Bisogna distruggere e bandire per sempre il dogma della sovranità perfetta. La verità è il vincolo, non la sovranità degli Stati. La verità è l’interdipendenza dei popoli liberi, non la loro indipendenza assoluta. Per mille segni manifestasi la verità che i popoli sono gli uni dagli altri dipendenti, che essi non sono sovrani assoluti e arbitri, senza limite, delle proprie sorti, che essi non possono far prevalere la loro volontà senza riguardo alla volontà degli altri. Lo Stato isolato e sovrano perché bastevole a se stesso è una finzione dell’immaginazione; non può essere una realtà. Non esistono Stati perfettamente sovrani, ma unicamente Stati servi gli uni degli altri. (Il dogma della sovranità e l’idea della Società delle Nazioni, in «Corriere della Sera», 28 dicembre 1918)

In questo numero

Per un’Europa federale Einaudi, un’eredità attuale e scomoda di Paolo Silvestri Il Senato in Italia, fra tradizione e riforma di Enzo PalumboBorsa di Studio della Fondazione Luigi Einaudi Se passa lo straniero di Giuseppe Guglielmo Santorsola Liberalismi in libreria di Valerio ZanoneScherzando e malignando di Guido Di Massimo Appuntamenti5×1000

 Per un’Europa federale 

Il 15 maggio, le Fondazioni ed il Centro Luigi Einaudi di Roma e di Torino hanno rivolto al Presidente del Consiglio ed ai Ministri della Repubblica, ai Parlamentari di Camera e Senato, ai Segretari dei partiti politici ed ai Candidati alle elezioni del Parlmamento europeo per la legislatura 2014-2019, l’appello “per un’Europa federale”, che nel testo integrale potrà essere letto sul nostro sito web www.fondazione-einaudi.it.

In sintesi, l’appello prende le mosse dall’eredità di Luigi Einaudi e dai capisaldi del suo federalismo europeista:

  • la demolizione del mito dello Stato sovrano e autosufficiente;
  • la visione di una globalizzazione che premia gli Stati di grandi dimensioni e condanna quelli più piccoli, come gli Stati europei, all’emarginazione e all’irrilevanza;
  • l’affermazione conseguente della necessità di unificare l’Europa non solo economicamente, ma anche  e anzitutto politicamente [1]. Per avere un vero e proprio Stato sovranazionale dotato di poteri di governo reali, che persegua la crescita economica sostituendo alla filosofia della scarsità, propria dello stato piccolo, quella dell’abbondanza, propria dello stato grande.

   L’appello prosegue denunciando i rischi [2] di involuzione del processo di integrazione europea avviato nel 1957, chiedendo un’Assemblea costituente che lo rilanci e lo acceleri e così conclude.

       L’integrazione europea è in crisi per la sua incompiutezza.

   L’UE attualmente è una grande burocrazia senza un vero e proprio Stato sovranazionale e, soprattutto, senza un governo comune della politica e dell’economia, che ne fu la ragione ispiratrice.

     Se si vogliono combattere la recessione, la stagnazione e le diseguaglianze, se si vuole prevenire la deflazione, occorre più Europa e non meno Europa.

Il completamento della costruzione di un’Europa federale è indispensabile:

  • per dare al nostro continente e agli Stati che lo compongono visibilità e ruolo internazionali
  • per promuoverne lo sviluppo economico e sociale
  • per infondere nei cittadini europei speranza e fiducia in un avvenire migliore.

     Beninteso, l’Europa delle riforme, della crescita e dell’occupazione e non quella dei vincoli di bilancio che soffocano lo sviluppo; con un nuovo trattato dell’euro, con meno burocrazia e più democrazia.

L’appello per un’Europa federale, portato a conoscenza del Presidente della Repubblica, è stato sottoscritto da un gran numero di associazioni, enti e personalità di prestigio del mondo della cultura, della politica, dell’imprenditoria e delle professioni, qui appresso elencati, ai quali va il nostro sentito ringraziamento.

Un consenso così ampio e qualificante, proveniente da soggetti di orientamento culturale e politico molto diverso, è per noi motivo, non solo di legittimo orgoglio – poiché testimonia dell’universalità del pensiero di Luigi Einaudi e della credibilità super partes della nostra Fondazione – ma anche di speranza nel rilancio del’integrazione europea.

Abbiamo subito intrapreso opportune iniziative di comunicazione per diffondere la conoscenza dell’appello aldilà della pur ampia cerchia dei suoi destinatari e a tal fine sollecitiamo anche la collaborazione dei lettori di questa newsletter.

