomma la prima Scuola di Liberalismo era carbonara e affascinante. Raccontava i liberali, quando il termine sembrava appartenere solo a chi fosse dotato di barbetta e monocolo. L’idea che poi la Scuola di Liberalismo sia diventata quel che è diventata, con il suo clamoroso successo, ci provoca un po’ di invidia. Ho incontrato gente, in epoca recente, che ha cercato di spiegare a me (un reduce, un eroe della prima ora, un partigiano, un ferito di guerra) le virtù dell’invenzione morbelliana. Ma fatemi il piacere.

A parte i mostri sacri del pensiero liberale italiano (Martino, Ricossa, Urbani, da Empoli solo per citarne alcuni), la scuola iniziò a corteggiare le nuove leve del pensiero liberale. Fu saccheggiata, quando ancora non era fighetta, la Luiss. Uno su tutti mi va di ricordare: Lorenzo Infantino con il suo garbo raccontava nel dettaglio la struttura del metodo liberale, che mai si farà ideologia. Il corso di lezioni è stato per molti di noi un’affascinante scuola di pensiero libero. Non ha creato un club, una conventicola, una loggetta, ma ha saputo dare una struttura alle nostre convinzioni personali che altrimenti si sarebbero disperse nella confusione dell’ordinario.” (testo raccolto da Elvira Cerritelli e Alessandro Scuro)

Corrado Rajola (funzionario dell’ENI).

“I miei ricordi partono da Napoli dove ho frequentato la Scuola negli anni 1999-2000-2001. Per due volte ho vinto una borsa di studio e nel 2002 sono stato “promosso” coordinatore del corso. Poi c’è il capitolo IES: ho frequentato l’università estiva della Nuova Economia di Aix-en-Provence nel 2000 e 2001. Nel 2001 l’IES lanciò un concorso sulla figura di Bastiat, dal titolo: The relevancy of Bastiat’s thought for our present time. La mia tesina vinse il primo premio (anche il secondo premio andò a un italiano, pure lui della Scuola: Raffaele Marchetti che oggi insegna alla LUISS), con pubblicazione – in inglese – sul sito dell’IES e – in italiano – su Libro Aperto (oltre che sul sito della Fondazione). Sempre riguardo ai seminari IES, nel 2002 sono stato a Gummersbach (Germania) e nel 2004 al seminario dell’IHS americana a Seattle.

Che dire: sono state delle esperienze fantastiche; mi hanno aiutato a stimolare senso critico; ho conosciuto tanta gente interessante; mi ha dato la possibilità di andare ad Aix; e poi mi hanno fatto conoscere l’affascinante avventura del liberalismo e ho capito che il liberalismo più che una ideologia (come viene impropriamente etichettata da chi non lo conosce) è un modo di porsi nell’affrontare la vita. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo.” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Florindo Rubbettino (editore).

Florindo Rubbettino, 41 anni, comproprietario dell’omonima casa editrice, è stato uno studente della Scuola di Liberalismo, in anni ormai lontani. “Ho partecipato, come allievo, a due scuole – ricorda -: quella del 1993 e quella del 1995. Ma confesso che la seconda volta seguii poche lezioni”.

Quando conobbe la Scuola di Liberalismo?

Mi sono iscritto alla Scuola quando frequentavo il secondo anno di università. alla Luiss, facoltà di Scienze politiche; e lì avevo già incontrato un nucleo importante di liberali, come Dario Antiseri, Lorenzo Infantino, Antonio Martino. La mia prima formazione liberale proveniva dalla frequentazione delle lezioni del primo anno.

Poi arrivò anche la Scuola…

Sì, in facoltà vidi una locandina della Scuola, e decisi di iscrivermi. Quello che mi colpì fu la molteplicità degli argomenti trattati. Uno spettro veramente ampio, che andava dalla filosofia all’arte. Sgarbi, ricordo, parlava di arte e libertà.

Che cosa le piacque del corso?

La libertà di pensiero. Forse fu questo l’insegnamento più importante: i liberali, appresi, non erano monolitici. Non avevano una visione integrale e totalizzante delle cose. Esprimevano idee plurali e, spesso, in competizione tra loro. Questo ammaestramento mi è stato utile quando ho intrapreso l’attività editoriale. Credo che un editore debba accogliere idee plurali.

Adesso è il nostro padrone di casa. Le lezioni della Scuola romana, infatti, si svolgono nella sede della Rubbettino.

Sì, a distanza di tempo sono diventato padrone di casa, è vero. Qualche tempo fa partecipai anche ad una lezione inaugurale. Morbelli fu molto amabile e mi invitò a parlare.

Cosa direbbe ad uno studente di oggi?

Gli consiglierei di iscriversi alla Scuola di Liberalismo: sarebbe un investimento importante per il suo futuro. Gli porterebbe un arricchimento personale e culturale. Anche perché il pensiero liberale è ancora poco conosciuto. Purtroppo.” (intervista di Saro Freni)

Patrizia Tumbarello (dirigente del Fondo Monetario).

