Spending review, la resa della spesa

Spending review, la resa della spesa

Davide Giacalone interviene sulla spending review annunciata dal commissario alla revisione della spesa Yoram Gutgeld

Che il commissario al taglio della spesa pubblica proponga di non ridurre il deficit, avendo noi un debito che ci strangola, è già curioso. Che si spinga a chiedere la revisione del Fiscal compact, di fatto già sospeso, significa che non ha chiara la sua funzione, ma neanche la situazione in cui ci troviamo.

I numeri che ha diffuso, talché i giornali hanno potuto titolare: “Tagliati 30 miliardi in tre anni”, dovrebbero indurre alla preoccupazione, piuttosto che alla immotivata soddisfazione.

Se si leggono i conti pubblicati dal governo, per il quale il commissario alla spending review lavora, si apprende che la spesa pubblica corrente non solo è costantemente aumentata, sia in cifra assoluta che in rapporto al prodotto interno lordo, ma è cresciuta al netto degli interessi sul debito pubblico, quindi senza che la responsabilità possa essere scaricata su quello e sul passato.

Anzi, sono proprio gli interessi la posta di spesa su cui si è più risparmiato, grazie, però, non alle scelte del governo italiano, ma a quelle della Banca centrale europea.  E se si studia la natura e la dimensione dei tagli effettuati, si scopre che ammontano a 16 miliardi nel bilancio 2015; 10 nel 2016 e 3 nel 2017.

Sicché, riassumendo:

a. i tagli effettuati non hanno ridotto la spesa corrente, il che significa che quanto tagliato da una parte veniva poi maggiormente speso da un’altra;

b. i tagli sono decrescenti nel tempo, così dimostrandosi che si sono cancellati sprechi abnormi senza incidere con riforme strutturali;

c. in realtà si sono tagliati, più che altro, gli investimenti, salvo continuare a dire che si dovrebbero fare per riprendere a crescere in modo accettabile;

d. il debito continua a crescere e ci si è rassegnati a questo, anzi si chiede di tenere alto il deficit così gonfiandolo, ove non lo si diminuisca mediante vendite, che, però, il governo esclude; e. la spesa pubblica, nel 2016, al netto degli interessi, resta allo stratosferico 42.2% del pil, così dimostrandosi che il costo dello Stato, una volta contabilizzati anche gli interessi sul suo debito, assorbe ben più della metà della ricchezza prodotta.

In queste condizioni affermare che va rivisto il fiscal compact significa avvertire tutti gli altri che noi più di questo, ovvero più di niente, non riusciamo a fare. In condizioni normali il governo sarebbe dovuto intervenire per censurare tale tesi suicida, per negare la resa senza resistenza.

Ma siamo, da troppo tempo, in condizioni terminali, sicché si lascia che tutto viva nello spazio di una conferenza stampa, fidando che la memora svanisca velocemente. Ma fuori da qui, invece, durerà.

In quanto al fiscal compact, quando fu approvato sostenemmo che non era realistico e non si sarebbe potuto rispettarlo. Così è stato. Tanto che è praticamente abbandonato.

Perché andare a insolentire i mercati, ricordando che approvammo l’impossibile?

Inoltre: nella Costituzione era già previsto un sostanziale pareggio di bilancio, imponendo la copertura delle leggi che s’andavano approvando, ma si votò, con vasta convergenza, senza discussione e senza referendum, da nessuno chiesto, la riforma che impone il pareggio di bilancio.

È irrilevante che noi allora avvertimmo dell’errore, ma è rilevante che al governo pensino di chiedere la revisione degli accordi europei dimenticando di dovere comunque obbedire alla Costituzione italiana. O stanno comunicando in via ufficiale quel che ci era già evidente in via di fatto, ovvero che quelle sono solo parole? Singolare, visto l’oggetto e vista la fonte.

La cosa drammatica è che il solo rigore vissuto dall’Italia s’è visto sul lato fiscale, a spese dei cittadini, mentre le politiche di spesa sono state costantemente espansive. Salvo non innescare alcuna espansione, quindi possono definirsi: spendaccione senza costrutto.

Non contenti di questa colpa (la considero una colpa) si fa credere di avere vissuto una lunga stagione di rigore, annunciando che a quella occorre porre fine.

Come dire che un gruppo di alcolizzati, già ubriachi, invitano a una allegra bicchierata, in modo da far finire l’orrida astinenza. Che non hanno mai praticato.

Davide Giacalone, 21 giugno 2017

www.davidegiacalone.it

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