Agente provocatore: 8 controindicazioni

Agente provocatore: 8 controindicazioni

Sono affascinato dall’idea dell’agente provocatore. Ne ero intrigato già nel corso delle attese negli aeroporti, dove si presenta nella versione francese: Agent Provocateur. Curiosa, però, la discussione attuale.

Secondo il “contratto” e il nuovo governo l’agente provocatore deve essere utilizzato non solo come gli odierni infiltrati, che partecipano a un’associazione criminale per carpirne struttura e segreti, ma anche per mettere alla prova pubblici amministratori e personale politico. Per dirla in modo semplice: l’agente provocatore avvicina la cavia e gli propone un malaffare, se quello abbocca lo denuncia. Evviva. Ma vedo qualche controindicazione.

1) Chi stabilisce chi sono i fortunati che diventeranno cavie?Cosuccia rilevante, perché la parzialità politica non sarebbe una novità. Mitigata solo dal fatto che ciascuna procura e ciascun procuratore hanno la propria linea. Caotizzata, quindi, più che mitigata.

2) La colpevolezza si dimostra non solo per il fatto di avere commesso un reato, ma per averlo voluto commettere, non è che va a finire che l’agente provocatore diventa un’attenuante, perché quel giorno il Tale non aveva nessuna intenzione di farsi corrompere, salvo il fatto che lo hanno indotto in tentazione? Il che comporta anche una violazione di uno dei dieci comandamenti.

3) Un pubblico ufficiale (tali sono gli amministratori) non commette reato solo se si fa corrompere o chiede tangenti, ma anche se omette di denunciare chi ha provato a corromperlo. L’onestà, pertanto, vedrebbe coincidere un nuovo procedimento penale per ciascuna azione degli agenti provocatori, vuoi per abboccamento che per rigetto. E la giustizia italiana, già lenta di suo, di tutto sente il bisogno tranne che di vedere crescere il numero dei processi pendenti.

4) Sapendo che ci sono in giro gli agenti provocatori gli amministratori saranno più lesti nel denunciare, per cui Tizio va ad offrire una tangente e l’amministratore Caio subito corre in procura, magari pensando che Tizio sia un provocatore (così lo frega). Solo che Tizio era un corruttore vero, che negherà la circostanza e accuserà Caio di calunnia, innescando un ulteriore procedimento penale. Se ne esce solo videoregistrando sempre tutto. O, più semplicemente, non facendo mai niente. Dottrina già fin troppo diffusa.

5) E, del resto, chi assicura che l’agente provocatore sia veramente tale? Occorrerà un albo, in modo che dopo la denuncia dell’amministratore onesto si possa dimostrare che anche il tentativo di corruzione era onesto. Ma, onestamente, questo è un inferno burogiudiziario.

6) Nel Paese di Pirandello e di Totò, non è che poi gli iscritti all’albo dei provocatori diventano i più ricercati agenti di corruzione vera, nel senso che se la cavia abbocca si fa l’affare e se non abbocca si dice che è uno scherzo?

7) Con i tempi della giustizia italiana, quanti anni ci si mette per stabilire se era un gioco o era vero?

8) Dicono: perché fra spacciatori si usa l’agente provocatore, mentre con i “politici”, in realtà con gli amministratori, non si dovrebbe farlo? Forse perché gli spacciatori non sono pubblici ufficiali, o, almeno, non necessariamente, sicché se ti propongono di vendere droga puoi ben dire di no senza commettere reato nell’omettere la denuncia.

È quello il fascino dell’agente provocatore: l’allettare in apparente innocenza, il vedo non vedo, il ricordare che ogni lasciata è persa. Ma no, scusate, quello è l’Agent Provocateur.

DG, 23 giugno 2018

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