Patrizia Tumbarello, ex allieva della Scuola di Liberalismo, lavora oggi al Fondo monetario internazionale. È capo unità all’estero del dipartimento asiatico (Asia e isole del Pacifico).

Come si avvicinò alla Scuola di Liberalismo?

Studiavo Scienze politiche: la Scuola era coerente con il mio percorso di studi. Ero assetata di sapere. Seguivo tanti corsi per arricchire il mio bagaglio culturale. Quello che mi affascinò, in particolare, fu il fatto che Enrico Morbelli puntò sui giovani: fu la sua grande intuizione. È un’esigenza ancora attuale, mi sembra: l’Italia fa fatica ad avere una classe dirigente giovane.

Fu questo che la colpì maggiormente…

Sì, e poi anche il fatto che c’era un panel prestigioso. Inoltre, venivano proposte molte esperienze all’estero.

C’è una lezione che le è rimasta impressa in modo particolare?

Sì, quella di Antonio Martino. Ci disse che “essere liberale oggi significa saper essere conservatore, quando si tratta di difendere libertà già acquisite, e radicale, quando si tratta di conquistare spazi di libertà ancora negati. Reazionario per recuperare libertà che sono andate smarrite, rivoluzionario quando la conquista della libertà non lascia spazio ad altrettante alternative. E progressista sempre, perché senza libertà non c’è progresso”. L’ha scritto anche nel suo blog. Non sono concetti fuori moda; anzi, sono ancor più importanti oggi, alla luce del processo di globalizzazione. Certo, la strada è ancora in salita.

Lei partecipò anche ai seminari estivi…

Sì. Uno era in Ungheria, all’indomani della caduta del Muro di Berlino. C’era un sentimento di speranza, tra i giovani dell’Est; una gran voglia di confrontarsi. Fu un’esperienza lirica, da un punto di vista umano. Gli altri seminari si tennero in Francia, ad Aix-en-Provence. Anche lì c’erano molti giovani che venivano dall’Est Europa: dalla Romania, dalla Russia. Un seminario era sulla previdenza sociale. Avevo appena terminato il mio master a Torino, nel quale Elsa Fornero ci spiegò la flex security.

Che cosa le ha insegnato la Scuola?

Mi ha fatto capire l’importanza del dialogo, degli studi comparati, del confronto tra punti di vista diversi, tra differenti impostazioni. Poi sono partita, ho studiato ad Harvard; ma la Scuola ha sempre rappresentato un pilastro della mia vita, anche dal punto di vista umano.

(intervista di Saro Freni)

Giovanni Vetritto (dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri).

“Se oggi sono un liberale – meglio, se oggi sono un liberale di sinistra – è anche per merito della Scuola di Liberalismo della Fondazione Einaudi di Roma. Negli anni dell’università, il mio esuberante e indistinto amore per la libertà, quello istintivo e non ragionato dei vent’anni, un po’ anarcoide e radicaleggiante, era diventato pian piano liberalismo, attraverso tante letture, ma soprattutto attraverso la “falsificazione” (popperiana) dell’Hayek tanto studiato con il grande Franco Romani, condotta grazie al “nuovo liberalismo” (in realtà tanto antico) di un fondamentale saggio di Dahrendorf del 1988. Poi una locandina mi indirizzò a quella Scuola, nella quale allora si rispecchiavano con un certo equilibrio le vocazioni di destra e di sinistra della cultura liberale; un equilibrio (sia detto senza acrimonia, con il sincero rammarico che si può esternare a un vecchio amico) che negli anni mi è parso illanguidire e lasciare spazio a una visione troppo univoca e univocamente conservatrice.

Allora no. Allora, in quelle lezioni, ho potuto ascoltare studiosi coerentemente conservatori, ma ho anche conosciuto le persone con cui ancora oggi testardamente conduco la mia battaglia culturale di liberale di sinistra, nella Fondazione Critica liberale: Enzo Marzo, Beatrice Rangoni Machiavelli.

Anche tra noi discepoli si riproduceva quella dicotomia, quella divisione verticale. Ormai diversi anni fa Alain Minc profetizzava che lo scontro finale della modernità sarebbe stato quello tra liberali di sinistra e liberali di destra; quella Scuola, per come era allora, un po’ ha seminato in tutti e due i campi, Giovanni Vetritto e Carlo Staccioli da una parte, Nicola Porro e Alfredo Borgia dall’altra. Un viaggio finale, in visita alle istituzioni dell’Unione Europea, fu l’occasione per confermare quelle differenze, ma anche per ricomporle nella gioiosa goliardia che, al di là di quelle stesse differenze, solo a vent’anni è dato godere, esplorando Bruxelles stretti attorno a una busta di cioccolatini.

Alcuni anni dopo sono tornato a quella Scuola, stavolta dietro la cattedra. Poi il contatto si è interrotto. Ma quelle serate di discussioni e passione sulle poltroncine di un piccolo teatro del centro di Roma restano indelebili nella memoria.” (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

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Alfredo Borgia (Responsabile rapporti parlamento ed Enti Locali – Sky).