Mario Lupo 

 

 

 

AICI – Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane
ANCE – Associazione Nazionale Costruttori Edili
AGI – Associazione Imprese Generali
Centro Studi Economia Reale
Fondazione Umberto Veronesi
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
INU – Istituto Nazionale di Urbanistica
Società Aperta
Paolo Astaldi
Mario Baldassarri
Luisella Battaglia
Paolo Buzzetti
Pellegrino Capaldo
Fabio Cerchiai
Pierluigi Ciocca
Enrico Cisnetto
Daniela Condò
Paolo Costa
Giancarlo Cremonesi
Enrico Tommaso Cucchiani
Antonio D’Amato
Domenico da Empoli
Domenico De Masi
Giuseppe De Rita
Roberto Einaudi
Francesca Romana Fantetti
Vito Gamberale
Francesco Gianni
Fiorella Kostoris
Gianni Letta
Stefano Micossi
Umberto Morelli
Nerio Nesi
Paolo Nesta
Guido Pescosolido
Gustavo Piga
Romano Prodi
Enrico Salza
Paolo Savona
Carlo Scognamiglio Pasini
Maurizio Sella
Gianpiero Sironi
Enzo Siviero
Valdo Spini
Giorgio Squinzi
Anna Maria Tarantola
Pietro Terna
Luisa Todini
Umberto Veronesi
Luciano Violante
Silvia Viviani
Valerio Zanone

 

 

P.S.: Si sono aggiunte nel frattempo le sottoscrizioni di:

Paola Bernasconi
Roberto Bergamaschi
Marco Boato
Michele Boldrin
Giuliano Cazzola
David Cioccolo
Girolamo Cotroneo
Pier Virgilio Dastoli
Vittorio Di Paola
Marco Fedi
Fabio Filippi
Giuseppe Gorruso
Giuseppe Pennisi
Pier Luigi Porta
Cinzia Renzi
Pietro Rescigno
Alessandro Rosasco
Davide Sabbadin

Appello “per un’Europa federale”

Articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” – 22 maggio 2014


[1] In proposito Einaudi afferma: “è un grossolano errore dire che si comincia dal più facile aspetto economico per passare al più difficile risultato politico. È vero il contrario. Bisogna cominciare da l politico se si vuole l’economico”.
[2] Essi derivano dall’incapacità dell’unione di attuare una strategia di uscita dalla crisi economica iniziata nel 2008; dalla crisi dell’euro; dal deficit democratico e dall’appesantimento burocratico delle istituzioni europee; dallo svuotamento del patto fiduciario che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si era creato attorno al Progetto Europeo.

 Einaudi, un’eredità attuale e scomoda 

di Paolo Silvestri*

In questi ultimi anni, alcune delle più alte cariche dello Stato hanno avvertito il bisogno di un richiamo all”eredità di Luigi Einaudi. Continua a leggere

* Docente di filosofia all’Università di Torino

 

 Il Senato in Italia, fra tradizione e riforma 

di Enzo Palumbo*

Questo è il sommario della conferenza tenuta da Enzo Palumbo alla Camera Civile di Messina lo scorso 28 aprile: 1) Il Senato nello Statuto Albertino 2) Il Senato nell’interregno 3) Il Senato nella Costituzione repubblicana 4) La lunga strada della riforma: un percorso ad ostacoli 5) Le proposte in discussione. 6) Alcuni falsi miti in circolazione 7) Quale bicameralismo e quale forma di governo per l’Italia di domani?

* Avvocato, già senatore della Repubblica e membro del Consiglio Superiore della Magistratura

 Se passa lo straniero 

di Giuseppe Guglielmo Santorsola*

La quota dei fondi esteri nelle società quotate italiane risulta in sensibile aumento. L’afflusso di capitali è senza dubbio positivo. Ma l’ingresso massiccio degli investitori istituzionali d’oltre confine apre nuovi problemi di governance.L’afflusso di capitali esteri nel sistema economico italiano è un dato consistente dei movimenti finanziari degli ultimi anni. Le direttrici principali sono due: l’acquisizione del controllo “industriale” (investimento reale), tramite quote di maggioranza relativa, ma quantomeno sufficiente al controllo, con logiche sia di integrazione che di diversificazione produttiva oppure l’operazione di investimento finanziario che a sua volta può risultare di medio-lungo periodo (private equity o fondi sovrani) oppure di breve termine (mediante investimenti in mercati regolamentati da parte di fondi comuni, fondi pensione o investitori privati).

A queste azioni dobbiamo affiancare in contrapposizione le operazioni di investimento di fondi italiani in azioni estere e di imprese italiane in imprese straniere. Il saldo netto strutturalmente negativo appare in progressivo peggioramento negli ultimi anni. Ne consegue la domanda logica sulla convenienza dell’intervento sui mercati e nelle imprese di soggetti stranieri, al di là della valutazione circa il significato del crescente peso delle scelte gestionali esogene in settori industriali e di servizi comunque fondamentali per l’equilibrio dell’economia italiana.

