Isaiah Berlin, il filosofo della libertà

Isaiah Berlin, il filosofo della libertà

Molti conoscono Isaiah Berlin per la sua lezione del 1958 in cui espresse con grande chiarezza la differenza tra libertà positiva e libertà negativa. La prima, nella tradizione hegeliana, è nitroglicerina. È l’anticamera del totalitarismo, è il perseguimento dell’autodeterminazione personale, anche grazie all’intervento di terzi.

In una società liberale si deve piuttosto perseguire una libertà negativa, e cioè la limitazione delle ingerenze di Stato, società, sindacati, nella nostra vita sociale, economica e culturale. Dunque Berlin viene generalmente ricordato come filosofo della libertà.

Berlin fu anche un apprezzato diplomatico britannico, nonostante fosse nato nell’impero russo, e si adoperò con tutte le sue forze per la causa di Israele e per il sionismo. Lo fece da liberale, come ci ricorda Alessandro Della Casa in un bel libro, Isaiah Berlin. La vita e il pensiero (Rubbettino).

L’autore ci ricorda il liberalismo nazionalista di Berlin e la sua specificità: la sua contrapposizione all’antinazionalismo hayekiano. E infine la sua opposizione alla trasformazione violenta del sionismo in lotta armata.

Scriveva bene Berlin, e negli anniversari dei 40 anni di via Fani, queste parole suonano ancora più preziose: «Il sionismo è la moderna espressione dell’ideale liberale. Separato da quell’ideale, esso perde ogni scopo, ogni speranza. Quando invochiamo la tradizione ebraica come sostegno alla nostra rivendicazione nazionale, non siamo liberi di sbarazzarci delle restrizioni di quella tradizione e intraprendere percorsi che la moralità ebraica non può perdonare. L’assassinio, l’agguato, il rapimento, l’omicidio di uomini innocenti, sono estranei allo spirito del nostro movimento. È futile invocare le lotte nazionali di altre nazioni come esempi per noi. Non solo sono differenti le circostanze, ma anche i nostri scopi sono unici. Ogni popolo deve applicare i propri parametri alla propria condotta, e a noi è dato il compito di pesare le nostre azioni sulla scala dello spirito ebraico. Né il nostro giudizio deve essere accecato dal bagliore di un autocosciente eroismo. Masada, con tutto il suo eroismo, fu un disastro nella nostra storia. Non è nostro fine o nostro diritto precipitarci verso la distruzione, allo scopo di lasciare in eredità la leggenda di un martirologio alla posterità. Il sionismo doveva segnare la fine delle nostre morti gloriose e segnare l’inizio di un nuovo sentiero che portasse alla vita. Contro gli eroismi della violenza suicida io richiamo il coraggio della sopportazione, l’eroismo della resistenza sovrumana. Ammetto che ciò richieda un più forte carattere, nervi più saldi, di quanto sia richiesto per gli atti di violenza. Se possa innalzarsi a quel coraggio sincero oltre la codardia morale del terrorismo, è la sfida che la storia pone alla nostra gioventù».

Parole favolose.

Nicola Porro, Il giornale 25 marzo 2018

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