Avevo compiuto da poco 18 anni – ahimè più di venti anni fa – quando su un giornale lessi un boxino con l’annuncio della nascita di un corso di formazione liberale; risposi e mi trovai insieme a pochi altri, credo 20 persone in tutto, a partecipare alla prima edizione della Scuola di Liberalismo.

Non avrei mai immaginato che da quel locale un po’ triste dove si svolgevano le lezioni, sopra un deposito di carta straccia alla Magliana, sarebbe scoccata una scintilla che avrebbe permesso alla scuola di moltiplicarsi in tutta Italia, a me di farmi tantissimi amici (e per 6 anni persino una fidanzata!), ma soprattutto di iniziare un cammino di apertura mentale che solo le idee liberali possono insegnarci. Grazie alla scuola ho potuto visitare paesi e istituzioni: Strasburgo, Bruxelles, la Germania, il Lussemburgo, tornando ogni volta arricchito e al contempo divertito.

Una piccola vanità me la devo concedere: eravamo nel 1994, non avevamo più una sede e ricordo le facce cupe di Enrico Morbelli ed Elvira Cerritelli, preoccupati per la minaccia di chiudere la Scuola, quando per un colpo di fortuna, riuscii a far ospitare i corsi nell’aula magna del Collegio Nazareno! Quanta strada dalla squallida stanzetta della prima edizione alla maestosità di quella nuova sede.

Non è un caso che l’edizione del ’94 è stata quella che ha visto il maggior numero di iscritti, complice anche il fatto che forse in quell’anno sembrava che le idee liberali dovessero trionfare… Non andò proprio così, ma questa è un’altra storia. (testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Fausto Carioti (Vice-direttore del quotidiano Libero).

Sarà stato l’inverno tra il 1990 e il ’91, o giù di lì. Un secolo fa, insomma. Quando dalle scale della Luiss che portano ai piani sotterranei (allora le lezioni si facevano in viale Pola) spunta fuori Giovanni Orsina a dire al sottoscritto e a un pugno di amici, tra cui Vittorio Macioce e Gaetano Pellicano, che a Roma c’erano dei pazzi che organizzavano una Scuola di Liberalismo. Siccome noi ci ritenevamo gli unici liberali della Capitale (unica eccezione i nostri maestri lì in accademia, mostri del calibro di Dario Antiseri, Domenico da Empoli, Lorenzo Infantino e Antonio Martino), l’effetto fu ambivalente: shock e rosicamento per la perdita dell’esclusiva, misti a una certa eccitazione simile a quella provata da Robinson Crosue quando scopre la presenza di Venerdì sull’isola (e sì, non eravamo soli, c’era qualcun altro con cui parlare di idee, e non solo di calcio e dell’altro argomento).

I liberali sono realisti per definizione, e quindi refrattari agli entusiasmi. Soprattutto sono animali individualisti, insofferenti al gruppo e ancora di più al gregarismo. Però, vista con gli occhi di oggi, quella platea che a metà degli anni Novanta sarebbe stata riempita da centinaia di ragazzi, iscritti a una scuola costruita artigianalmente nel salotto di casa Morbelli, resta uno dei ricordi più emozionanti dell’epoca. Parlo per me, ma per una volta credo di poterlo fare anche a nome dei miei quattro o cinque amici liberali di allora e di oggi (sebbene l’uso del “noi”, a loro come a me, continui a procurare forti reazioni allergiche: una volta contratto, il virus dell’individualismo liberale tende ad accompagnarti per tutta la vita)

Stefano da Empoli (Presidente di I-Com, Istituto per la Competitività).

I miei ricordi della Scuola di liberalismo sono inevitabilmente influenzati dall’esservi arrivato da figlio di uno dei docenti della prima ora. Non è un caso che giunsi alla Scuola, ancora minorenne, insieme ad Alberta Martino, figlia di Antonio, di poco più grande. Insomma, ci facemmo coraggio insieme, nell’affrontare docenti e organizzatori, inevitabilmente amici dei rispettivi padri, e studenti come noi, che, oltre a poterci imbarazzare con i loro giudizi sui nostri genitori, ci avrebbero potuto vedere in una luce diversa, non necessariamente gradevole. Il risultato fu decisamente migliore delle aspettative. Forse complice il genius loci (il Teatro della Scaletta, con le sale di prova e i costumi di scena, il suo essere a pochi metri dalla Roma che conta), le idee liberali, che avevo la fortuna di avere appreso già in casa, acquistavano un nuovo fascino. E, soprattutto, incredibile a dirsi per un liceale della Cassia come me, potevano diventare oggetto di infinite discussioni con dei coetanei o quasi-coetanei. Nella Scuola, nacquero molti rapporti di amicizia e di conoscenza, non pochi dei quali sono sopravvissuti all’inevitabile erosione del tempo e ai diversi percorsi, anche geografici, intrapresi successivamente. In più, il metodo socratico di discussione della Scuola, almeno di quella Scuola, lo portai con me nelle esperienze successive. A cominciare dalla breve ma intensa parentesi di politica attiva, quando promuovemmo con Nicola Porro e altri giovani militanti della Gioventù Liberale italiana un cenacolo serale che si alimentava degli stessi mostri sacri del liberalismo e in parte delle stesse persone che affollavano il teatro in miniatura di via del Collegio Romano.