Limitandoci nell’approfondimento al settore finanziario, un benchmark di riferimento (indicato come mero esempio perché oggi più palese) è sicuramente l’operato di BlackRock, frequentemente primo azionista (salvo manovre di portafoglio) di Unicredit, Banca Intesa, MPS, UBI e Banco Popolare, secondo di BPM, oltre alle numerose partecipazioni industriali quali Telecom Italia (7%), Generali (3%), Fiat Industrial (4%), Mediaset (2%), Atlantia, Azimut e Prysmian (circa il 5%).

Propongo una prima analisi volutamente provocatoria: ci può essere un rischio di interlocking quando un soggetto è socio intorno al 5% di molti competitors in un settore? Il tema riguarda, nel contesto legislativo italiano in vigore, i soggetti consiglieri o sindaci, ma dobbiamo valutare – sotto un profilo concettuale – anche il rischio della presenza dell’azionista con il suo potere di voto. Ciò ad evidenza soprattutto laddove le banche siano finanziatrici delle imprese (o letto in modo inverso queste siano debitrici delle prime).

In realtà, BlackRock, con un portafoglio di partecipazioni gestito da 10.000 dipendenti in 30 Paesi, non ha certamente privilegiato l’Italia. Il portafoglio è guidato da un modello, supportato dalla piattaforma elettronica Aladin che analizza continuamente i rischi connessi a tutti gli investimenti. La considerazione più logica è che il fondo abbia deciso di aumentare l’esposizione in una fase critica che potrebbe generare (con rischio giudicato ad evidenza gestibile) cambiamenti per l’Italia, pronta a disinvestire qualora necessario.

Senza voler indicare una possibile strategia futura, si può anche ricordare che BlackRock è intervenuto negli ultimi anni anche nelle operazioni di turnaround di Fannie Mae e Freddie Mac oltre che nel “salvataggio” di AIG e ad aver acquisito o partecipato a split di Merril Lynch, Barclays e Bear Stearns.

Con una forzatura logica possiamo definire il suo comportamento e quello di altri player simili (al momento meno presenti in Italia) come quello di un investitore “sciupa femmine” (o per equilibrio di gender maschi) e non di un “innamorato” dei propri investimenti.

Diverso appare il comportamento dei fondi sovrani, la cui logica è di merchant banking con finalità di crescita nel tempo del valore delle partecipazioni, orizzonti di medio periodo e finalità di controllo o governo dei destinatari delle scelte di investimento.

Sarà certamente interessante verificare il confronto fra le logiche di governance, laddove i fondi di investimento si confronteranno con quelli sovereign in condizioni di allineamento delle quote (Unicredit ne è un esempio). Un possibile fattore di opacità è costituito dalla verifica in trasparenza delle operazioni possibili sotto la soglia del 2% (priva di obblighi di comunicazione all’Authority). Ulteriore preoccupazione è suscitata dalla possibilità dal 2012 per i fondi di non comunicare posizioni inferiori al 5%. I fondi italiani hanno tradizione di comportamenti congiunti (coordinati da Assogestioni), logica non condivisa, anche per diversità palesi, da fondi esteri non legati da alcuna scelta nazionale o comunitaria.

In questo scenario dobbiamo valutare il ruolo decrescente della componente italiana costituita non solo da fondi di investimento di matrice nazionale quanto dalle fondazioni, difficilmente indotte alla diversificazione, condizionate da scelte politiche, sociali e localistiche, ma soprattutto non in grado di dotarsi delle risorse aggiuntive necessarie per mantenere posizioni percentuali di fronte ai fabbisogni di capitale (regolamentari per le banche e strategiche nel caso delle imprese). La previsione normativa dell’autorizzazione della Banca d’Italia gioca in realtà un ruolo, non condizionante nei casi di coinvolgimento di soggetti esteri di fronte alla necessità di coprire gli aumenti di capitali reclamati dai Regulators sovranazionali.

Gli organi amministrativi debbono risultare pronti a gestire le scelte volitive di assemblee ormai diversamente composte. Deve essere chiaro a tutti che gli scopi di impresa in termini di economicità, solidità e redditività vanno modificandosi e che il contesto italiano appare idoneo per intermediari tradizionali e meno (almeno per un medio-lungo momento) per attività di banche di investimento. Non siamo in grado cioè di proporre banche diversamente orientata da un’azione tradizionale necessaria nel tessuto italiano, diversa da molti competitors globali e fondamentale per il futuro della nostra economia in un ciclo augurabilmente più favorevole.

Ad evidenza, risulta premiata, perché utile, una strategia di raccolta e impiego redditizia nel modello economico nazionale e ben letta da un investitore razionale che sostituisca la “banca di sistema” nazionale, al momento non efficace negli ultimi anni.

