La santa alleanza: liberali e cattolici fedeli al primato della persona

La santa alleanza: liberali e cattolici fedeli al primato della persona

«Sono convinto che, se la frattura tra il vero liberalismo e le convinzioni religiose non sarà sanata, non ci sarà alcuna speranza per la rinascita delle forze liberali. Ci sono oggi in Europa molti segnali che indicano tale riconciliazione più vicina di quanto non lo sia stata per lungo tempo, e che mostrano come molte persone vedono in essa la sola speranza per preservare gli ideali della civiltà occidentale».

Questo affermava Friedrich A. von Hayek, il 1 aprile del 1947, nella Relazione del Convegno in cui venne fondata la Mont Pelerin Society e nel corso del quale uno degli argomenti discussi fu il rapporto tra liberalismo e cristianesimo.

Anni dopo, nel 1960, nella Conclusione de La società libera Hayek fa presente che «a differenza del razionalismo della rivoluzione francese, il vero liberalismo non ha niente contro la religione, e io non posso che deplorare l’anticlericalismo militante ed essenzialmente illiberale che ha animato tanta parte del liberalismo continentale del XIX secolo».

E ancora nel 1966, in un discorso tenuto a Tokyo su I princìpi di un ordine sociale liberale, Hayek preciserà che «il vero liberalismo è stato spesso difeso e anche sviluppato da uomini che possedevano forti convinzioni religiose».

E qui, «per semplice osservanza della verità», va subito detto che, tra questi uomini dalle forti convinzioni religiose schierati a difesa della libertà, il mondo cattolico vanta figure di primo ordine, i cui contributi si intrecciano in una ininterrotta tradizione di pensiero liberale e solidale.

Pensiero che combattuto da destra e da sinistra, osteggiato da un laicismo anticlericale che, come diceva Julien Green, «ha i suoi bigotti proprio come l’ortodossia», sostanzialmente ignorato (quando non esplicitamente avversato) da una intellighenzia cattolica priva di memoria mostra al giorno d’oggi tutta la sua forza teorica, la sua praticabilità politica e il suo immenso valore morale.

Questi anche se non i soli gli eredi attuali della tradizione del liberalismo cattolico: Michael Novak, Leonard Liggio, Alejandro Chafuen e Robert Sirico negli Stati Uniti d’America; Jacques Garello, Philippe Nemo e Jean-Yves Naudet in Francia; Michael Wohlgemuth, Nils Goldschmidt e André Habisch in Germania; Lucas Bertán in Spagna; don Angelo Tosato in Italia.

Tornando indietro, troviamo Alexis de Tocqueville (1805-1859): «Quello che sopra ogni altro caratterizza ai miei occhi i socialisti di tutti i colori, di tutte le scuole, è una sfiducia profonda per la libertà, per la ragione umana, un profondo disprezzo, per l’individuo preso in se stesso, al suo stato di uomo; ciò che li caratterizza tutti è un tentativo continuo, vario, incessante, per mutilare, per raccorciare, per molestare in tutti i modi la libertà umana; è l’idea che lo Stato non debba soltanto essere il direttore della società, ma debba essere, per così dire, il padrone di ogni uomo; il suo padrone, il suo precettore, il suo pedagogo : in una parola, è la confisca, in un grado più o meno grande, della libertà umana».

Coetaneo di Tocqueville, un altro cattolico liberale francese, Frédéric Bastiat (1801-1850): «Quando una nazione è oppressa da tasse, niente è più difficile io direi pure impossibile che ripartirle in maniera equa». E poi: «Allorché si sarà ammesso in via di principio che lo Stato ha l’incarico di operare in modo fraterno in favore dei cittadini, si vedranno tutti i cittadini trasformarsi in postulanti. Proprietà fondiaria, agricoltura, industria, commercio, marina, compagnie industriali, tutti si agiteranno per reclamare i favori dello Stato. Il tesoro pubblico sarà letteralmente saccheggiato. Ciascuno troverà buone ragioni per dimostrare che la fraternità legale deve essere intesa in questo senso: I vantaggi per me ed i costi per gli altri . Lo sforzo di tutti tenderà a strappare alla legislazione un lembo di privilegio fraterno».

Dalla Francia all’Inghilterra, Lord Acton (1834-1902): «La mia storia è quella di un uomo che ha iniziato credendosi un cattolico sincero e un sincero liberale; che quindi ha rinunciato a tutto quello nel cattolicesimo che non era compatibile con la libertà, e a tutto quello che in politica non era compatibile con la cattolicità». Questo scrive di se stesso Lord Acton, il più significativo rappresentante del cattolicesimo liberale inglese.

Liberale attento ai diritti di proprietà, Acton non volle affatto ignorare i diritti della povertà e ciò se non altro per la ragione che «ostacoli alla libertà sono non solo le oppressioni politiche e sociali, ma anche la povertà e l’ignoranza».

In ogni caso, il nucleo centrale del pensiero di Acton consiste nell’idea che la coscienza ha il diritto e il dovere di giudicare l’autorità. «La libertà è il regno della coscienza». «In fondo, tutta la libertà consiste nel preservare la sfera interna dall’invadenza del potere statale. Questo rispetto per la coscienza è il seme di ogni libertà civile e il modo in cui il cristianesimo è stato al suo servizio». Né è da credere, precisa Acton, che la libertà sia un pacifico dato di fatto: «La libertà è non un dono ma una conquista».