Non sempre ritrovai lo stesso spirito interattivo, da università americana più che da tipico corso italico, in alcune delle frequentazioni della Scuola che feci in tempi più recenti. Notai anche un aumento dell’età media dei frequentanti. Era, forse, la conseguenza dell’implosione della grande eccitazione dei primi anni Novanta, quando il liberalismo era di minoranza ma si preparava, secondo molti di noi, a diventare maggioranza; oppure delle condizioni di contesto culturale oggettivamente cambiate (queste per fortuna in meglio): la pubblicazione in italiano di tanti classici del liberalismo, la nascita di think tank liberali se non libertari, che promuovono iniziative simili, l’ascesa di Internet, che consente di apprendere e interloquire senza bisogno di intermediazioni. Tuttavia, mi pare di poter dire che non è affatto semplice riprodurre negli schemi odierni, magari più moderni e aggiornati ma anche più dogmatici, la dialettica davvero aperta, nel senso popperiano del termine, della Scuola di Liberalismo. Tra tutte cito l’eterna querelle tra liberali di sinistra e di destra (per semplificare, tra seguaci di Dahrendorf e Hayek). Che oggi non trova un vero luogo di confronto. Chissà che questa non possa tornare ad essere la vera ragione d’essere della Scuola nei prossimi anni e decenni. Per far discutere chi viene da posizioni diverse, e magari non le cambia, almeno nel breve periodo, ma ne esce arricchito di un bagaglio culturale e argomentativo di valore inestimabile. In altre parole l’essenza del liberalismo laicamente inteso.

Gaetano De Salvo (dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri).

Bilancio e opportunità

“Le faccende umane si trovano, per unanime consenso, in uno stato deplorevole. Questa peraltro non è una novità.” (Carlo M. Cipolla, Allegro – ma non troppo)

1992. Venti anni fa. Un’altra epoca. Alla cerimonia conclusiva della Scuola di liberalismo ero in t-shirt (suonava meglio dell’italica maglietta), speravo nel premio, ma non troppo. T-shirt dunque, e niente prima fila. Nella fotografia sorrido con un po’ d’imbarazzo, mentre Valerio Zanone mi stringe la mano consegnando la borsa di studio.

Utilizzai il denaro, lire naturalmente, per chi ancora se le ricorda, per andare negli Stati Uniti, George Mason University, e raccogliere il materiale per la tesi di laurea. C’era James Buchanan, importanti ragioni di studio e ricerca dunque, ma, suvvia, c’erano anche ragioni sentimentali.

Il titolo della tesina che mi ha fatto vincere il premio era Bilancio statale e opportunità costituzionali, articolo 81 della Costituzione, Einaudi, Vanoni e il pareggio di bilancio. Il debito pubblico italiano era un milione e mezzo di miliardi, lire naturalmente. Ventisette milioni a cittadino. Dopo, ci ho scritto su la tesi di laurea e vinto un concorso. Adesso, da privilegiato spettatore (quasi) di prima fila, rigorosamente in gessato e cravatta, vedo che a Bruxelles la regola di bilancio è stata chiamata golden rule e che oltre alle idee anche le parole, effettivamente, governano le cose del mondo, in particolare le parole mantenute.

1992. Grazie

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Nicola Iannello (giornalista di RAI Televideo).

Tutto iniziò con una telefonata di Morbelli. Lavoravo alla RAI di Trieste e quella voce profonda e modulata che avevo abitualmente ascoltato alla radio (fin da bambino, ho poi sempre perfidamente raccontato) mi invitava a tenere una lezione alla Scuola di Liberalismo di Milano, anno 2000. Entrai allora in un ‘giro’ dal quale non sono ancora uscito. Tra i miei fiori all’occhiello, tra i vanti della mia vita intellettuale e mondana, spicca anche il titolo di “condirettore” della Scuola di Liberalismo, al fianco dell’unico e inimitabile “direttorissimo”. È accaduto a Roma, tra il 2007 e il 2009, quando l’Istituto Bruno Leoni decise di coorganizzare il ciclo di lezioni degli Amici della Fondazione Einaudi.

Le mie trasferte in missione per conto di Morbelli (ma talora anche con lui) annoverano viaggi a Torino, Palermo, Sulmona, Parma, Cervinara, Catanzaro, Bologna, dove sotto le insegne einaudiane la Scuola ha aperto con successo le sue “filiali”. In anni in cui la parola “liberale” in Italia faceva pensare ad aristocratici signori in giacca di tweed o ad anacronistici difensori del bel tempo che fu, solo la Scuola di Liberalismo teneva alta una tradizione altrimenti destinata all’oblio.

