Salvatore Carrubba

La globalizzazione come fattore di sviluppo

La pervasività dell’innovazione tecnologica e il crollo delle barriere ideologiche hanno fatto il mondo più omogeneo, dando vita al fenomeno nuovo e complesso della globalizzazione. Essa porta con sé germi di sviluppo ma rischi di conflittualità che vanno conosciuti, controllati e governati.

La cultura liberale, che storicamente s’identifica con l’emancipazione dal sottosviluppo raggiunta attraverso la scommessa sull’autonomia e la responsabilità personali, deve assicurare un contributo fondamentale perché il processo di globalizzazione dispieghi le sue potenzialità positive. In primo luogo è indispensabile concorrere alla comprensione effettiva dei problemi ad essa legati, evitando che un fenomeno positivo e inarrestabile diventi fonte di angoscia planetaria e contrastando qualunque tentazione di neo-protezionismo.

Alla globalizzazione sono imputati molti mali del mondo sviluppato, in primo luogo la disoccupazione che affligge molti Paesi del primo mondo. Ma l’evidenza rovescia questo luogo comune e dimostra che non esiste nesso alcuno fra lo sviluppo dei Paesi poveri e il declino di quelli ricchi. Eppure il preconcetto è duro a morire e trascina con sé la tentazione di chiudere i mercati che viceversa si rivela l’unica terapia vincente per assicurare lo sviluppo. Per questo assume un’importanza sempre crescente assicurare un’informazione puntuale sui grandi fenomeni di trasformazione in corso, mettendo in grado i cittadini del pianeta di essere sempre più coscienti e responsabili.

Ma l’apertura dei mercati assicura una prospettiva di sviluppo se le società sono in grado di far fiorire le potenzialità imprenditoriali personali, sulle quali puntare alla luce dei fallimenti senza appello provocati dalle tentazioni dirigiste, stataliste e protezioniste: un sistema d’imprenditorialità diffusa implica, di nuovo, una scommessa significativa sulla formazione e l’istruzione che diventano le risorse fondamentali per disseminare il sapere, farlo fertilizzare, assicurare la crescita dei Paesi poveri e far consolidare nelle cultura dei Paesi ricchi quella costante e serena propensione al cambiamento che si rivela la risorsa vincente per affrontare le ansie provocate da mercati del lavoro sempre più segmentati e frammentati. E richiede condizioni di mercato perché queste potenzialità possano svilupparsi e moltiplicarsi.

La globalizzazione non è un gioco a somma negativa ma una prospettiva di sviluppo e di pacificazione per il pianeta: per questo gli attori di questo processo, le economie nazionali e regionali, devono potere gareggiare ad armi pari, cercando di assicurare un minimo standard di funzionamento dei mercati e condizioni di competitività coerenti.

Un mondo unificato dalla comune sfida sui mercati, un mondo standardizzato dalla fedeltà alle regole dell’impresa, infine, rischia di essere un mondo anonimo e algido che perde la ricchezza di culture che, spesso in conflitto tra loro, lo hanno formato nel corso dei secoli. Un mondo globale può rimanere un mondo di diversi che anzi si rispettano meglio perché collaborano in un quadro di regole comuni e condivise che non mortificano le storie, le tradizioni e le speranze dei popoli.

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