Dal 2011 al 2015 la tassa sulla spazzatura è cresciuta del 50%, con un gettito passato da 5.6 a 8.4 miliardi. La Tari è anche la sola tassa locale che il governo ha deciso di non bloccare. Aumenterà ancora. In compenso non aumenta la pulizia delle città, ma le montagne di rifiuti. Apprendiamo che, grazie a un accordo sindacale, con annessi aumenti salariali, il 13 e il 14 luglio non ci sarà il programmato sciopero nazionale. E’ folle che si sia anche solo potuto ipotizzarlo, con questo caldo. La precettazione sarebbe dovuta scattare all’annuncio. Come siamo arrivati a questo punto?

Nessuno parli d’emergenza, è una costante. L’ultima esibizione di Aldo Fabrizi risale al 1987, cantò “Buon giorno monnezza”: “è l’alba e ti ritrovo sulla via/ rassegnati tanto nisciuno te se porta via”. In Italia ci sono città pulite e città zozze, segno che, volendo, le cose potrebbero anche funzionare. Ma fino a un certo punto, perché la nostra produzione nazionale di rifiuti supera largamente la capacità di smaltirli, valorizzarli e riciclarli. L’avanzo che non riusciamo a ficcare nelle buche, che solo noi usiamo in quel modo devastante e dispendioso, lo esportiamo. Pagando chi s’arricchisce della nostra stupidità. Avremmo bisogno di una gestione industrializzata del problema, con investimenti in grandi centrali. Ma lasciamo tutto in mano alle municipalizzate, ove trionfa il clientelismo politico e sindacale, dentro società mostruose: da una parte in mano alla politica, dall’altra quotate in Borsa. Il cliente di queste società, ovvero il comune, è anche l’azionista. A Roma si è arrivati al punto che il sindaco e la società discutono se fare o meno un contratto con una società israeliana, discettando non di convenienza, ma di presunta politica estera (considerate le bischerate udite, il ministro degli esteri dovrebbe intervenire, richiamando all’ordine i diplomatici per caso).

In condizioni normali, in un mercato anche solo vagamente ordinato, una ditta privata s’aggiudica la pulizia del comune di Vattelapesca, stabilendosi quali sono i suoi doveri, trascritti in un contratto di servizio, e quanto le spetta. Se fosse capace di arricchirsi dovremmo felicitarcene. Se, però, trovi un cumulo di spazzatura, se rimane a lungo, se la cosa si ripete, prima partono i richiami, intimando l’adempimento del contratto, poi la denuncia, con l’aggravante di avere messo a repentaglio la salute pubblica, la richiesta di risarcimento danni e l’escussione della fideiussione, posta a garanzia del lavoro che si sarebbe dovuto svolgere. Fallita quella, avanti un’altra. Perché non funziona così? Perché la ditta è del comune e il comune è della ditta (a seconda che sia più forte la politica o i quattrini). Ad amministrare la municipalizzata mandano i trombati della politica e gli aspiranti profittatori. Assumono amici e amici degli amici, che fantasticano sul verbo “scopare”. Non funziona neanche il timore del fallimento, perché tanto la tassazione funziona mica in ragione del servizio, ma come patrimoniale sulla casa: se paghi non per questo siamo tenuti a portare via i tuoi rifiuti; se non paghi te la vedi con Equitalia.

Nella pattumiera deve finirci questo sistema. Il capitalismo campanilistico è una fiera delle vanità e degli sprechi. Se proprio non va male, almeno pulisce le strade, ma costa comunque troppo, togliendo a chi amministra i comuni l’arma per potere pretendere servizi decenti. E’ solare la maggiore convenienza di rapporti autenticamente privatistici, dove sarà l’impresa a trattare con i lavoratori, non quanti li hanno fra i propri elettori.

In una casa pulita si tende a non generare sporcizia. In una città sporca l’inciviltà diventa collettiva: basta che uno lasci un sacchetto in strada che nel giro di poche ore quel punto diventa una discarica. Il degrado diventa così compartecipazione di colpa, ove ciascuno si sente assolto dalle colpe altrui. La formula della rovina condivisa.

Pubblicato da Il Giornale

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