Poi tutti diventarono liberali. Anche in questo frangente, la Scuola è stata punto di riferimento per chi non voleva smarrirsi nella notte in cui tutte le vacche son nere. Oggi che il liberalismo è in disgrazia – per tacere del liberismo, accusato di ogni nefandezza, debito “pubblico” incluso – l’iniziativa morbelliana continua la sua testimonianza e la sua evangelizzazione, con discrezione, misura ed equilibrio, nel nome di uno dei maggiori liberali del Novecento italiano.

Luigi Einaudi non era solo un liberale a ventiquattro carati, un economista raffinato, un politico di princìpi integri, un divulgatore efficace; era anche un piemontese pragmatico che sapeva come l’impegno concreto fosse necessario per la diffusione delle idee di libertà. La Fondazione che porta il suo nome questo fa da mezzo secolo. La Scuola di Liberalismo è solamente una delle sue attività, dalla quale sono passate generazioni di studenti, molti dei quali hanno portato nelle loro vite e professioni i valori di libertà appresi in quella sede. Lunga vita alla Fondazione Einaudi, ai suoi Amici e alla Scuola di Liberalismo!

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Beatrice Lorenzin (deputata PdL al parlamento nazionale).

Fra le tante ragazze che hanno frequentato i corsi di formazione della Scuola di Liberalismo, Beatrice Lorenzin vanta l’iscrizione a due consecutive edizioni: quelle del 1994 e del 1995. Ed ebbe anche occasione di portare un contributo a quella successiva consentendo la pubblicazione del libro delle lezioni. All’epoca Beatrice era una studentessa di giurisprudenza, con un’antecedente formazione classica, mossa da quella ventata di rinnovamento liberale che in quegli anni pervadeva il nostro paese. In un particolare momento di transizione nella vita politica italiana, in cui molti, e da più parti, si proclamavano “liberali”, la futura parlamentare della PdL trovò nella Scuola di Liberalismo molte risposte alle domande che il suo entusiasmo le aveva sollecitato. Acquisendo così la consapevolezza delle motivazioni che furono alla base del suo futuro impegno politico.

Infatti l’anno dopo Beatrice venne eletta Consigliere nel XIII° Municipio, uno dei quartieri maggiormente popolosi di Roma. Forte di questa prima esperienza estremamente formativa, in quanto vissuta sul territorio in mezzo alla gente, nel 2001 entrò in Campidoglio quale Consigliere comunale di Roma, dopo un’impegnativa campagna elettorale, condotta “porta a porta”, incontrando personalmente migliaia di elettori, ascoltandoli sempre tutti, anche quelli dichiaratamente di opposti schieramenti. Successivamente, nel maggio del 2008, entra alla Camera dei Deputati, con la XVI° legislatura, ed anche in quell’occasione viene supportata dalla sua antecedente formazione, scelse infatti di partecipare ai lavori della I° Commissione “Affari costituzionali”; il seme gettato molti anni addietro, seguendo i corsi della Scuola di Liberalismo, aveva ormai dato i suoi frutti.

Quando chiesi all’onorevole Lorenzin cosa l’avesse portata la prima volta a frequentare quelle lezioni in quegli anni lontani, la risposta fu: “Il nome di Luigi Einaudi e la mia femminile curiosità”. E la seconda? “Volevo approfondire le tesi di politica economica elaborate da Von Hayeck e da Von Mises, i fondatori della scuola austriaca, nonché i precursori del sistema economico liberale moderno.

(intervista di Fabio Verna)

Carlo Lottieri (docente dell’Università di Siena).

Quando penso alla Scuola di Liberalismo la mia memoria si muove lungo due diverse direzioni. In primo luogo, mi vengono alla mente le numerose trasferte italiane che, negli anni, ho affrontato per incontrare giovani e meno giovani, confrontarmi sui temi della libertà e del mercato, della proprietà privata e della concorrenza, del federalismo e del diritto di secessione. In varie parti della penisola queste iniziative hanno creato occasioni di confronto e amicizia.

Al tempo stesso, però, non posso scordare come molti studenti che avevano frequentato i vari corsi io li abbia conosciuti nei seminari estivi dell’IHS – Europe (ora IES): a Gummersbach, in Germania, o in qualche minuscola località bulgara oppure romena. Negli anni, tali incontri sono stati il prolungamento naturale delle scuole e hanno contribuito a rafforzare, in molti, quella passione per la conoscenza e la libertà che poi li ha spinti a diventare a loro volta docenti in giro per il mondo: dagli Stati Uniti alla Bosnia, al Sud Africa. Perché l’avventura della libertà valica ogni confine.

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Alberto Mingardi (direttore dell’Istituto Bruno Leoni).

