Giordano Bruno, il pensiero che vola oltre la modernità

Giordano Bruno, il pensiero che vola oltre la modernità

Il 17 febbraio 1600 il filosofo veniva arso vivo. Corrado Ocone ne ricorda il pensiero

Ci sono alcuni autori, alcuni grandi filosofi, che di fatto sono più noti che conosciuti essendo stata la loro interpretazione sequestrata, per così dire, da chi è venuto dopo di loro e ne ha utilizzato la figura come immagine e simbolo per l’azione pratica.

Che ciò sia avvenuto a Giordano Bruno, assurto a esempio massimo di laicismo e lotta contro l’intolleranza della Chiesa cattolica, a corifeo altresì della libertà di pensiero contro l’oppressione del Potere, non può meravigliare più di tanto, sol che si consideri il lungo processo a cui fu sottoposto dalla Santa Inquisizione e l’atroce condanna a morte che gli fu comminata.

Eppure, è come se quel lungo calvario, che durò sette anni, avesse reso sì celebre e imperitura la figura del nolano di fronte ai posteri, ma avesse fatto passare in secondo piano la sua filosofia, l’innovativo e originale, modernissimo, sistema di pensiero che egli elaborò.

È su di esso che occorre concentrarsi, anche forse per meglio capire quell’ultimo momento della sua vita che qui oggi ricordiamo, nell’anniversario della sua morte (fu arso al rogo in Campo dei Fiori il 17 febbraio 2018).

Giordano Bruno opera nella seconda metà del XVI secolo, quando già Niccolò Copernico aveva scardinato in ambito scientifico il sistema astronomico aristotelico – tolemaico che era proprio della concezione cristiana e della Chiesa Cattolica. E quando quest’ ultima, terminato nel 1563 il Concilio di Trento, era in piena Controriforma, cioè tesa a salvaguardare gli attacchi ai propri dogmi che venivano ormai da più parti.

Due anni dopo quella data, Giordano Bruno (che era nato a Nola nel 1548 e il cui vero nome era Filippo) entra nel convento di San Domenico Maggiore a Napoli. Anche se ha preso i voti, più che la fede sono ad animarlo altri interessi.

La sua vocazione è quella dello studioso, del curioso indagatore della natura.

La sua è una mentalità aperta, antidogmatica, libera da ogni impaccio, “eretica” per scelta di vita prima ancora che per le enunciazioni che presto sarebbe venuto elaborando e che, più che contestare la dottrina su punti specifici come era solito degli “eretici”, si ponevano oggettivamente al di fuori dell’orizzonte cristiano.

Di “eresia” è comunque presto accusato. Si rifugia prima a Roma, nel 1576, e da qui inizia poi una serie di peregrinazioni che lo portano, nel giro di tre lustri, nei principali paesi europei. Tocca, fra l’altro, le città di Ginevra, Tolosa, Parigi, Londra, Oxford (ove ha delle lezioni nel 1583 prima di esserne cacciato), Praga, Francoforte, Zurigo, Venezia.

Giordano Bruno, Copernico e il sole al centro

Bruno mostra apprezzamenti per la teoria eliocentrica di Copernico. Ma la sua posizione, elaborata fra l’altro prima che ne conoscesse le opere, è molto meno timida o più radicale di quella originale dell’astronomo polacco.

Essa è anzi assolutamente originale. Egli è entusiasta del modo in cui Copernico assesta un ulteriore colpo e scardina il sistema di certezze basato sulla fisica e la cosmologia aristoteliche. Nulla più.

Per Aristotele ogni ente ha un’essenza specifica e occupa un posto fisso nell’universo, il quale è strutturato in un ordine gerarchico che pone la terra, e in conseguenza l’uomo, al centro del creato.

Copernico mostra invece come, seppur in modo controintuitivo, sia il sole il centro del nostro sistema solare e siano invece i pianeti, compresa la terra, a girare attorno al suo asse. Nella sua critica dell’universo finito e chiuso della tradizione aristotelica, Bruno si spinge fino a negare i due principi dell’unicità del mondo e dell’identità personale dell’uomo.

