Don Sturzo dietro i discorsi della Thatcher?

Don Sturzo dietro i discorsi della Thatcher?

Un saggio spiega come il ghostwriter della Lady di ferro si ispirò alla dottrina politica del religioso italiano. Ne scrive Flavio Felice sul Giornale del 25 maggio 2018

Lo scorso otto aprile, a cinque anni dalla scomparsa di Margaret Thatcher, abbiamo avuto modo di ricordare il suo ruolo politico e il suo acume. Certo, non sono mancati coloro che ne hanno evidenziato le criticità, altri ne hanno esaltato le gesta, ma entrambi gli schieramenti hanno spesso fatto ricorso ad una vulgata, rispettivamente, «anti-liberista» ovvero «ultra-liberista». Ammetto di essere particolarmente allergico all’espressione «liberista» e, di conseguenza, a tutte le sue possibili derivazioni semantiche.

A tal proposito, propongo una lettura differente e prendo spunto da un’interessante testimonianza riportata da Antonio Masala nel suo più recente libro intitolato Stato, società e libertà. Dal liberalismo al neoliberalismo (Rubbettino, 2017). La testimonianza in questione riguarda il ruolo che avrebbe giocato nella formazione politica della Thatcher l’opera intellettuale dell’esule italiano don Luigi Sturzo, il quale risiedette a Londra dal 1924 al 1940, per poi trasferirsi negli Usa fino al 1946.

La storia di questo possibile incontro intellettuale, di certo indiretto e forse anche inconsapevole, tra la Thatcher e il sacerdote di Caltagirone, ci viene narrata da Alfred Sherman, il quale diede un fondamentale contributo, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, nel delineare le linee guida del thatcherismo. Come ci ricorda Masala, oltre ad essere stato il cofondatore e il primo direttore del Centre for Policy Studies, Sherman scrisse alcuni dei discorsi più importanti della Thatcher e di Keith Joseph, uno dei più stretti collaboratori del Premier britannico.

Nel libro Paradoxes of Power. Reflections on the Thatcher Interlude, Sherman afferma che molte delle sue idee, le quali confluiranno appunto nei discorsi e nel progetto politico di Joseph e della Thatcher, erano maturate in lui dopo aver riletto l’opera di Sturzo: Moralise Public Life, una raccolta di saggi dello studioso italiano, oggi presenti in diversi volumi dell’Opera Omnia e, in particolare, nei volumi Politica di questi anni.

Al cuore dei saggi raccolti nel volume di Sturzo e citato da Sherman abbiamo il tema della «moralità nella vita pubblica». Insofferente a qualsiasi cedimento retorico, Sturzo ammette che la fondamentale aspirazione popolare nella vita pubblica quanto meno dichiarata è la giustizia, la quale si declina in onestà, in mani pulite, in equità. In fondo, quale sarebbe la funzione dello Stato di diritto se non quella di un ordine politico in cui la legge prenda il posto dell’arbitrio e il rispetto della legge elimini l’abuso, affinché malversazioni e sopraffazioni non restino impunite?

In definitiva, Sturzo rivendica l’importanza della forma politica Stato, nella misura e nei limiti in cui si mostri «responsabile della pubblica amministrazione». La prospettiva sturziana: statualista, dunque, è del tutto differente dai sostenitori dello Stato etico, in forza del quale si attribuisce eticità allo Stato e ai suoi enti, qualunque siano gli atti che essi emettano; Sturzo stigmatizzava espressamente la pretesa statolatrica di «immunizzazione contro il male» ovvero «di una permanente trasformazione del male operato in bene insito».

È questo un aspetto fondamentale del pensiero sturziano che ne esalta il carattere liberale e che immaginiamo abbia potuto attrarre non poco l’attenzione di Sherman: «lo Stato non immunizza il male né lo tramuta in bene; fa subire ai cittadini gli effetti cattivi delle azioni disoneste dei propri amministratori, governanti e funzionari, mentre produce benefici effetti con la saggia politica e la onesta amministrazione».

Accanto al ruolo dello Stato, la raccolta di scritti citata da Sherman introduce un ulteriore aspetto che è tipico dell’analisi sturziana: la sua battaglia contro lo «statalismo»: l’indebito, sistematico e pervasivo intervento pubblico nella vita economica di un Paese, mediante enti e sotto-enti, giudicati da Sturzo non solo inutili, ma persino dannosi per una ordinata vita democratica. In tal senso, lo statalismo assume i contorni della prima delle tre «male bestie» della democrazia denunciate da Sturzo, in quanto violerebbe il valore della «libertà», e aprirebbe la strada alle altre due: «partitocrazia» e «spreco del denaro pubblico», rispettivamente, distruttrici dell’«uguaglianza» e della «giustizia».

Uno Stato ingiusto, in quanto corrotto e «antisociale», assume per Sturzo i caratteri più logori del paternalismo, i quali finiscono per danneggiare i cittadini, non più sovrani, ma sudditi: sudditi del partito, del sindacato, dell’ente pubblico, comunque del «Principe» di turno, e si stupisce e si rammarica che una simile realtà non sia compresa da «certi cattolici, preti compresi».

Tale prospettiva incrocia l’esperienza del thatcherismo nella misura in cui si consideri la convinzione della Iron Lady che solo il ripristino di una vera economia di mercato avrebbe potuto contribuire a risollevare le sorti della nazione; di grande importanza risultano i due discorsi tenuti a St. Lawrence Jewry: I believe A Speach on Christinity and Politics del 30 marzo 1978 e quello del 4 marzo 1981: «Una volta che alle persone si dà a credere che tutto possa essere fatto dallo Stato, e che lasciare che lo facciano i privati cittadini sia secondario se non degradante , si sarà iniziato a privare gli esseri umani di uno degli ingredienti fondamentali dell’umanità: la responsabilità morale personale e si impedirà il nutrimento dell’umana gentilezza».

In conclusione, l’opera di Sturzo incontra il pensiero della Thatcher e di alcuni tra coloro che contribuirono alla nascita del thatcherismo nella comune critica ad una certa utopia liberale. Questo aspetto è ben presente nel discorso di Keith Joseph ad Edgbaston il 19 ottobre del 1974, intitolato: Our Human Stock is Threatened, allorché il padre politico della Thatcher ebbe ad affermare che non esiste migliore approccio alla vita pubblica di quello che non considera l’economia un tutto, ma che pone al centro della vita civile il rispetto per le singole persone e per la legge, il benessere dei giovani, le condizioni della famiglia, il benessere morale e spirituale degli individui, la cultura delle persone, dal momento che la situazione economica di una nazione non è una variabile indipendente, bensì è funzione del grado della vita civile: «Potrai avere un’economia sana solo in un corpo politico sano».

È questo un argomento mutuato dall’opera di Sturzo e invero dalla tradizione dell’economia sociale di mercato, secondo la quale l’economia di mercato è una condizione necessaria, ma non ancora sufficiente e affinché il mercato possa dare il meglio di sé sono necessari alcuni prerequisiti morali.

 

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