* Docente all’ Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

    

 

di Valerio Zanone

 

Per i liberali, quanto meno i liberali storicisti della tradizione italiana, il filo conduttore per capire il mondo è il senso della storia. Ma negli ultimi vent’anni, per effetto della globalizzazione, il senso della storia è cambiato, nel tempo e nello spazio. Lo spazio si è dilatato, il tempo è accelerato, tutto accade a distanza ravvicinata e in tempo reale. Nel mondo globale come in tutte le sfere, si circola meglio ma manca un senso di direzione. Per orientarsi nel mondo globale l’ambasciatore Guido Lenzi  ha scritto Internazionalismo  liberale (edizioni  Rubbettino 2014).

L’internazionalismo liberale proposto da Lenzi è un ordine mondiale organizzato secondo princìpi non di antagonismo, ma di cooperazione. Non più il sistema dei blocchi contrapposti, delle potenze egemoni e degli stati satelliti, ma un multilateralismo che accetti il pluralismo delle diversità e abbia per sfondo l’orizzonte kantiano del governo cosmopolitico, della cittadinanza universale.

L’internazionalismo  liberale di Lenzi  offre  risposta a rapporti  fondamentali, quali il rapporto fra pace e democrazia (le democrazie liberali non si fanno guerra tra di loro);  il rapporto fra crisi della democrazia e crisi dello Stato (il formato prevalente della democrazia resta quello dello Stato nazionale,  ormai insufficiente);  il rapporto fra i nuovi attori degli scenari mondiali.

Lo scenario mondiale di oggi evoca un vecchio fantasma, il tramonto dell’Occidente. La  suggestiva tesi di Lenzi è che l’Occidente sa di non essere più alla guida del mondo eppure non rinuncia a considerarsene responsabile. In effetti, la globalizzazione ha irradiato nel mondo i valori liberali: libero mercato, governo democratico, diritti umani. Ma l’irradiazione non è stata simmetrica, i mercati sono globali, la democrazia si è allargata abbastanza, i diritti umani sono tuttora  largamente indifesi. Quando la simmetria sarà conquistata, vorrà dire che Lenzi aveva visto giusto.

di Guido Di Massimo

 

Merkel: la santa patrona d’Europa.

Unione Europea: dove i paesi europei gettano colpe e incapacità liberandosi d’incanto d’ogni responsabilità.

Voto europeo: voti nazionali mascherati da europei.

L’Europa al voto: ma se ognuno vota per sé l’Europa dov’è?

Svalutazione competitiva: era il cavallo di battaglia di un’economia dove la svalutazione competitiva si trasformava tutta in svalutazione inflattiva.

È il rimpianto e la nostalgia di chi rivorrebbe la lira ma innanzitutto i quindici-venti anni che il tempo s’è portato via.

Monocameralismo: chi ci salverà da un Parlamento che senza il Senato legifererà come un forsennato con danno pubblico e privato?

Grillismo: la fine tragicomica del bipolarismo.

Renzi: un deciso uomo di sinestra.

Nessun bonus agli incapienti: ad evitare che diventino capienti perdendo tutti i vantaggi degli incapienti.

Deflazione: abbassa i prezzi dei prodotti riducendone il valore così che tutta la nazione diventa più povera per definizione.

CGIL, CISL, UIL: erano la trimurti, ora sono i tre morti. 

martedì 27 maggio ore 10.00, presso la sede della Fondazione, si terrà il Convegno di studi Libri, informazione, potere. Paradigmi della censura nell’età moderna e contemporane. Aprirà i lavori Mario Lupo. Interverranno Paolo Simoncelli, Giampiero Gramaglia, Massimiliano Trovato, Yasemin Taskin. Modererà Giovanni Orsina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Scegli la Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia di Roma per il tuo 5 per mille. È una scelta d’impegno culturale; è una scelta di libertà; è una scelta che non comporta alcun onere se non quello di compilare una sezione aggiuntiva del modulo per la dichiarazione dei redditi.

La Fondazione romana intitolata al presidente Einaudi – fondata dal figlio Mario Einaudi e dal leader liberale Giovanni Francesco Malagodi – svolge da più di cinquant’anni un’intensa attività di diffusione del pensiero liberale organizzando incontri, seminari, convegni e mostre, conservando e mettendo a disposizione degli studiosi un cospicuo patrimonio bibliotecario e archivistico, promuovendo ricerche, pubblicando libri.

Promuove in Piemonte un museo diffuso interattivo su Cavour, Einaudi e Giolitti. Approfondisce con numerosi partner gli aspetti fondamentali dei nuovi mezzi di comunicazione. In collaborazione con l’università Luiss Guido Carli, attraverso l’OPEOsservatorio per la Politica Energetica, cura l’approfondimento dei problemi energetici. Organizza attraverso l’Associazione dei suoi Amici la Scuola di Liberalismo, quest’anno attiva in dieci città.

La Fondazione svolge le sue attività grazie ai contributi e alle donazioni dei sostenitori. Coloro che l’aiutano, col danaro o col lavoro, favoriscono concretamente in Italia lo sviluppo di una cultura della libertà.

