Ius soli, sembra di giocare un derby

Ius soli, sembra di giocare un derby

Ci eravamo cullati nell’illusione che con la fine della Guerra fredda si sarebbero definitivamente spenti i fuochi del fanatismo ideologico. Ma i veleni che stanno intossicando il conflitto scatenato dai due fronti contrapposti sullo ius soli dimostrano invece che i detriti di quella mentalità ostruiscono ancora una sana, appassionata discussione tanto importante.

Più che una discussione, sembra un derby furioso che non ammette una leale competizione, una guerra santa che non sa riconoscere nell’altro se non la personificazione del nemico assoluto, la riduzione dell’avversario a mostro morale.

Non c’è legittimazione reciproca, che invece dovrebbe obbligatoriamente esserci come base di una battaglia politica anche aspra, ma onesta negli argomenti e nel rispetto dei fatti.

E addirittura non c’è considerazione per ciò che effettivamente dispone la stessa legge proposta e ora purtroppo impaludata in Parlamento sullo ius soli, che è una legge equilibrata, ragionevole, prudente, che promuove diritti oramai imprescindibili rispettando tempi e procedure.

Da una parte c’è la smania della bandierina da piantare nel campo nemico, la voglia risarcitoria di fare di una legge il simbolo dell’umiliazione di chi vi si oppone. Dall’altra l’allarmismo spregiudicato di chi in questa norma scorge il cavallo di Troia di chissà quale apocalittica invasione.

La supremazia ideologica, a sinistra come a destra, ha questo di peculiare: di voler esaltare i simboli a scapito dei fatti, di demonizzare gli avversari ridotti a caricature.

Tanto che del ministro Minniti, la cui azione di governo sembra smentire questa deriva iper-ideologica e che naturalmente in democrazia deve essere soggetta alle critiche anche più spietate, a sinistra si è arrivati a dire che sia solo la copia malriuscita nientemeno che di uno «sbirro».

È la demolizione di una persona, appunto. È il trionfo dell’irresponsabilità.

Il fenomeno dell’immigrazione, invece, bisognerebbe cercare di governarlo, combinando con intelligenza fermezza e umanità, legalità e accoglienza, repressione e cittadinanza, sicurezza e solidarietà.

Nell’isteria ideologica, invece, si afferra solo un corno del dilemma e si dileggia, si demolisce, si delegittima chiunque abbia deciso di non arruolarsi in questa nuova guerra santa, e vuole insistere a leggere la complessità di un problema, che poi sarà il problema dei prossimi decenni in tutta Europa e già condiziona pesantemente stati d’animo, movimenti d’opinione, gli stessi esiti elettorali.

Basta scorrere l’aggressività bipartisan nelle arene dei social, o sfogliare la collezione di questi ultimi anni dei giornali di destra e di sinistra per cogliere i sintomi di questa aggressività ideologica che prende abusivamente le forme di un tribunale morale delegato alla condanna senza appello di chi sta sul fronte opposto.

A destra si accusa chi sostiene lo ius soli di voler scaricare in Italia masse ingenti di clandestini per distruggere l’identità nazionale, di essere addirittura complici del terrorismo islamista, di perseguitare gli italiani, di permettere lo stravolgimento del nostro patrimonio antropologico, di spalancare le porte a chi diffonde malattie che sembravano dimenticate, a chi sarebbe dedito senza distinzione alle attività criminali, allo stupro generalizzato, alla devastazione delle città.

Ma che c’entra con la proposta della cittadinanza? Niente, solo ideologia da smerciare all’ingrosso.

Nella stampa di sinistra, invece, si dà impunemente del «razzista» a chi osa sollevare un problema, a chi ritiene che molte paure dei cittadini, soprattutto tra le zone più deboli e disagiate della società, abbiano un fondamento nello stress culturale prodotto da una penosa guerra tra poveri.

Si nega ogni credibilità morale a chi pensa che non tutto sia così semplice cavandosela con l’appello all’«accoglienza». Si manipola ogni obiezione come se fosse il frutto malato di qualche aspirante adepto del Ku Klux Klan.

Senza rispetto per le opinioni diverse. Solo con la voglia di colpire duro, di alzare un muro (proprio da parte di chi vorrebbe abbattere tutti i muri) per rinchiudere in un recinto infetto chi è portatore di un pensiero diverso.

Con un fanatismo tra l’altro controproducente, incapace di convincere, anzi con il vizio di compattare il campo avversario, come avveniva appunto nelle guerre ideologiche. Un tuffo nel passato, nell’incapacità di capire cosa ci porta il futuro. [spacer height=”20px”]

Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 28 settembre 2017

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