Ciampi e inciampi

Ciampi e inciampi

Carlo Azelio Ciampi era un pezzo (pregiato) di una cosa che nell’Italia di oggi scarseggia: la classe dirigente. Formatasi in una fase storica, successiva alla seconda guerra mondiale, in cui i contrasti, anche ideologici, erano fortissimi, ma non per questo si smarriva il senso del bene comune e degli interessi indisponibili dell’Italia. Quella fucina s’è spenta da tempo, con guasti che si vedono a occhio nudo.

Avendo avuto responsabilità di primo livello e di diversa natura, è evidente che nelle cose fate ce ne sono che ciascuno può valutare criticamente, in senso positivo o negativo. L’agiografia del defunto rientra nelle tradizioni, ma si esaurisce in fretta. Quel che, però, non ha il minimo senso, è vederlo descritto, nell’esaltazione o nella deprecazione, come l’uomo che ci ha portati nell’euro, quando non nell’Europa. Bubbole senza memoria.

L’euro non nacque il giorno in cui cominciò a circolare la moneta unica, ma assai prima. A battersi su quel fronte, allora, alla Banca d’Italia c’era Guido Carli, che poi si ritrovò ministro del tesoro (governo Andreotti, indicato dalla Democrazia cristiana), quando furono negoziati i trattati che ne segnarono l’avvio. L’euro è figlio del serpente monetario, poi Sistema monetario europeo. Un processo lungo, influenzato, certo, ma non frutto di una singola personalità, quale che essa sia. Rischiammo di restare fuori non quando si coniò l’euro, ma assai prima, quando si trattava di aderire allo Sme.

In quell’occasione il ruolo decisivo lo ebbe Ugo La Malfa, che preso atto dell’opposizione comunista, argomentata da Giorgio Napolitano, assicurò che il governo sarebbe caduto ove non avessimo dato l’assenso. Entrammo e a fare cadere il governo furono i comunisti. Storia lunga, come si vede.
In quanto all’Europa, la memoria s’è corrotta assai, se solo si pensa che l’esserci “entrati” sia una scelta fatta da uno e in un momento.

La realtà è che contro l’integrazione europea si battevano solo due forze: i neofascisti, ancorati a un nazionalismo che aveva già infettato la storia precedente, e i comunisti, adepti di un internazionalismo che aveva nell’Unione Sovietica lo Stato guida. Il resto era europeista e, più o meno entusiasticamente, atlantista. Né poteva essere diversamente, se solo si prova a ricordare in quale contesto internazionale vivevano quei sentimenti.

Solo l’Italia di oggi, presa nella frenesia di una faziosità senza idee, tesa a leggere sé stessa non come figlia di una storia, ma come oggetto di manovre e prepotenze, s’arrischia ad una rappresentazione fumettistica che sarebbe ridicola, se non avesse tratti di follia.

Davide Giacalone, Il Giornale del 17 settembre 2016

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