[:en]

Bisogna distruggere e bandire per sempre il dogma della sovranità perfetta. La verità è il vincolo, non la sovranità degli Stati. La verità è l’interdipendenza dei popoli liberi, non la loro indipendenza assoluta. Per mille segni manifestasi la verità che i popoli sono gli uni dagli altri dipendenti, che essi non sono sovrani assoluti e arbitri, senza limite, delle proprie sorti, che essi non possono far prevalere la loro volontà senza riguardo alla volontà degli altri. Lo Stato isolato e sovrano perché bastevole a se stesso è una finzione dell’immaginazione; non può essere una realtà. Non esistono Stati perfettamente sovrani, ma unicamente Stati servi gli uni degli altri. (Il dogma della sovranità e l’idea della Società delle Nazioni, in «Corriere della Sera», 28 dicembre 1918)

In questo numero

Per un’Europa federale Einaudi, un’eredità attuale e scomoda di Paolo Silvestri Il Senato in Italia, fra tradizione e riforma di Enzo PalumboBorsa di Studio della Fondazione Luigi Einaudi Se passa lo straniero di Giuseppe Guglielmo Santorsola Liberalismi in libreria di Valerio ZanoneScherzando e malignando di Guido Di Massimo Appuntamenti5×1000

 Per un’Europa federale 

Il 15 maggio, le Fondazioni ed il Centro Luigi Einaudi di Roma e di Torino hanno rivolto al Presidente del Consiglio ed ai Ministri della Repubblica, ai Parlamentari di Camera e Senato, ai Segretari dei partiti politici ed ai Candidati alle elezioni del Parlmamento europeo per la legislatura 2014-2019, l’appello “per un’Europa federale”, che nel testo integrale potrà essere letto sul nostro sito web www.fondazione-einaudi.it.

In sintesi, l’appello prende le mosse dall’eredità di Luigi Einaudi e dai capisaldi del suo federalismo europeista:

  • la demolizione del mito dello Stato sovrano e autosufficiente;
  • la visione di una globalizzazione che premia gli Stati di grandi dimensioni e condanna quelli più piccoli, come gli Stati europei, all’emarginazione e all’irrilevanza;
  • l’affermazione conseguente della necessità di unificare l’Europa non solo economicamente, ma anche  e anzitutto politicamente [1]. Per avere un vero e proprio Stato sovranazionale dotato di poteri di governo reali, che persegua la crescita economica sostituendo alla filosofia della scarsità, propria dello stato piccolo, quella dell’abbondanza, propria dello stato grande.

   L’appello prosegue denunciando i rischi [2] di involuzione del processo di integrazione europea avviato nel 1957, chiedendo un’Assemblea costituente che lo rilanci e lo acceleri e così conclude.

       L’integrazione europea è in crisi per la sua incompiutezza.

   L’UE attualmente è una grande burocrazia senza un vero e proprio Stato sovranazionale e, soprattutto, senza un governo comune della politica e dell’economia, che ne fu la ragione ispiratrice.

     Se si vogliono combattere la recessione, la stagnazione e le diseguaglianze, se si vuole prevenire la deflazione, occorre più Europa e non meno Europa.

Il completamento della costruzione di un’Europa federale è indispensabile:

  • per dare al nostro continente e agli Stati che lo compongono visibilità e ruolo internazionali
  • per promuoverne lo sviluppo economico e sociale
  • per infondere nei cittadini europei speranza e fiducia in un avvenire migliore.

     Beninteso, l’Europa delle riforme, della crescita e dell’occupazione e non quella dei vincoli di bilancio che soffocano lo sviluppo; con un nuovo trattato dell’euro, con meno burocrazia e più democrazia.

L’appello per un’Europa federale, portato a conoscenza del Presidente della Repubblica, è stato sottoscritto da un gran numero di associazioni, enti e personalità di prestigio del mondo della cultura, della politica, dell’imprenditoria e delle professioni, qui appresso elencati, ai quali va il nostro sentito ringraziamento.

Un consenso così ampio e qualificante, proveniente da soggetti di orientamento culturale e politico molto diverso, è per noi motivo, non solo di legittimo orgoglio – poiché testimonia dell’universalità del pensiero di Luigi Einaudi e della credibilità super partes della nostra Fondazione – ma anche di speranza nel rilancio del’integrazione europea.

Abbiamo subito intrapreso opportune iniziative di comunicazione per diffondere la conoscenza dell’appello aldilà della pur ampia cerchia dei suoi destinatari e a tal fine sollecitiamo anche la collaborazione dei lettori di questa newsletter.

