Crescono le diseguaglianze. Terribile. O no?

Crescono le diseguaglianze. Terribile. O no?

Dilagano i reazionari, a destra e a sinistra. Incapaci di affrontare i problemi reali si gonfiano gli incubi esistenziali, per cavalcare la rabbia e la reazione che inducono.

A contrastare i reazionari si presenta una variopinta legione che, incapace di far vivere le idee nel mondo reale, produce promesse irreali e temerarie. In questo modo s’infettano idee e ideali del mondo libero. Idee e ideali oggi vincenti, ma senza che vi siano classi dirigenti capaci di difendere e far prosperare la vittoria.

L’infezione, però, è evidente.

S’è eclissato l’universalismo dei diritti umani, così come quello a sfondo cristiano, con il risultato che diminuiscono le difese immunitarie contro il morbo razzista. S’è eclissato l’internazionalismo ideologico della sinistra, e se i proletari di tutto il mondo dovevano unirsi oggi devono difendersi gli uni dagli altri.

Con il risultato che il più riuscito leader di questa sinistra distorsione delle idee che furono di sinistra è Donald Trump, aedo dell’operaio sconosciuto, ma connazionale.

Così camminano idee assurde, come quella di difendere il popolo dai popoli e il mercato (interno) dai mercati. S’afferma un protezionismo che non è solo frontiera economica, ma pretende d’essere argine allo straripare dei tremori.

I mezzi di comunicazione fanno il surf su paure e luoghi comuni, annebbiando sempre di più la capacità di guardare la realtà. Fanno eco a ricchi e potenti riuniti al World Economic Forum per comunicare urbi et orbi il loro cruccio: cresce la diseguaglianza.

Che cosa brutta: pochi possiedono tanto e tanti posseggono poco. Terribile. O no?

Varrebbe la pena di osservare le cose da un altro punto di vista: i Paesi che producono maggiori diseguaglianze sono quelli che crescono di più, tanto che, purtroppo, l’Italia ne produce assai meno di altri. Infatti continua a crescere meno, assai meno, degli altri europei.

La crescita della ricchezza genera squilibri, ma consente un mondo in cui anche i poveri stanno meglio di prima (se dal dramma della denutrizione si è passati al dilagare dell’obesità la causa non va cercata nella penuria).

Anziché provare a fermare la macchina produttiva, che di suo porta alla concentrazione della ricchezza, si dovrebbe lavorare sulle idee che governano ciascun Paese e il mondo. Sapendo che la giustizia distributiva non consiste nell’evitare che ci siano i ricchi, semmai nell’evitare che ci siano i poveri.

E per evitarlo non serve togliere, ma dare: istruzione, mobilità sociale, meritocrazia. Questo, però, comporta la capacità di rimettere in discussione totem e tabù ereditati dall’800 e già deperiti nel 900. Non sapendolo fare si prova a dire che la colpa è del mondo aperto, della globalizzazione, dei commerci, della concorrenza.

Con questo si cancella la visione di un mondo, quello in cui viviamo, più giusto, più equo e più ricco di quello che ha accompagnato la lunga fine della guerra fredda, conclusasi con un’altra vittoria dell’occidente democratico: il crollo sovietico e la fine della divisione in blocchi.

Il che non ha portato, né nulla porterà mai, alla fine di conflitti e interessi in contrasto, talché né la storia né la politica esauriranno mai il loro compito, ma ha reso possibile la crescita dei commerci e la diffusione del benessere in aree dove imperava la morte per fame.

Centinaia di milioni di umani hanno potuto aspirare all’eguaglianza dei diritti e non sentirsi figli di un dio minore. Centinaia di milioni di lavoratori hanno potuto aspirare a quello che altri già avevano. Non c’è nulla di perfetto o definitivamente soddisfacente, ma se proviamo a difenderci da ciò non possiamo che correre nelle braccia della barbarie e della miseria.

Davide Giacalone, 25 gennaio 2018

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