Si chiamano Scuole di Liberalismo perché a inizio anni Novanta, nel nostro Paese, del liberalismo andavano insegnati persino i rudimenti. Bisognava ricominciare dalle prime lettere di un alfabeto che era stato non dimenticato ma studiatamente rimosso: nel Paese di Vilfredo Pareto, Luigi Einaudi e Bruno Leoni. Vent’anni buttati dalla politica si spiegano anche così: una confusa voglia di libertà che si agitava fra gli italiani, l’assenza di una classe dirigente in grado di interpretarla.

Le Scuole hanno arato un terreno aspro, perché le idee di libertà potessero trovare di nuovo gli unici campi di battaglia loro congeniali: la mente e il cuore delle persone. Il loro compito non si è certo esaurito, ma pensiamo agli amici, alle discussioni, agli scontri, alle suggestioni che ci hanno regalato in questi anni. Le idee liberali possono vincere solo così. Cambiando una testa alla volta.

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Gaetano Pellicano (consulente economico dell’Ambasciata degli Stati Uniti).

Scendevi qualche gradino, ti accoglieva un teatrino un po’ umido (La Scaletta, che ora non c’è più) e in quell’angolo di mondo ti ritrovavi con quei quattro gatti di giovani aspiranti liberali. Un rito settimanale, un esercizio di identità collettiva negata e proprio per questo indispensabile quando a vent’anni cerchi un approdo ideale, possibilmente minoritario. Pochi nella storia del tuo Paese, pochi nelle aule universitarie, pochi al mercato delle idee, eppure istintivamente liberali. Ecco cosa serviva a molti di noi: un percorso ideale, un collegamento con i pochi maestri disponibili, un’occasione per sapere che altri come te, o anche più di te, volevano la libertà di tutti come criterio per esplorare il mondo e incardinare il proprio futuro. Tempo qualche mese, Giovanni, Elvira, Gianni, Fausto, Nadia… uno dopo l’altro diventavano i tuoi interlocutori, i tuoi amici, i tuoi compagni di viaggio. Arrivato il tempo dei saluti si apriva la stagione delle tesine con relativo premio: Parigi, viaggio studio che sapeva tanto di vacanza. Di corsa per partecipare al bando della Fondazione Einaudi: borsa per fare ricerca sull’ombudsman dei giornali anglosassoni. Leggi, studia, scrivi, il professor Da Empoli che ti sprona. Il ritmo inizia ad incalzare, qualche sogno diventa progetto, altri si perdono nella confusione di entusiasmi che si accavallano. E dopo qualche anno ritrovi il grande maestro Morbelli che con il solito sorriso ti chiama nuovamente in causa. La Scuola di Liberalismo è sempre lì anzi non solo più lì, ma in giro per l’Italia ed è il momento di rimboccarsi le maniche e passare dall’altra parte del tavolo. Tu parli di innovazione, imprenditorialità, politica americana e incontri volti freschi, più sicuri di sé e del proprio liberalismo trionfante di fine anni Novanta. La storia finita, prosperità in abbondanza per tutti, le sorti progressive del globo che si diffondono mentre Osama preparava il grande botto. Qualche anno ancora e il liberalismo torna ad essere il nemico di sempre: la gente chiede più regole e più spesa pubblica, loro ci regalano più tasse. E ti domandi: perché non rinominarla “Scuola della Resistenza Antistatalista”?

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Nicola Porro (vicedirettore de “Il Giornale”).

La prima Scuola di Liberalismo sembrava davvero una roba da pazzi. Enrico Morbelli era dunque perfetto nell’animarla; faceva tutto: dal segretario al direttore. Aveva messo al lavoro i due figli minorenni e indirizzo della scuola e quello del direttore coincidevano per il semplice fatto che la sede legale era a casa sua. Per le lezioni aveva rimediato una sorta di scantinato dalle parti di viale Marconi, o giù di lì. A Roma i liberali, quelli doc del partito, stavano a Via Frattina. Quelli regionali e locali a piazza Fontana di Trevi. L’Opinione di Rossana Livolsi a via Leccosa, dietro via della Scrofa. E Morbelli che ti trova? Viale Marconi. Come dire: spostare la caccia in periferia.

Eravamo una pattuglia: direi non più di una ventina. E stavamo lì a scoprire autori e pensatori sconosciuti al grande pubblico. Ci parlarono degli Austriaci ma anche di Einaudi. Dei monetaristi, ma anche di Croce. Provenivamo tutti da giri diversi. Il problema della prima scuola, ci confidò anni dopo Morbelli, era trovare docenti liberali a sufficienza: la merce all’epoca scarseggiava.

Chi ha fatto la prima Scuola di Liberalismo serba una certa sciocca antipatia per coloro che negli anni l’hanno scoperta. È la medesima ritrosia che i randiani hanno nel consigliare The Fountain Head o Atlas Shrugged a chi non se lo merita. Insomma la prima Scuola di Liberalismo era carbonara e affascinante. Raccontava i liberali, quando il termine sembrava appartenere solo a chi fosse dotato di barbetta e monocolo. L’idea che poi la Scuola di Liberalismo sia diventata quel che è diventata, con il suo clamoroso successo, ci provoca un po’ di invidia. Ho incontrato gente, in epoca recente, che ha cercato di spiegare a me (un reduce, un eroe della prima ora, un partigiano, un ferito di guerra) le virtù dell’invenzione morbelliana. Ma fatemi il piacere.