Mario Lupo 

 

 

 

AICI – Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane
ANCE – Associazione Nazionale Costruttori Edili
AGI – Associazione Imprese Generali
Centro Studi Economia Reale
Fondazione Umberto Veronesi
Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere
INU – Istituto Nazionale di Urbanistica
Società Aperta
Paolo Astaldi
Mario Baldassarri
Luisella Battaglia
Paolo Buzzetti
Pellegrino Capaldo
Fabio Cerchiai
Pierluigi Ciocca
Enrico Cisnetto
Daniela Condò
Paolo Costa
Giancarlo Cremonesi
Enrico Tommaso Cucchiani
Antonio D’Amato
Domenico da Empoli
Domenico De Masi
Giuseppe De Rita
Roberto Einaudi
Francesca Romana Fantetti
Vito Gamberale
Francesco Gianni
Fiorella Kostoris
Gianni Letta
Stefano Micossi
Umberto Morelli
Nerio Nesi
Paolo Nesta
Guido Pescosolido
Gustavo Piga
Romano Prodi
Enrico Salza
Paolo Savona
Carlo Scognamiglio Pasini
Maurizio Sella
Gianpiero Sironi
Enzo Siviero
Valdo Spini
Giorgio Squinzi
Anna Maria Tarantola
Pietro Terna
Luisa Todini
Umberto Veronesi
Luciano Violante
Silvia Viviani
Valerio Zanone

 

 

P.S.: Si sono aggiunte nel frattempo le sottoscrizioni di:

Paola Bernasconi
Roberto Bergamaschi
Marco Boato
Michele Boldrin
Giuliano Cazzola
David Cioccolo
Girolamo Cotroneo
Pier Virgilio Dastoli
Vittorio Di Paola
Marco Fedi
Fabio Filippi
Giuseppe Gorruso
Giuseppe Pennisi
Pier Luigi Porta
Cinzia Renzi
Pietro Rescigno
Alessandro Rosasco
Davide Sabbadin

Appello “per un’Europa federale”

Articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” – 22 maggio 2014


[1] In proposito Einaudi afferma: “è un grossolano errore dire che si comincia dal più facile aspetto economico per passare al più difficile risultato politico. È vero il contrario. Bisogna cominciare da l politico se si vuole l’economico”.
[2] Essi derivano dall’incapacità dell’unione di attuare una strategia di uscita dalla crisi economica iniziata nel 2008; dalla crisi dell’euro; dal deficit democratico e dall’appesantimento burocratico delle istituzioni europee; dallo svuotamento del patto fiduciario che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si era creato attorno al Progetto Europeo.

 Einaudi, un’eredità attuale e scomoda 

di Paolo Silvestri*

In questi ultimi anni, alcune delle più alte cariche dello Stato hanno avvertito il bisogno di un richiamo all”eredità di Luigi Einaudi. Continua a leggere

* Docente di filosofia all’Università di Torino

 

 Il Senato in Italia, fra tradizione e riforma 

di Enzo Palumbo*

Questo è il sommario della conferenza tenuta da Enzo Palumbo alla Camera Civile di Messina lo scorso 28 aprile: 1) Il Senato nello Statuto Albertino 2) Il Senato nell’interregno 3) Il Senato nella Costituzione repubblicana 4) La lunga strada della riforma: un percorso ad ostacoli 5) Le proposte in discussione. 6) Alcuni falsi miti in circolazione 7) Quale bicameralismo e quale forma di governo per l’Italia di domani?

* Avvocato, già senatore della Repubblica e membro del Consiglio Superiore della Magistratura

 Se passa lo straniero 

di Giuseppe Guglielmo Santorsola*

La quota dei fondi esteri nelle società quotate italiane risulta in sensibile aumento. L’afflusso di capitali è senza dubbio positivo. Ma l’ingresso massiccio degli investitori istituzionali d’oltre confine apre nuovi problemi di governance.L’afflusso di capitali esteri nel sistema economico italiano è un dato consistente dei movimenti finanziari degli ultimi anni. Le direttrici principali sono due: l’acquisizione del controllo “industriale” (investimento reale), tramite quote di maggioranza relativa, ma quantomeno sufficiente al controllo, con logiche sia di integrazione che di diversificazione produttiva oppure l’operazione di investimento finanziario che a sua volta può risultare di medio-lungo periodo (private equity o fondi sovrani) oppure di breve termine (mediante investimenti in mercati regolamentati da parte di fondi comuni, fondi pensione o investitori privati).

A queste azioni dobbiamo affiancare in contrapposizione le operazioni di investimento di fondi italiani in azioni estere e di imprese italiane in imprese straniere. Il saldo netto strutturalmente negativo appare in progressivo peggioramento negli ultimi anni. Ne consegue la domanda logica sulla convenienza dell’intervento sui mercati e nelle imprese di soggetti stranieri, al di là della valutazione circa il significato del crescente peso delle scelte gestionali esogene in settori industriali e di servizi comunque fondamentali per l’equilibrio dell’economia italiana.

