Facci, l’assurda condanna dell’Ordine dei Giornalisti

Facci, l’assurda condanna dell’Ordine dei Giornalisti

Il problema non è se Filippo Facci abbia scritto sul suo giornale castronerie o cose condivisibili. Il problema è che a decidere della liceità di ciò che ha scritto e addirittura a punirlo inibendogli per due mesi l’esercizio della professione sia chiamato un organismo per l’appunto nato nel clima del fascismo, in un’atmosfera per così dire poco favorevole all’ossigeno della libera stampa, e che si chiama Ordine dei giornalisti.

Un organismo che infatti non ha eguali in tutto il resto delle democrazie occidentali, nessuna esclusa, che forse (forse?) con la libera informazione hanno una consuetudine più collaudata della nostra.

Un organismo costoso e inutile, che si regge sul contributo coatto dei suoi iscritti, perché una norma liberticida, nata con il fascismo e purtroppo perfezionata nell’Italia antifascista, obbliga all’iscrizione nell’Albo dei giornalisti se si vuole esercitare, retribuiti e regolarmente assunti, la libertà di espressione in un giornale.

Dicono i suoi difensori: ma anche gli avvocati, gli ingegneri, i medici e altri. Solo che gli avvocati, gli ingegneri, i medici hanno alle spalle un corso di studio, una piattaforma di conoscenze e di tecniche indispensabili per dimostrare la loro idoneità per professioni delicate per la vita di tutti.

I giornalisti accedono all’Ordine dopo un esame una tantum consultando testi che, come nell’esame di guida, verranno dimenticati il giorno dopo l’acquisizione dell’obbligatorio tesserino. E soprattutto gli ordini degli avvocati, degli architetti, dei medici non mettono bocca sulle opinioni dei loro aderenti.

In quello dei giornalisti, o meglio nelle burocrazie che ne detengono le leve, sì: c’è qualcuno, i cui titoli sono tutti da discutere e da vagliare, che si arroga il diritto di decidere cosa Filippo Facci, e tutti i giornalisti come lui, possa o non possa sostenere in piena autonomia e libertà.

In un Paese passabilmente normale e liberale, se un giornalista commette un reato nell’esercizio della sua professione deve essere giudicato dalla giustizia al pari di tutti i cittadini.

In Italia no: c’è l’organo corporativo che si sostituisce alla giustizia ordinaria e decide che Facci per due mesi non debba ricevere lo stipendio. Un’assurdità, che prescinde totalmente da quello che Facci ha scritto e può essere più o meno condivisibile. Ma in Italia, l’assurdo è normale. [spacer height=”20px”]

Pierluigi Battista, Il Corriere della Sera 19 giugno 2017

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