Referendum, saper vincere è più difficile di saper perdere

Referendum, saper vincere è più difficile di saper perdere

Bisogna saper vincere. Forse è più importante di saper perdere. Matteo Renzi ha dimostrato sia ai tempi della sua prima sconfitta alle primarie del Pd sia domenica scorsa, subito dopo l’esito del referendum, di saper perdere, di usare i toni giusti. Nelle prossime ore scopriremo se manterrà le sue promesse. Ma le sue parole sono state perfette.

Non si può dire altrettanto di una buona parte del fronte del No. Per la stragrande maggioranza, anche se non tutti, si stanno comportando come quei calciatori che non appena segnano un gol si rivolgono alla curva avversaria e mostrano il dito medio. Non è importante sapere quanti colpi sotto la cintura hanno subito, non è rilevante pensare alle frustrazioni che hanno dovuto patire negli ultimi mesi, si vince meglio se si utilizza il tono della sobrietà.

Ne guadagna la forza della vittoria, il temperamento del vincitore. Saper vincere è difficile più che saper perdere. Su una vittoria si costruisce il futuro politico di un leader. È il momento sbagliato per scriverlo. Forse. Ma proprio l’arroganza di Renzi nel momento della sua massima vittoria, quando arrivò a Palazzo Chigi, e la gestione del suo potere senza fare prigionieri ne hanno reso più fragorosa l’attuale sconfitta.

In Italia non riusciamo a toglierci di torno la sindrome di piazzale Loreto. Una delle pagine più disgustose della nostra storia: lo sberleffo, la violenza verso il perdente

Ma torniamo ai vincitori di oggi. Sbeffeggiare con cori da stadio e braccia al cielo il discorso dello sconfitto è roba meschina. Gli italiani hanno bocciato referendum e Renzi. Non c’è bisogno di fare altro. La democrazia ha deciso. In Italia non riusciamo a toglierci di torno la sindrome di piazzale Loreto. Una delle pagine più disgustose della nostra storia: lo sberleffo, la violenza verso il perdente.

Il punto non sono, lo ribadiamo per l’ennesima volta, le responsabilità dei perdenti, ma quelle dei vincitori. La politica non dovrebbe essere un coro da stadio. Lo dicono tutti. Nessuno lo mette in pratica. Saper vincere bene vuol dire saper governare altrettanto bene. In una democrazia parlamentare come la nostra, fatta di milioni (decisamente troppi) di contrappesi, gestire il dissenso è un’arma del successo. Come pretendono i vincitori di oggi, al di là della loro eterogeneità, di essere credibili, essendo così accaniti?

Sembra che tutti si viva nella bolla dei social. In cui si ritiene che l’insulto sia libero, in cui ogni bugia la passa liscia, in cui ci si sente avvolti in una lamiera di acciaio, come quella di un’auto, che ci mette al riparo dal volgare gesto delle corna. Saper vincere vuol dire pretendere che Renzi faccia ciò che ha detto: si dimetta. Saper vincere vuol dire riconoscere alcune ragioni all’avversario. Saper vincere (e questo è rivolto a molti esponenti del centrodestra) vorrebbe dire non comportarsi con Renzi come la sinistra per un ventennio si è comportata con Silvio Berlusconi.

Nicola Porro, Il Giornale 7 dicembre 2016

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