Limitandoci nell’approfondimento al settore finanziario, un benchmark di riferimento (indicato come mero esempio perché oggi più palese) è sicuramente l’operato di BlackRock, frequentemente primo azionista (salvo manovre di portafoglio) di Unicredit, Banca Intesa, MPS, UBI e Banco Popolare, secondo di BPM, oltre alle numerose partecipazioni industriali quali Telecom Italia (7%), Generali (3%), Fiat Industrial (4%), Mediaset (2%), Atlantia, Azimut e Prysmian (circa il 5%).

Propongo una prima analisi volutamente provocatoria: ci può essere un rischio di interlocking quando un soggetto è socio intorno al 5% di molti competitors in un settore? Il tema riguarda, nel contesto legislativo italiano in vigore, i soggetti consiglieri o sindaci, ma dobbiamo valutare – sotto un profilo concettuale – anche il rischio della presenza dell’azionista con il suo potere di voto. Ciò ad evidenza soprattutto laddove le banche siano finanziatrici delle imprese (o letto in modo inverso queste siano debitrici delle prime).

In realtà, BlackRock, con un portafoglio di partecipazioni gestito da 10.000 dipendenti in 30 Paesi, non ha certamente privilegiato l’Italia. Il portafoglio è guidato da un modello, supportato dalla piattaforma elettronica Aladin che analizza continuamente i rischi connessi a tutti gli investimenti. La considerazione più logica è che il fondo abbia deciso di aumentare l’esposizione in una fase critica che potrebbe generare (con rischio giudicato ad evidenza gestibile) cambiamenti per l’Italia, pronta a disinvestire qualora necessario.

Senza voler indicare una possibile strategia futura, si può anche ricordare che BlackRock è intervenuto negli ultimi anni anche nelle operazioni di turnaround di Fannie Mae e Freddie Mac oltre che nel “salvataggio” di AIG e ad aver acquisito o partecipato a split di Merril Lynch, Barclays e Bear Stearns.

Con una forzatura logica possiamo definire il suo comportamento e quello di altri player simili (al momento meno presenti in Italia) come quello di un investitore “sciupa femmine” (o per equilibrio di gender maschi) e non di un “innamorato” dei propri investimenti.

Diverso appare il comportamento dei fondi sovrani, la cui logica è di merchant banking con finalità di crescita nel tempo del valore delle partecipazioni, orizzonti di medio periodo e finalità di controllo o governo dei destinatari delle scelte di investimento.

Sarà certamente interessante verificare il confronto fra le logiche di governance, laddove i fondi di investimento si confronteranno con quelli sovereign in condizioni di allineamento delle quote (Unicredit ne è un esempio). Un possibile fattore di opacità è costituito dalla verifica in trasparenza delle operazioni possibili sotto la soglia del 2% (priva di obblighi di comunicazione all’Authority). Ulteriore preoccupazione è suscitata dalla possibilità dal 2012 per i fondi di non comunicare posizioni inferiori al 5%. I fondi italiani hanno tradizione di comportamenti congiunti (coordinati da Assogestioni), logica non condivisa, anche per diversità palesi, da fondi esteri non legati da alcuna scelta nazionale o comunitaria.

In questo scenario dobbiamo valutare il ruolo decrescente della componente italiana costituita non solo da fondi di investimento di matrice nazionale quanto dalle fondazioni, difficilmente indotte alla diversificazione, condizionate da scelte politiche, sociali e localistiche, ma soprattutto non in grado di dotarsi delle risorse aggiuntive necessarie per mantenere posizioni percentuali di fronte ai fabbisogni di capitale (regolamentari per le banche e strategiche nel caso delle imprese). La previsione normativa dell’autorizzazione della Banca d’Italia gioca in realtà un ruolo, non condizionante nei casi di coinvolgimento di soggetti esteri di fronte alla necessità di coprire gli aumenti di capitali reclamati dai Regulators sovranazionali.

Gli organi amministrativi debbono risultare pronti a gestire le scelte volitive di assemblee ormai diversamente composte. Deve essere chiaro a tutti che gli scopi di impresa in termini di economicità, solidità e redditività vanno modificandosi e che il contesto italiano appare idoneo per intermediari tradizionali e meno (almeno per un medio-lungo momento) per attività di banche di investimento. Non siamo in grado cioè di proporre banche diversamente orientata da un’azione tradizionale necessaria nel tessuto italiano, diversa da molti competitors globali e fondamentale per il futuro della nostra economia in un ciclo augurabilmente più favorevole.

Ad evidenza, risulta premiata, perché utile, una strategia di raccolta e impiego redditizia nel modello economico nazionale e ben letta da un investitore razionale che sostituisca la “banca di sistema” nazionale, al momento non efficace negli ultimi anni.