Ciò mette in crisi non solo la metafisica classica e quella cristiana, ma lo stesso umanesimo rinascimentale, nel cui contesto il suo pensiero più che altro per motivi storici viene inserito, e in più la stessa modernità che si sta in quel torno di tempo dischiudendo. Almeno quella linea maestra del Moderno basata sulla razionalità scientifica galileiana, sul soggettivismo cartesiano e sul prometeismo tecnologico baconiano (anche se in quest’ultimo caso il discorso è forse un po’ più complesso, considerato il carattere attivistico e non contemplativo che Bruno dà alla verità).

Una originalità assoluta quella bruniana che lungi dal ricondursi esclusivamente, come pure si è fatto e come pure elementi presenti nel suo pensiero danno adito a pensare, a culture e pratiche esoteriche magiche, delinea in più punti una linea di scarto nel Moderno che non ne contraddice l’esigenza di fondo razionale e volta a superare pregiudizi e superstizioni ma fa implodere le categorie portanti di carattere sostanzialità su cui la sua concezione del mondo è fondata.

Non è un caso che sia stato l’idealismo tedesco, segnatamente con Schelling e Hegel, e poi il neoidealismo italiano di Gentile, a rivalutare la portata e potenza intrinseca del pensiero del Nolano.

Il concetto di infinito

La prima mossa che Bruno compie è quella di prendere sul serio il concetto di infinito, l’attributo da sempre legato (e come potrebbe essere diversamente?) a Dio. Che l’universo, in quanto creazione di Dio, sia infinito come lui, significa che in verità un vero centro nel creato non c’è: che ogni ente è di volta in colta centro o la periferia a seconda della prospettiva, pertanto sempre parziale, da cui si guardano le cose.

In questo policentrismo e prospettivismo assoluti non ci sono alto e basso, materia e spirito, potenza e atto, forma e spirito. C’è solo incessante la Vita che scorre, cambia forme, si trasforma, non nasce e non muore ma sempre è.

E non c’è nemmeno distinzione di trascendente e immanente: Dio se creasse ex nihilo l’universo dovrebbe separarsi da sé stesso, frapporre fra lui ed esso elementi di vuoto, che ne annullerebbero l’infinità. Infinito come l’infinità dei mondi, Dio è causa e principio di essi: la loro origine e, al tempo stesso, senza scarti spaziali o temporali, la forza energetica e vitale che li spinge e li fa essere.

Il fatto che Dio e mondo non si distinguano, che l’uno abbia bisogno dell’altro perché sono uno, significa che ogni cosa, ogni elemento del mondo, è di impronta divina: dio è in un granello di sabbia come nella più eccelsa opera dell’intelligenza umana. Ma d’altronde, ogni cosa non è mai se stessa ma è sempre in perenne mutamento e trasformazione, i contrari trapassano e si annullano nei loro opposti.

Una logica meramente formale come quella aristotelica non può in nessun modo adeguare questo movimento. È qui. In questo contesto, che si inserisce quella critica bruniana al principio di non contraddizione, che insieme all’impossibilità da lui teorizzata di distinguere pensiero e azione, sembra anticipare davvero la dialettica hegeliana.

Ancora più radicale, come ci mostra Roberto Esposito nelle pagine dedicate a Bruno del suo Pensiero vivente (Einaudi, 2011), è poi la decostruzione che Bruno compie di quel Soggetto che di lì a poco Cartesio eleverà a fondamento del pensiero moderno.

La critica dell’idea di persona, e di un Dio stesso personale, comporta certamente la messa in scacco di alcuni fra i principali dogmi della dottrina cristiana: dall’idea di una Creazione che per forza di cose dovrebbe situarsi in un tempo determinato, in contrasto con l’idea che Dio e mondo, che si coappartengono, sono infiniti e quindi eterni, al di fuori del tempo; all’idea trinitaria, tanto che il pensatore nolano, anche davanti agli inquisitori, ammette di aver “dubitato circa il nome di persona del Figliuolo e del Spirito santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre”; ecc. ecc.

