Lavoro ai richiedenti asilo. Purché sia vero

Lavoro ai richiedenti asilo. Purché sia vero

Piuttosto che lasciarli a ciondolare, meglio mettere i richiedenti asilo a lavorare. Meglio per loro, perché la nullafacenza è umiliante. Meglio per quanti li vedono passeggiare, perché a chi tocca lavorare la cosa genera umori d’umana incomprensione. Le parole e le iniziative del ministro dell’Interno Minniti anche sotto questo profilo, segnano una positiva rottura con la retorica giulebbosa fin qui in auge. Però, attenzione.

Da una parte ci sono gli emigranti economici, che se si spostano per essere altrove mantenuti non possono che essere risportati indietro, ma se si spostano per lavorare è evidente che il lavoro non bisogna inventarglielo: se c’è lo fanno (e molti lo fanno), altrimenti non c’è ragione d’illuderli e illuderci, accogliendoli.

Dall’altra ci sono quanti chiedono asilo, sicché si deve stabilire se hanno diritto o meno ad averlo. Tutt’altro paio di maniche. Il nostro Gaetano Salvemini, fuggendo al fascismo, fu in Francia, Gran Bretagna e poi riparò (invitato) negli Usa; il tedesco Albert Einstein chiese anch’egli asilo agli americani. Li misero ben volentieri a lavorare, ma non certo a spazzare i giardinetti. Non dobbiamo commettere l’errore di rassegnarci ai tempi lunghi. Per quanti hanno diritto all’asilo è uno spreco, per quanti non ce l’hanno è un modo per moltiplicare i problemi.

Ad esempio: con che inquadramento potranno lavorare? Non un regolare contratto, dato che neanche si sa se possono restare. Per la stessa ragione non avrebbe senso fare trattenute e versamenti previdenziali, ma la cosa diventa violazione dei diritti di quanti poi si fermeranno.

Cosa succede se qualcuno si fa male? Può capitare anche con lavori banali: chi paga? E se nessuno paga, potranno fare causa allo Stato? Negarlo significherebbe metterli in una categoria non umana, consentirlo significherebbe avviare l’ecatombe di quelli che sanno di non avere diritto all’asilo. Quanto li si pagherà? Niente? Somiglia alla schiavitù. Poco? Si parlerà di sfruttamento. Il giusto? Qual è? E se anche esistesse, cosa succede se un italiano si presenta e dice: a quel prezzo lo faccio pure io? [spacer height=”20px”]

Mentre noi restiamo inchiodati a una crescita del Pil sospinta, quasi esclusivamente, dall’espansione monetaria della Bce, i tedeschi hanno chiuso il 2016 a +1,9%. Il loro ufficio statistico ci fa sapere che, l’anno scorso, la spesa pubblica tedesca è cresciuta del 4,2%, record dal ’92. Se vai a vedere le voci ne trovi molte sugli immigrati: assistenza, insegnamento della lingua, costruzione di alloggi, loro spese dopo avere trovato un lavoro, nuove scuole per l’infanzia. Altro che «lavori socialmente utili», in Germania li hanno inseriti nella macchina produttiva e ne hanno fatto occasione per spesa pubblica pro ciclica, facendo lavorare i tedeschi. Solo che prima li hanno dotati di permesso.

Per i tedeschi è assai più facile che per noi, dato che non hanno frontiere esterne all’Ue, sicché le ondate vengono filtrate prima che arrivino. Ma restano un esempio di gestione razionale del problema, a parte il tragico errore dell’annuncio sui siriani. Da noi sembra che si siano recuperati, almeno, realismo e ragionevolezza, lasciando in cortile i mestieranti del buonismo e del cattivismo. Evitiamo di procurarci nuovi problemi.

Davide Giacalone, Il Giornale 17 gennaio 2017

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