A parte i mostri sacri del pensiero liberale italiano (Martino, Ricossa, Urbani, da Empoli solo per citarne alcuni), la scuola iniziò a corteggiare le nuove leve del pensiero liberale. Fu saccheggiata, quando ancora non era fighetta, la Luiss. Uno su tutti mi va di ricordare: Lorenzo Infantino con il suo garbo raccontava nel dettaglio la struttura del metodo liberale, che mai si farà ideologia. Il corso di lezioni è stato per molti di noi un’affascinante scuola di pensiero libero. Non ha creato un club, una conventicola, una loggetta, ma ha saputo dare una struttura alle nostre convinzioni personali che altrimenti si sarebbero disperse nella confusione dell’ordinario.

(testo raccolto da Elvira Cerritelli e Alessandro Scuro)

Corrado Rajola (funzionario dell’ENI).

I miei ricordi partono da Napoli dove ho frequentato la Scuola negli anni 1999-2000-2001. Per due volte ho vinto una borsa di studio e nel 2002 sono stato “promosso” coordinatore del corso. Poi c’è il capitolo IES: ho frequentato l’università estiva della Nuova Economia di Aix-en-Provence nel 2000 e 2001. Nel 2001 l’IES lanciò un concorso sulla figura di Bastiat, dal titolo: The relevancy of Bastiat’s thought for our present time. La mia tesina vinse il primo premio (anche il secondo premio andò a un italiano, pure lui della Scuola: Raffaele Marchetti che oggi insegna alla LUISS), con pubblicazione – in inglese – sul sito dell’IES e – in italiano – su Libro Aperto (oltre che sul sito della Fondazione). Sempre riguardo ai seminari IES, nel 2002 sono stato a Gummersbach (Germania) e nel 2004 al seminario dell’IHS americana a Seattle.

Che dire: sono state delle esperienze fantastiche; mi hanno aiutato a stimolare senso critico; ho conosciuto tanta gente interessante; mi ha dato la possibilità di andare ad Aix; e poi mi hanno fatto conoscere l’affascinante avventura del liberalismo e ho capito che il liberalismo più che una ideologia (come viene impropriamente etichettata da chi non lo conosce) è un modo di porsi nell’affrontare la vita. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo.

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

Florindo Rubbettino (editore).

Florindo Rubbettino, 41 anni, comproprietario dell’omonima casa editrice, è stato uno studente della Scuola di Liberalismo, in anni ormai lontani. “Ho partecipato, come allievo, a due scuole – ricorda -: quella del 1993 e quella del 1995. Ma confesso che la seconda volta seguii poche lezioni”.

Quando conobbe la Scuola di Liberalismo?

Mi sono iscritto alla Scuola quando frequentavo il secondo anno di università. alla Luiss, facoltà di Scienze politiche; e lì avevo già incontrato un nucleo importante di liberali, come Dario Antiseri, Lorenzo Infantino, Antonio Martino. La mia prima formazione liberale proveniva dalla frequentazione delle lezioni del primo anno.

Poi arrivò anche la Scuola…

Sì, in facoltà vidi una locandina della Scuola, e decisi di iscrivermi. Quello che mi colpì fu la molteplicità degli argomenti trattati. Uno spettro veramente ampio, che andava dalla filosofia all’arte. Sgarbi, ricordo, parlava di arte e libertà.

Che cosa le piacque del corso?

La libertà di pensiero. Forse fu questo l’insegnamento più importante: i liberali, appresi, non erano monolitici. Non avevano una visione integrale e totalizzante delle cose. Esprimevano idee plurali e, spesso, in competizione tra loro. Questo ammaestramento mi è stato utile quando ho intrapreso l’attività editoriale. Credo che un editore debba accogliere idee plurali.

Adesso è il nostro padrone di casa. Le lezioni della Scuola romana, infatti, si svolgono nella sede della Rubbettino.

Sì, a distanza di tempo sono diventato padrone di casa, è vero. Qualche tempo fa partecipai anche ad una lezione inaugurale. Morbelli fu molto amabile e mi invitò a parlare.

Cosa direbbe ad uno studente di oggi?

Gli consiglierei di iscriversi alla Scuola di Liberalismo: sarebbe un investimento importante per il suo futuro. Gli porterebbe un arricchimento personale e culturale. Anche perché il pensiero liberale è ancora poco conosciuto. Purtroppo.

(intervista di Saro Freni)

Patrizia Tumbarello (dirigente del Fondo Monetario).

