Ius soli, perché il Papa rischia l’autogol

Ius soli, perché il Papa rischia l’autogol

Le parole del Papa sullo ius soli e lo ius culturae non sono, o non sono soltanto, un’edittazione solenne del suo elevato ministero apostolico. Intervenendo quando il parlamento italiano si accinge a dibattere su questa controversa materia costituiscono anche un messaggio politico.

Possiamo immaginare che molti cittadini, anche senza essere aggressivi anticlericali, lo considereranno un’inopportuna interferenza, incompatibile con il principio della separazione tra Stato e Chiesa e forse con il Concordato. Tanto più che questo Pontefice aveva manifestato, almeno a parole, la volontà di tenersi estraneo alla politica in genere e a quella italiana in specie.

Quanto allo ius culturae, non è chiaro a quale cultura Egli si riferisca, quando ne auspica la pedagogica estensione ai migranti. Se sia la nostra giudaico-cristiana-greco-romana-illuministica, che il musulmano non solo rifiuta, ma spesso combatte, e che in ogni caso considererebbe come un’intollerabile prevaricazione.

O se sia la cultura del richiedente asilo: ma allora che dovrebbe fare lo Stato? Togliere i crocifissi dalle scuole e coprirli nei musei, come pure qualcuno ha già fatto? Domande lecite, soprattutto di questi tempi.

A queste critiche, il devoto cattolico potrebbe replicare che, nell’ambito della sua missione apostolica, il Papa non conosce e non può subire condizionamenti esterni, ove veda in gioco principi di etica universale; che queste cosiddette «interferenze» sono tradizionalmente accettate, sin dai tempi del divorzio, dell’aborto, e persino in occasione delle elezioni; e che infine, anche se queste direttive fossero utopistiche e inapplicabili, il credente deve comunque inchinarsi riverente davanti alla solennità del ministero ecclesiale: «credo quia absurdum», ammoniva Tertulliano.

Ora, è quasi banale sostenere che il Papa ha il diritto di dire quello che vuole: ci mancherebbe altro che qualcuno volesse limitarne le prerogative. A questo sacrosanto diritto corrisponde, tuttavia, il dovere dello Stato di sottoporre i suoi moniti al vaglio critico dell’utilità collettiva, unico criterio razionale nella conduzione della cosa pubblica.

Ma c’è un’altra cosa. Tanto più il verbo pontificio si confronta con le problematiche mondane, allontanandosi dalla dogmatica escatologica e dalla disciplina penitenziale, tanto più rischia di essere smentito dalla rude realtà.

Papa Francesco in questo ha già sbagliato due volte: prima, sostenendo che la guerra in corso è determinata dalla miseria e dalla emarginazione; poi, quando ne ha attribuito le colpe ai fabbricanti di armi.

Come invece si è visto, i terroristi non sono quasi mai né poveri né reietti: alcuni addirittura, come Bin Laden, erano principi e miliardari.

Quanto alle armi, gli ultimi episodi dimostrano che, in mancanza di bombe e fucili, questi fanatici uccidono con le auto e i coltelli. E un domani lo farebbero, come Caino, con le pietre, se le lame e la benzina venissero a mancare.

Orbene, ogniqualvolta il Pontefice viene smentito, come in questi casi, dai fatti, una piccola parte della sua autorevolezza viene minata. Per ora questo affievolimento si limita alla sua credibilità di analista politico. II tempo dirà delle eventuali conseguenze ulteriori.

La parola ora passa alla nostra politica. Sarebbe grave se ignorasse questo messaggio; lo sarebbe ancora di più se vi prestasse un’acquiescenza supina, che la maggioranza dei cittadini vedrebbe come una resa confessionale. Probabilmente fare quello che ha sempre fatto: leggerà i sondaggi, e adotterà le scelte che riterrà più convenienti dal punto di vista elettorale.

Se il risultato fosse quello di ignorare l’invito pontificio, esso costituirebbe l’ennesima prova del progressivo distacco del Paese dalla sua matrice religiosa. E l’imminenza del dibattito sulla legge dello ius soli, già ripudiata dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, rischia di aprire una polemica a connotati anticlericali.

Ne valeva la pena? [spacer height=”20px”]

Carlo Nordio, Il Messaggero 22 agosto 2017

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