La lezione di Hayek e la concorrenza che si vuole cancellare

La lezione di Hayek e la concorrenza che si vuole cancellare

«La libertà nella legge implica la libertà economica, mentre il controllo economico rende possibile – in quanto controllo dei mezzi necessari alla realizzazione di tutti i fini- la restrizione di tutte le libertà». In questa frase di Friedrich von Hayek, il filosofo ed economista austriaco premio Nobel nel 1974 e di cui il 23 marzo ricorreva il 25mo anniversario della morte, sono contenuti molti dei temi delle sue riflessioni.

Hayek è stato appieno un uomo del XX secolo. Nato a Vienna nel 1899, appartenne alla cosiddetta Scuola Austriaca di economia i cui primi teorici furono Menger, von Bohm-Bawerk e von Mises.

Emigrò in Inghilterra ed insegnò alla London School of Economics e poi a Cambridge, dove il suo amico e rivale intellettuale Keynes fece in modo che fosse accolto.

Si spostò negli Stati Uniti dove insegnò fino al 1962 all’Università di Chicago per rientrare infine in Europa dove continuò la sua attività di docente, pubblicando il suo ultimo libro, “La Presunzione Fatale”, nel 1988. Si spense a Friburgo il 23 marzo del 1992.

La vita di Hayek fu straordinaria non solo perché si intrecciò con quella dei più grandi studiosi di scienze sociali del secolo scorso (fu amico di un altro importante austriaco, Karl Popper), ma rappresentò in modo plastico un assunto di cui egli stesso era convinto: “le idee hanno conseguenze”.

E le idee di Hayek furono la guida per generazioni di studiosi e, fattore non trascurabile, fu secondo soltanto a Keynes nell’influenzare la classe politica, in primis coloro i quali misero in moto la rivoluzione liberista degli anni ’80. L’opera di Hayek è enorme, in linea con la sua opinione che gli economisti che non siano studiosi di scienze sociali non possono capire appieno le dinamiche dell’economia e dello sviluppo.

Due sono gli aspetti legati all’attualità che vale la pena ricordare: il primo è la concezione della concorrenza come motore dello sviluppo umano in quanto diffusore di conoscenza ed incubatore di innovazione. Il sapere è disperso, non è possibile per nessuno avere un punto di vista privilegiato che lo pone al di sopra degli altri e gli consente di pianificare il futuro.

Ecco quindi che la concorrenza assume il ruolo classico, già delineato da Adam Smith, di stimolare gli individui a industriarsi per offrire prodotti e servizi di qualità sempre migliore e ad un prezzo competitivo. Inoltre, la concorrenza è il mezzo attraverso il quale acquisiamo le informazioni disperse nella società e facciamo esperienze nuove.

È attraverso lo studio delle tecniche e del know-how impiegati dai nostri competitori che riusciamo a capire i difetti dei nostri prodotti e servizi e a trovare la via per come minimo imitare le parti buone e tralasciare quelle cattive e, nei casi più virtuosi, scovare le innovazioni che ci consentono di offrire prestazioni ancora migliori con beneficio non solo nostro ma inconsapevolmente, come avrebbero chiosato Smith e Hume, dell’intera società.

La concorrenza richiede libertà di ricerca e frontiere aperte e questa lezione, in un momento in cui soffiano minacciosi i venti del protezionismo e resistono incalliti i bastioni delle corporazioni anche a costo di impedire il progresso tecnico, dovrebbe invece essere ripetuta costantemente.

Il secondo aspetto riguarda l’indissolubile connessione tra libertà politica e libertà economica. In Italia siamo abituati a questa discussione fin da quando Benedetto Croce introdusse l’improvvida distinzione tra liberismo e liberalismo, sconosciuta in ogni altra lingua.

Il punto di vista di Hayek è molto semplice: chi controlla i mezzi controlla anche i fini. Chi ha il potere normativo di pianificare e possiede (o può dirigere attraverso la regolamentazione) le attività economiche controlla le risorse necessarie alla realizzazione degli scopi individuali.

Come domandò retoricamente il suo maestro von Mises “a cosa servirebbe la libertà di stampa se lo Stato fosse proprietario di tutte le tipografie?”.

Ebbene, in un periodo in cui non solo lo Stato mantiene ferme le sue quote azionarie in alcune delle maggiori imprese del paese – tra cui anche la Rai, mezzo di diffusione delle opinioni – ma i grillini parlano di nazionalizzazione di tutte le banche e nessuno o quasi mette in discussione il semi-monopolio pubblico di scuola e sanità, è bene ricordarci che ogni pur piccolo intervento governativo mirato a dirigere l’economia (non ad aiutare i deboli, cosa ben diversa) è una presunzione fatale che significa un pezzetto di libertà in meno per tutti. [spacer height=”20px”]

Alessandro De Nicola, La Repubblica 10 aprile 2017

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