* Docente all’ Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

    

 

di Valerio Zanone

 

Per i liberali, quanto meno i liberali storicisti della tradizione italiana, il filo conduttore per capire il mondo è il senso della storia. Ma negli ultimi vent’anni, per effetto della globalizzazione, il senso della storia è cambiato, nel tempo e nello spazio. Lo spazio si è dilatato, il tempo è accelerato, tutto accade a distanza ravvicinata e in tempo reale. Nel mondo globale come in tutte le sfere, si circola meglio ma manca un senso di direzione. Per orientarsi nel mondo globale l’ambasciatore Guido Lenzi  ha scritto Internazionalismo  liberale (edizioni  Rubbettino 2014).

L’internazionalismo liberale proposto da Lenzi è un ordine mondiale organizzato secondo princìpi non di antagonismo, ma di cooperazione. Non più il sistema dei blocchi contrapposti, delle potenze egemoni e degli stati satelliti, ma un multilateralismo che accetti il pluralismo delle diversità e abbia per sfondo l’orizzonte kantiano del governo cosmopolitico, della cittadinanza universale.

L’internazionalismo  liberale di Lenzi  offre  risposta a rapporti  fondamentali, quali il rapporto fra pace e democrazia (le democrazie liberali non si fanno guerra tra di loro);  il rapporto fra crisi della democrazia e crisi dello Stato (il formato prevalente della democrazia resta quello dello Stato nazionale,  ormai insufficiente);  il rapporto fra i nuovi attori degli scenari mondiali.

Lo scenario mondiale di oggi evoca un vecchio fantasma, il tramonto dell’Occidente. La  suggestiva tesi di Lenzi è che l’Occidente sa di non essere più alla guida del mondo eppure non rinuncia a considerarsene responsabile. In effetti, la globalizzazione ha irradiato nel mondo i valori liberali: libero mercato, governo democratico, diritti umani. Ma l’irradiazione non è stata simmetrica, i mercati sono globali, la democrazia si è allargata abbastanza, i diritti umani sono tuttora  largamente indifesi. Quando la simmetria sarà conquistata, vorrà dire che Lenzi aveva visto giusto.

di Guido Di Massimo

 

Merkel: la santa patrona d’Europa.

Unione Europea: dove i paesi europei gettano colpe e incapacità liberandosi d’incanto d’ogni responsabilità.

Voto europeo: voti nazionali mascherati da europei.

L’Europa al voto: ma se ognuno vota per sé l’Europa dov’è?

Svalutazione competitiva: era il cavallo di battaglia di un’economia dove la svalutazione competitiva si trasformava tutta in svalutazione inflattiva.

È il rimpianto e la nostalgia di chi rivorrebbe la lira ma innanzitutto i quindici-venti anni che il tempo s’è portato via.

Monocameralismo: chi ci salverà da un Parlamento che senza il Senato legifererà come un forsennato con danno pubblico e privato?

Grillismo: la fine tragicomica del bipolarismo.

Renzi: un deciso uomo di sinestra.

Nessun bonus agli incapienti: ad evitare che diventino capienti perdendo tutti i vantaggi degli incapienti.

Deflazione: abbassa i prezzi dei prodotti riducendone il valore così che tutta la nazione diventa più povera per definizione.

CGIL, CISL, UIL: erano la trimurti, ora sono i tre morti. 

martedì 27 maggio ore 10.00, presso la sede della Fondazione, si terrà il Convegno di studi Libri, informazione, potere. Paradigmi della censura nell’età moderna e contemporane. Aprirà i lavori Mario Lupo. Interverranno Paolo Simoncelli, Giampiero Gramaglia, Massimiliano Trovato, Yasemin Taskin. Modererà Giovanni Orsina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Scegli la Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia di Roma per il tuo 5 per mille. È una scelta d’impegno culturale; è una scelta di libertà; è una scelta che non comporta alcun onere se non quello di compilare una sezione aggiuntiva del modulo per la dichiarazione dei redditi.

La Fondazione romana intitolata al presidente Einaudi – fondata dal figlio Mario Einaudi e dal leader liberale Giovanni Francesco Malagodi – svolge da più di cinquant’anni un’intensa attività di diffusione del pensiero liberale organizzando incontri, seminari, convegni e mostre, conservando e mettendo a disposizione degli studiosi un cospicuo patrimonio bibliotecario e archivistico, promuovendo ricerche, pubblicando libri.

Promuove in Piemonte un museo diffuso interattivo su Cavour, Einaudi e Giolitti. Approfondisce con numerosi partner gli aspetti fondamentali dei nuovi mezzi di comunicazione. In collaborazione con l’università Luiss Guido Carli, attraverso l’OPEOsservatorio per la Politica Energetica, cura l’approfondimento dei problemi energetici. Organizza attraverso l’Associazione dei suoi Amici la Scuola di Liberalismo, quest’anno attiva in dieci città.

La Fondazione svolge le sue attività grazie ai contributi e alle donazioni dei sostenitori. Coloro che l’aiutano, col danaro o col lavoro, favoriscono concretamente in Italia lo sviluppo di una cultura della libertà.

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