Presa di distanza dal cristianesimo? Non solo

Sarebbe però un errore vedere in queste confutazioni semplicemente una presa di distanza di Bruno dal cristianesimo, casomai in nome dei valori della scienza moderna. Ciò da cui più radicalmente Bruno si allontana, come sottolinea Aldo Masullo in Metafisica (Mondadori, Donzelli) è la tradizione filosofica occidentale.

Alla Metafisica egli assesta un colpo mettendone in crisi prima di tutto quelle polarità oppositive che, se da un lato mettono in luce l’inesauribile e multiforme ricchezza e varietà delle forme che la vita assume, dall’altro offuscano il carattere unitario che essa Vita dà all’armonia non statica e non compatta che costituisce il tutto.

“Non è armonia e concordia ove è unità, dove un essere vuole assorbire tutto l’essere; ma dove è ordine a analogia di cose diverse, dove ogni cosa serve la sua natura”.

Tutto è vita, tutto è animato, tutto perennemente cangia forma, tanto che non c’è da temere morte la quale è tale solo per modo di dire: cioè dalla nostra prospettiva e non da quella dell’energia che pure noi siamo e ci costituisce.

Il Soggetto moderno, che in nome dell’autocoscienza, si presuppone autoevidente, è invece già da sempre immesso in una rete di rapporti che lo fanno essere in questa forma ma che non lo distinguono dal tutto di cui è parte. Esso non si distingue ontologicamente, come pretenderebbe, dal suo oggetto; e non può “catturare” gnoseologicamente quella verità che crede a sé esterna ma che già da sempre è alle sue spalle e lo possiede. E gli scappa come Diana ad Atteone nel celebre mito, che Bruno ripropone.

L’uomo non può mai possedere la verità perché la verità non è cosa che si possiede ma è, si potrebbe dire, l’orizzonte in cui già da sempre operiamo. Eppure, a costo di trasformarci come Atteone da cacciatori in preda, noi non possiamo mai rinunciare a tendere ad essa. Una tensione, la nostra, che è “eroico furore” che corrisponde allo stesso andamento dell’Essere come divenire.

La verità non è ma si fa. E, come si fa, essa continuamente anche si disfà ai nostri occhi mettendo in moto senza fine un nuovo processo. Certo, le religioni positive, tutte, sono contro natura e sono superstizioni che hanno al più per Bruno, come già per Machiavelli, un fine utilitaristico di coesione sociale.

Ma lo stesso progetto moderno (razionalistico, illuministico), in nuce ad esempio nel pensiero del da lui stimatissimo contemporaneo Bernardino Telesio, e sulle cui ascendenze cristiane non si finirà mai di insistere, è lontanissimo dalla mentalità di questo eccentrico e originale pensatore che con le sue idee si protende addirittura oltre la modernità ed è perciò, come dicevo all’inizio, attualissimo.

In questo senso, è solo per metafora che Bruno può essere ascritto alla bandiera della laicità, che, con la serie di distinzioni che mette in atto (ad esempio fra regno dello spirituale e regno temporale), è ancora tutta interna all’orizzonte della modernità.

Per Bruno il pensiero è veramente libero, e non può fermarsi davanti a nessuna barriera o distinzione concettuale, perché non è altro che l’esplicarsi e l’assecondare dell’energia fluida e in divenire che costituisce l’Essere. Il quale perciò, al contrario del dettato metafisico, non può individuarsi in nessun ente, non può mai dimenticare cioè la “differenza ontologica” fra Essere ed enti che costituisce il nostro orizzonte vitale. [spacer height=”20px”]

Corrado Ocone, Il Dubbio 17 febbraio 2018

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