Le virtù del libero scambio e i rischi del neo-protezionismo

Le virtù del libero scambio e i rischi del neo-protezionismo

Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera, scrive del trattato tra Stati Uniti ed Europa (Ttip) che probabilmente non verrà  ratificato a causa delle troppe resistenze al di là e al di qua dell’Atlantico

Proprio mentre l’accordo sul clima ufficializza la volontà di Cina e Stati Uniti, nonostante le rivalità crescenti, di co-gestire alcuni problemi complicati (anche se gli effetti pratici dell’accordo restano incerti e dubbi), il mondo occidentale si indebolisce vistosamente. Si allarga la distanza fra il Nuovo e il Vecchio Continente. È ormai quasi certo che il trattato di libero scambio Stati Uniti/Europa (Ttip) non verrà mai ratificato: troppe resistenze al di là e al di qua dell’Atlantico.

La lunga crisi economica ha favorito la diffusione di atteggiamenti protezionistici che uno stuolo di demagoghi di destra e di sinistra (come Trump e Sanders negli Stati Uniti, come Le Pen, Grillo, Farage ma anche Hollande o i socialdemocratici tedeschi in Europa) stanno cavalcando. Gli economisti mettono giustamente in guardia contro le pesanti conseguenze economiche negative che porterà con sé il neo-protezionismo. Ma vanno anche valutate le conseguenze politiche e geopolitiche.

Lasciamo fuori gli Stati Uniti dove nelle presidenziali di novembre gli americani sceglieranno fra la continuità e l’avventura. Consideriamo solo l’Europa. Qui sono avvenute profonde mutazioni culturali: esse stanno provocando la fine del processo di integrazione, la dissoluzione dell’Europa. Ciò che sta venendo meno, che sta franando, è il «centro», quella maggioranza ultrastabile che un tempo era favorevole sia all’integrazione europea che al mantenimento di stretti legami con gli Stati Uniti

Con l’erosione del centro, la sinistra e la destra non hanno più freni inibitori, sono libere di seguire le loro più profonde inclinazioni. Elettorati disorientati e confusi in parte le precedono trascinandosele dietro e in parte le seguono. Nel breve termine, ciò può essere elettoralmente pagante per questo o quel partito. Nel medio termine sarà una catastrofe per (quasi) tutti: meno sviluppo economico, più povertà, più disoccupazione ma anche, sul piano politico, il successo di movimenti neo-autoritari, la diffusione di orientamenti illiberali.

Il nodo è rappresentato da ciò che con una espressione imprecisa viene detto «globalizzazione». Destra illiberale (nelle sue varie sfumature) e sinistra detta socialista (nelle sue varie sfumature), in Europa, sono divise dal fatto di essere la prima contraria e la seconda favorevole alla cosiddetta globalizzazione «culturale» indotta dall’immigrazione (la prima difende radici e «integrità identitarie», la seconda ha come ideale il «meticciato»). Ma questa divisione non impedisce che tale destra e tale sinistra siano accomunate da un’identica ostilità verso la globalizzazione economica. Indebolire il sistema di libero scambio, erigere barriere protezioniste, sono misure che attraggono molti sia a destra che a sinistra.

La conseguenza di questa diffusione di orientamenti protezionistici è che vengono messi in discussione sia il mercato unico europeo (e dunque l’Unione) sia il legame con gli Stati Uniti, imputati (giustamente) di essere il più potente traino dei processi di globalizzazione. Molti improvvisati pifferai di Hamelin si trascinano dietro segmenti importanti dell’opinione pubblica europea. Inseguono un miraggio: il ripristino della sovranità economica nazionale, perduta a causa di ciò che essi chiamano globalizzazione (il sistema di libero scambio). Non sanno che se quel ripristino, anche solo in minima parte, si realizzasse, il futuro dell’Europa diventerebbe un incubo: povertà, autoritarismo, guerre.

Non abbiamo ancora fatto i conti in Europa con le conseguenze di Brexit. L’uscita della Gran Bretagna, dell’unico Paese europeo con autentiche, e autoctone, tradizioni di liberalismo economico, sposta (forse ha già spostato) ancor di più l’asse dell’Europa in senso dirigista e protezionista. Non è sicuro che, senza la Brexit, le autorità europee avrebbero preso la durissima posizione che hanno preso nella controversia Unione/Apple/Irlanda. A proposito: forza Irlanda (in materia di tasse, è l’Europa che deve andare a lezione dall’Irlanda e non il contrario).

Né abbiamo ancora fatto i conti con la connessione stretta che c’è fra alleanze economiche e sicurezza. L’Europa non si difenderà mai militarmente da sola (non ci sarà mai una vera «difesa europea»). Ciò significa che all’Europa è servito, serve, e servirà, un Lord protettore, che si occupi della sua sicurezza. Se la distanza fra Europa e Stati Uniti continua a crescere, se i legami economici si allentano, se i sondaggi continuano ad indicare che l’antiamericanismo europeo aumenta, se, infine, un Trump alla Casa Bianca sceglierà di indebolire la Nato nel quadro di una più generale svolta isolazionista, a quale nuovo Lord protettore ci rivolgeremo? È sufficiente guardare la carta geografica. L’unica possibile alternativa è la Russia. Nei cui confronti sono già molto forti le correnti di simpatia in Europa (alimentate dall’antiamericanismo e dall’attrazione che esercita sulle opinioni pubbliche Vladimir Putin, l’uomo forte). Ci sono europei che tifano per Trump nelle presidenziali americane perché sanno che se Trump vincesse la posizione di Putin in Europa si rafforzerebbe. Ci sono altri che la pensano allo stesso modo ma non lo dicono perché, dal loro punto di vista, non sarebbe politicamente corretto dirlo.

Se davvero in Occidente vincerà il neo-protezionismo (il destino del Ttip sarà un test cruciale), non ci saranno solo conseguenze economiche negative, in termini di mancata crescita. Ci saranno anche conseguenze politiche (rafforzamento di movimenti illiberali, neo-nazionalismo, dissoluzione dell’Unione). E cambiamenti geopolitici. Un’Europa economicamente debilitata e divisa sarà più facile da condizionare da parte del vicino più potente, la Russia. Allora tutti comprenderanno quale differenza comporti il fatto che il Lord protettore sia una potenza liberale oppure autoritaria.

Il primato britannico nell’Ottocento favorì la democratizzazione dell’Europa.L’egemonia americana dopo il 1945 fu la causa della stabilizzazione di democrazie liberali nella sua parte occidentale. Se ci sarà una staffetta, se una potenza autoritaria diventerà il Lord protettore, la musica cambierà di molto.

Angelo Panebianco, Il Corriere della Sera del 5 settembre 2016

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