La libertà del buon selvaggio è un’invenzione, pura mitologia, «noi invece intendiamo la libertà come il prodotto lento e il risultato più alto della civiltà». Detto diversamente: «La libertà non è originaria, necessaria o ereditaria. Deve essere conquistata Questa è la teoria medievale. Non sei libero, se non provi il tuo diritto a esserlo. La libertà è medievale, l’assolutismo è moderno».

Tutti quei cattolici che, magari motivati dalle più nobili intenzioni, si sono scagliati contro la proprietà privata dovrebbero tornare a leggere le pagine della Filosofia del diritto di Antonio Rosmini (1797-1855), per il quale la proprietà privata è un valore connesso strettamente con la persona: è una condizione vitale della e per la persona e della sua libertà. La proprietà privata scrive Rosmini – «costituisce una sfera intorno alla persona, di cui la persona è il centro; nella qual sfera niun altro può entrare».

Commenta il rosminiano monsignor Clemente Riva, compianto vescovo ausiliare di Roma: «Rosmini concepisce la proprietà privata con un orizzonte amplissimo, che abbraccia valori culturali, spirituali, sociali, ma anche materiali ed economici. La proprietà privata, i mezzi di produzione, l’imprenditore, il profitto, sono tutte realtà che hanno una specifica funzione sociale. Questa è una dote della tradizione cattolica. Terze vie sono posizioni di una mediocre cultura sociale, che non va a fondo nella considerazione di un indebito statalismo».

Se Antonio Rosmini, in Italia è la stella del pensiero liberale cattolico dell’Ottocento, don Luigi Sturzo (1971-1959) è il maestro del pensiero liberale cattolico del Novecento.

24 aprile 1951: « La democrazia vera non è statalista».

4 ottobre 1951: «Io non ho nulla, non possiedo nulla, non desidero nulla. Ho lottato tutta la mia vita per una libertà politica completa ma responsabile. La perdita della libertà economica, verso la quale si corre a gran passo in Italia, seguirà la perdita effettiva della libertà politica».

13 maggio 1954: «La Pira crede che il problema da risolvere sarebbe quello di arrivare alla totalità del sistema finanziario in mano allo Stato . Questo io lo chiamo statalismo, e contro questo dogma io voglio levare la mia voce senza stancarmi finché il Signore mi darà fiato; perché sono convinto che in questo fatto si annidi l’errore di far dello Stato l’idolo: Moloch o Leviatan che sia».

11 agosto 1951: «Lo Stato è per definizione inabile a gestire una semplice bottega di ciabattino». E se lo Stato è incapace di amministrare una bottega di ciabattino, con quale criterio in Italia è stato affidato allo Stato il quasi-monopolio nella gestione della scuola? «Finché la scuola in Italia non sarà libera, nemmeno gli italiani saranno liberi». Questo scriveva don Sturzo nel 1947. E tre anni più tardi: «Ogni scuola, quale che sia l’ente che la mantenga, deve poter dare i suoi diplomi non in nome della Repubblica, ma in nome della propria autorità: sia la scuoletta elementare di Pachino o di Tradate, sia l’Università di Padova o di Bologna, il titolo vale la scuola. Se la tale scuola ha una fama riconosciuta, una tradizione rispettabile, una personalità nota nella provincia o nella nazione, o anche nell’ambito internazionale, il suo diploma sarà ricercato; se, invece, è una delle tante, il suo diploma sarà uno dei tanti». Un ammonimento, questo di Sturzo, che è stato disatteso da tutti i governi nella storia della nostra Repubblica. E i danni sono sotto gli occhi di tutti.

E di seguito un ammonimento ai vescovi e ai sacerdoti da parte di quel liberale cattolico che è stato Luigi Einaudi (1874-1961). Nelle Prediche inutili, riferendosi al «caso Giuffrè» (meglio: allo «scandalo Giuffrè»), Einaudi poneva ai vescovi domande che forse meritano ancora oggi doverosa attenzione: «I vescovi hanno adempiuto bene all’ufficio di curare nei seminari l’educazione economica dei giovani che sentono la vocazione del sacerdozio? Hanno procurato che si impartissero ai seminaristi le nozioni elementari necessarie per distinguere tra il lecito giuridico e il dovere caritativo, fra l’economia e la morale?».

E poi: «Al sacerdote fa d’uopo insegnare, sì, ad essere caritatevole, non però ad incoraggiare l’ipocrisia e l’infingardaggine». Infine: «Fa d’uopo dire quanto sarebbe vantaggioso che nei seminari e nei licei si inculcasse l’idea che non esiste nessuna maniera, né semplice né misteriosa, di fare danaro a palate».

Di conseguenza: «Al sacerdote deve essere detto nei seminari che, non dovendo confondere l’economia con la carità, egli ha il dovere di non farsi ingenuo e cadere vittima, lui e i suoi fedeli, di lestofanti».

Dario Antiseri, Il Giornale 25 ottobre 2016

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