La vera colpa è non aver riformato la giustizia

La vera colpa è non aver riformato la giustizia

Quando s’imparerà a non confondere le accuse con i giudizi, i procuratori con i giudici, i racconti dei coinvolti con le prove, e quando s’imparerà a non farlo a intermittenza, a seconda che gli interessati siano sodali o avversari, non sarà mai troppo presto.

Lo esige il rispetto, letterale e sostanziale, del diritto. Altrimenti s’impicca la giustizia al giustizialismo.

Così come un sospettato, un indagato e un imputato non per questo sono colpevoli, così anche la pulizia della vita pubblica e politica non può essere compito della giustizia penale. Non nel senso che non se ne debba occupare, ma che altri dovrebbero provvedere. A cominciare dai partiti, se esistessero come tali.

Tante teste politiche vacanti, invece, trovano voce nello strillare appresso alle inchieste penali. Complice un mondo dell’informazione che rilancia le inchieste che non riesce, non sa o non vuole a fare. Lo spettacolo si ripete in questi giorni, con riferimento a quanto si muove attorno a Matteo Renzi. Con una particolarità: a usare e gonfiare il valore politico delle inchieste penali non sono gli avversari esterni, a questo giro mediamente cauti, ma quelli interni. La giustizia faccia il suo corso, come si dice. La politica non si scalmani in sala d’attesa.

Ci sono, però, due responsabilità di Renzi, per delineare le quali non c’è alcun bisogno di grufolare fra le carte giudiziarie. La prima: l’ennesima occasione persa di riformare e far funzionare la giustizia italiana. Il fatto che a contendergli la segreteria del Pd siano il ministro della giustizia e un magistrato in aspettativa, per giunta testimone nei procedimenti che oggi lo lambiscono, è un dettaglio che riassume la tragedia.

Far funzionare la giustizia non significa metterle la mordacchia e impedirle di offendere la politica, ma l’esatto opposto: renderla efficace, con tempi accettabili, talché i colpevoli non restino impuniti e gli innocenti non siano assassinati da verdetti postumi.

Non ci si arriverà mai, in queste condizioni. Non sarà mai possibile se ai magistrati sarà consentito continuare a esibirsi e candidarsi. Se chi esercita il delicato e irrinunciabile ruolo dell’accusa non risponde mai dei propri errori. Se chi accusa e chi giudica restano colleghi. Queste cose Renzi le sa, ma ha commesso l’errore di chi lo ha preceduto: ha temporeggiato, blandito, s’è buttato sulle cose inutili (ricordare le ferie?), salvo poi finire nel mirino ed esserne paralizzato.

La seconda responsabilità consiste nel fatto che se fai vedere a tutti che le nomine pubbliche sono frutto di un ristretto cerchio amicale, i portatori d’interessi s’industrieranno ad avere agganci vernacolari. Non bisogna avere paura degli interessi organizzati, purché le procedure siano trasparenti.

Fermo restando che l’enormità della spesa pubblica è il gran volano della corruzione. In quel mondo c’è abbondante millantato credito, moltitudini che vendono quel che non hanno, lasciandone traccia nella logorrea ammiccante.

Ma se i millantatori contendono il ruolo ai lobbisti (che dovrebbero essere cosa non solo lecita, ma utile), se dai loro servigi si può sperare di trarre più utilità che dalla rappresentazione schietta dei propri desideri è perché politici e nominati fanno a gara a chi strizza l’occhio in modo più furbesco. Da inutili fessi, nel migliore dei casi.

Governare e non rimediare è una colpa. Nominare e poi intrattenere è una colpa. Con o senza reato. [spacer height=”20px”]

Davide Giacalone, Il Giornale 4 marzo 2017

 

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