Fascistometro, quando l’antifascismo diventa una farsa

Fascistometro, quando l’antifascismo diventa una farsa

Viene quasi voglia di dar ragione al vecchio Marx che diceva che la storia si presenta una prima volta come tragedia e la seconda volta assume le sembianze di farsa. Parliamo della storia dell’antifascismo, che cominciò con la repulsione estetica ed etica a Mussolini di Piero Gobetti, attraversò all’opposizione gli anni del regime, fondò la base di legittimità della prima Repubblica, e che ora diventa la parodia di sé stessa col “fascistometro” ideato dalla scrittrice impegnata Michela Murgia (lo si trova alla fine del suo libro più recente, Istruzioni per diventare fascisti, pubblicato da Einaudi, che è stato prontamente ripreso con un certo successo nei giorni scorsi dal sito de “L’Espresso”). Si tratta di un test che è volto a misurare, attraverso le risposte date a sessantacinque domande, il grado di fascismo, o di “fascistizzazione”, di chi lo esegue.

L’idea che ne è alla base, come ha esplicitato la stessa autrice in un’intervista a Repubblica, è che una certa dose di fascismo è in tutti noi e che, in questo momento particolare, in cui predominano i partiti “populisti” e “sovranisti”, sta venendo pericolosamente fuori. “Il fascismo come metodo – dice – ci attraversa tutti, anche chi crede di essere molto democratico”. E qui uno penserebbe, da una parte, che Murgia si riferisca a sé stessa, conscia che il “male” accompagna sempre tutti noi umani e imperfetti, e, dall’altra, abbia di mira quella arroganza e intolleranza alle idee non conformiste che ha contraddistinto certe fasi e protagonisti dell’antifascismo storico, tanto da portare Ennio Flaiano già nell’immediato dopoguerra ad affermare che “in Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti”. Nulla di ciò.

Murgia, come esplicita nel proseguio dell’intervista, ce l’ha con le politiche del centrosinistra governativo, arrivando a parlare di un fascismo non “agito”, come quello “che stiamo vedendo in queste settimane”, ma già da Renzi e compagni “progettato”. Ora, che la Murgia si collochi nell’ala più intransigente della sinistra potrebbe anche non interessarci, ma il fatto che essa goda, come tanti altri intellettuali in verità, di una visibilità mediatica che travalica l’ambito strettamente letterario o culturale, questo sì che è un problema. O, meglio, una spia di come funziona, o non funziona, ancora oggi il mercato e il sistema culturale italiani.

Venendo allo specifico del “fascistometro”, la farsa si manifesta tutta nell’incongruenza che oggi si è creata fra coloro che vorrebbero continuare a dare, sulle orme degli intellettuali novecenteschi, a sé stessi il ruolo di guide con una missione politica “salvifica”, e gli strumenti alquanto profani e disincantanti che la moderna società della comunicazione-spettacolo offre loro e che essi usano a piene mani. Fingendo di non accorgersi della contraddizione e non provando nemmeno a tematizzarla. Il test è infatti uno strumento che un uomo di cultura dovrebbe usare con molta cautela, o meglio manovrandolo con quella ironia che manca ai nostri intellettuali: come se fosse nulla più che un divertissement, un gioco da fare sotto l’ombrellone in estate o accanto al focolare d’inverno in modo da poter poi confrontare scherzando il proprio risultato con quello ottenuto da amici e parenti. Nulla come un test, infatti, esprime in modo paridigmatico quella semplificazione del reale che si imputa ai movimenti populisti: la complessità del mondo e della vita storico-politica, detto in altri termini, non può certo ridursi ad una crocetta messa sulla casella di una risposta piuttosto che su quella di un’altra.

Senza considerare il fatto che, continuando a considerare il fascismo non un evento storico ma un concetto ideale, quasi una “categoria dello spirito”, si rischia di ripetere all’infinito il vecchio vizio che ha contrassegnato l’intellettualità italiana, in un processo storico che è andato dallo stesso Gobetti (che ne aveva parlato come di una “autobiografia della nazione”) ad Umberto Eco (che aveva coniato il concetto e l’espressione di “fascismo eterno”). Un vizio che non non solo ha portato a non capire fino in fondo il ventennio, come la storiografia ha ampiamente dimostrato, ma ha finito per non far comprendere agli intellettuali nemmeno il proprio tempo. La stessa lotta a tutto ciò che oggi in esso non ci piace, con le armi intellettuali spuntate, finirà inesorabilmente per essere perdente.

Corrado Ocone, “Il Mattino” 5 novembre 2018

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