Frammenti di politica estera tra alleanze variabili

Frammenti di politica estera tra alleanze variabili

I giochi sono ormai chiusi. Siamo tornati, dopo un giro durato quasi un quarto di secolo, alla casella di partenza.

L’esito del referendum e la sentenza della Corte sulla legge elettorale fanno rinascere la «democrazia proporzionale» in stile italiano: le alleanze di governo si decidono dopo il voto, mai prima e i governi che si formano sono fragili, incoerenti, soggetti ai ricatti quotidiani dei vari gruppi parlamentari (opposizioni comprese), per lo più di vita breve.

Quella forma di governo ci accompagnò per tutta la Guerra fredda e solo la sua fine ci permise di abbandonarla. È utile confrontare le condizioni internazionali del momento (primi anni Novanta) in cui ci sbarazzammo della democrazia proporzionale con quelle di oggi, mentre indossiamo di nuovo quel logoro vestito. E cercare di capire come potrà una democrazia siffatta fronteggiare le sfide internazionali che ci aspettano: sarà in grado di condurre una politica estera efficace, saprà tenere a galla la barca in quell’oceano in tempesta che è oggi il mondo esterno? 

Fu il cambiamento internazionale a imporci all’inizio degli anni Novanta l’abbandono della proporzionale e l’avvio di un tentativo (riuscito solo parzialmente) di creare una democrazia maggioritaria. Il muro di Berlino non era caduto solo in testa ai comunisti italiani obbligandoli a cambiare «ragione sociale», era caduto addosso al nostro intero sistema politico.

Quel sistema politico era stato forgiato dalla Guerra fredda (la contrapposizione fra comunisti e anticomunisti) e non potè resistere alla sua conclusione. Finita la politica dei blocchi voltammo pagina. Era anche chiaro a molti che entrando in una fase internazionale più complicata e turbolenta della precedente, occorreva cambiare spartito, era richiesta molta più concentrazione del potere nelle mani del governo (del capo del governo): esattamente ciò che si verifica nelle democrazie maggioritarie.

Questo perché, in un mondo internazionale instabile, occorrono mani salde per condurre una politica estera efficace. All’epoca della Guerra fredda, pur nel quadro di stabili alleanze, avevamo una politica estera spesso oscillante e incerta (soggetta alle spinte e alle controspinte interne alle coalizioni di governo, soprattutto alle lotte di corrente entro il partito dominante, la Democrazia Cristiana).

La stabilità del quadro internazionale lo consentiva: finita quella stabilità non ci potevamo più permettere troppe oscillazioni e incertezze. Realizzammo però una democrazia maggioritaria assai imperfetta. La competizione partitica diventò bipolare, si ebbe anche una maggiore concentrazione del potere nelle mani del governo ma, sia per la frammentazione delle coalizioni sia per il fatto che non ci fu un mutamento della Costituzione in grado di dare più forza istituzionale agli esecutivi, non fu possibile fare di più.

Il tentativo di perfezionare e stabilizzare la democrazia maggioritaria, dopo un quarto di secolo, è fallito. Ritorniamo, per contraccolpo, alla democrazia proporzionale. Ma lo facciamo in un mondo internazionale che non si è stabilizzato, anzi. Il disordine del sistema internazionale è in crescita.

Sta finendo la Pax americana, dal Medio Oriente vengono minacce mortali, l’Unione Europea è a rischio di dissoluzione, la Russia di Putin incombe. Non è difficile immaginare cosa comporterà per noi la combinazione fra il ritorno della democrazia proporzionale e l’aumento del disordine mondiale. Le varie fazioni, anche entro le coalizioni di governo, si sceglieranno differenti referenti esteri.

C’è da aspettarsi conflitti fra amici e nemici della Russia, fra amici e nemici degli americani, fra europeisti e antieuropeisti, fra i fautori di diverse ricette per fronteggiare la crisi medi-orientale. Mentre i primi ministri — per definizione deboli nella democrazia proporzionale — faticheranno a imporre linee di azione unitarie ed efficaci.

La situazione, peraltro, è più grave rispetto ai tempi della Guerra fredda. Allora non c’erano soltanto un quadro internazionale stabile e sistemi di alleanza bloccati. C’erano anche partiti politici solidi che contenevano, almeno entro certi limiti, le oscillazioni e le incertezze della nostra politica estera a loro volta generate dalla conflittualità entro le coalizioni di governo. Quei partiti solidi oggi non ci sono. Né mai torneranno. Ci aspetta un futuro di frammentazione partitica.

L’economia italiana è terra di conquista per le imprese straniere. Ciò deve essere accettato da chi crede nel libero mercato. Molto meno accettabile sarà invece lo «shopping politico», le pressioni che gli altri governi eserciteranno (anche con finanziamenti ad hoc) su varie fazioni italiane. Con gli ostacoli che ciò porrà a una conduzione efficace della politica estera.

All’epoca della competizione fra Usa e Urss, la democrazia proporzionale fece il miracolo di fare coesistere comunisti e anticomunisti, rispettivamente alleati dei due blocchi contrapposti. La rinata democrazia proporzionale, in un quadro internazionale molto più confuso, vedrà proliferare, presumibilmente, le connessioni estere delle varie fazioni.

Speriamo che qualcuno, nella classe politica, si ponga il problema di come limitare i danni.

Angelo Panebianco, Corriere della Sera 29 gennaio 2017

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