Patrizia Tumbarello, ex allieva della Scuola di Liberalismo, lavora oggi al Fondo monetario internazionale. È capo unità all’estero del dipartimento asiatico (Asia e isole del Pacifico).

Come si avvicinò alla Scuola di Liberalismo?

Studiavo Scienze politiche: la Scuola era coerente con il mio percorso di studi. Ero assetata di sapere. Seguivo tanti corsi per arricchire il mio bagaglio culturale. Quello che mi affascinò, in particolare, fu il fatto che Enrico Morbelli puntò sui giovani: fu la sua grande intuizione. È un’esigenza ancora attuale, mi sembra: l’Italia fa fatica ad avere una classe dirigente giovane.

Fu questo che la colpì maggiormente…

Sì, e poi anche il fatto che c’era un panel prestigioso. Inoltre, venivano proposte molte esperienze all’estero.

C’è una lezione che le è rimasta impressa in modo particolare?

Sì, quella di Antonio Martino. Ci disse che “essere liberale oggi significa saper essere conservatore, quando si tratta di difendere libertà già acquisite, e radicale, quando si tratta di conquistare spazi di libertà ancora negati. Reazionario per recuperare libertà che sono andate smarrite, rivoluzionario quando la conquista della libertà non lascia spazio ad altrettante alternative. E progressista sempre, perché senza libertà non c’è progresso”. L’ha scritto anche nel suo blog. Non sono concetti fuori moda; anzi, sono ancor più importanti oggi, alla luce del processo di globalizzazione. Certo, la strada è ancora in salita.

Lei partecipò anche ai seminari estivi…

Sì. Uno era in Ungheria, all’indomani della caduta del Muro di Berlino. C’era un sentimento di speranza, tra i giovani dell’Est; una gran voglia di confrontarsi. Fu un’esperienza lirica, da un punto di vista umano. Gli altri seminari si tennero in Francia, ad Aix-en-Provence. Anche lì c’erano molti giovani che venivano dall’Est Europa: dalla Romania, dalla Russia. Un seminario era sulla previdenza sociale. Avevo appena terminato il mio master a Torino, nel quale Elsa Fornero ci spiegò la flex security.

Che cosa le ha insegnato la Scuola?

Mi ha fatto capire l’importanza del dialogo, degli studi comparati, del confronto tra punti di vista diversi, tra differenti impostazioni. Poi sono partita, ho studiato ad Harvard; ma la Scuola ha sempre rappresentato un pilastro della mia vita, anche dal punto di vista umano.

(intervista di Saro Freni)

Giovanni Vetritto (dirigente della Presidenza del Consiglio dei ministri).

Se oggi sono un liberale – meglio, se oggi sono un liberale di sinistra – è anche per merito della Scuola di Liberalismo della Fondazione Einaudi di Roma. Negli anni dell’università, il mio esuberante e indistinto amore per la libertà, quello istintivo e non ragionato dei vent’anni, un po’ anarcoide e radicaleggiante, era diventato pian piano liberalismo, attraverso tante letture, ma soprattutto attraverso la “falsificazione” (popperiana) dell’Hayek tanto studiato con il grande Franco Romani, condotta grazie al “nuovo liberalismo” (in realtà tanto antico) di un fondamentale saggio di Dahrendorf del 1988. Poi una locandina mi indirizzò a quella Scuola, nella quale allora si rispecchiavano con un certo equilibrio le vocazioni di destra e di sinistra della cultura liberale; un equilibrio (sia detto senza acrimonia, con il sincero rammarico che si può esternare a un vecchio amico) che negli anni mi è parso illanguidire e lasciare spazio a una visione troppo univoca e univocamente conservatrice.

Allora no. Allora, in quelle lezioni, ho potuto ascoltare studiosi coerentemente conservatori, ma ho anche conosciuto le persone con cui ancora oggi testardamente conduco la mia battaglia culturale di liberale di sinistra, nella Fondazione Critica liberale: Enzo Marzo, Beatrice Rangoni Machiavelli.

Anche tra noi discepoli si riproduceva quella dicotomia, quella divisione verticale. Ormai diversi anni fa Alain Minc profetizzava che lo scontro finale della modernità sarebbe stato quello tra liberali di sinistra e liberali di destra; quella Scuola, per come era allora, un po’ ha seminato in tutti e due i campi, Giovanni Vetritto e Carlo Staccioli da una parte, Nicola Porro e Alfredo Borgia dall’altra. Un viaggio finale, in visita alle istituzioni dell’Unione Europea, fu l’occasione per confermare quelle differenze, ma anche per ricomporle nella gioiosa goliardia che, al di là di quelle stesse differenze, solo a vent’anni è dato godere, esplorando Bruxelles stretti attorno a una busta di cioccolatini.

Alcuni anni dopo sono tornato a quella Scuola, stavolta dietro la cattedra. Poi il contatto si è interrotto. Ma quelle serate di discussioni e passione sulle poltroncine di un piccolo teatro del centro di Roma restano indelebili nella memoria.

(testo raccolto da Elvira Cerritelli)

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