Alberto Pera

La globalizzazione come sfida etica e culturale

Il processo di globalizzazione, cioè di apertura dei mercati mondiali e di partecipazione di un numero crescente di paesi al processo produttivo e di scambio, è il risultato di tendenze in atto che hanno una valenza decisamente positiva, ma che devono essere in qualche modo inquadrate da un’azione politica liberale ad ampio raggio per assicurare che le modificazioni che il processo comporta possano effettivamente contribuire a un ordinamento sociale desiderabile.

La globalizzazione è il risultato di tendenza a cui i liberali hanno sempre dato grande rilievo: l’ampliamento del processo di libero scambio e della libertà di iniziativa; l’accesso ai mercati mondiali di individui e gruppi sociali finora esclusi, che possono così partecipare al processo di distribuzione della ricchezza, a loro beneficio; la diffusione di opportunità e di conoscenze: penso alle attività anche sofisticate che vengono decentrate nei paesi in via di sviluppo, in cui si formano così nuove competenze.

Queste tendenze non possono che essere viste con favore: e tuttavia pongono delle sfide da più punti di vista:

a) come effetto della globalizzazione, e quindi della integrazione di nuovi paesi e individui nel mercato, viene ridotta la protezione di cui hanno tradizionalmente goduto per lungo tempo le imprese e i lavoratori dei paesi più sviluppati, che sono ora aperti a una maggiore concorrenza. Si pone pertanto il problema di aggiustamento alla nuova situazione delle economie ma anche dei sistemi sociali dei paesi più evoluti, che consenta di eliminare le aree di protezione e di trasferire le risorse impiegate nelle aree avanzate in cui questi paesi hanno un relativo vantaggio. Mi pare che questo richieda azioni in almeno tre settori:

a1) in primo luogo, nell’impostazione di politiche che mantengano il sistema economico sociale sulla “frontiera”, attraverso l’innalzamento dei livelli di istruzione e di formazione tecnico professionale; di organizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro; di flessibilizzazione e apertura dei mercati dei capitali e degli altri fattori di produzione; di agevolazione dell’attività innovativa;

a2) inoltre, è necessaria la diffusione di una “cultura” che consenta l’effettiva attuazione delle politiche di flessibilizzazione; da questo punto di vista molti paesi europei appaiono condizionati dalla presenza, se non dalla prevalenza, di culture poco propense al cambiamento: l’esperienza francese di questi anni insegna quanto potenti possano essere le resistenza contro l’innovazione e il cambiamento;

a3) infine, ciò pone il problema di un diverso orientamento dell’azione dello Stato: non si tratta solo di quanto poc’anzi affermato, ma di una riforma dei meccanismi di decisione e di rappresentanza che rendano l’azione pubblica più efficiente, ma anche più soggetta a controllo dei cittadini da esse influenzati.

b) la globalizzazione dà poi luogo, inevitabilmente, a profonde trasformazioni culturali e a tendenze verso l’abbandono delle tradizionali culture e all’omogeneizzazione alla cultura dominante. A parte i problemi che di per sé questo fenomeno pone, ve ne è uno generale dell’esigenza di una azione etico-politica. L’abbandono dei vecchi valori rischia infatti di generare un vuoto etico colmato soltanto dal materialismo: l’esempio delle province di nuova industrializzazione cinesi appare da questo punto di vista molto preoccupante. Nel secolo scorso i processi di colonizzazione che, per certi versi, assomigliano ai fenomeni a cui la globalizzazione sta dando luogo, erano accompagnati da un processo di diffusione culturale svolto dagli Stati attraverso l’infrastrutturazione e l’istruzione, nonché dalle varie chiese attraverso l’evangelizzazione: quale è oggi la risposta a fenomeni ai analoga portata; e quali i modi per attuarla? La Chiesa cattolica sta cercando di dare una sua risposte; un’altra può essere di ordine etico-politico e richiede una mobilitazione delle forze liberali sui valori fondamentali dei diritti civili individuali nei paesi che si affacciano, per la prima volta, sul “panorama” del mercato globale.

c) In questo contesto, anche se non sono chiare del tutto le implicazioni, potrebbe porsi la questione della relazione tra partecipazione al mercato globale e standard minimi di libertà e di rispetto dei diritti civili: tema che è dibattuto ampiamente negli Stati Uniti in relazione all’apertura commerciale nei confronti della Cina. Si tratta, naturalmente, di un argomento che, dal punto di vista liberale, presenta numerose sfaccettature: un puro liberista non accetterebbe mai che la diffusione del mercato sia condizionata da aspetti economici. Un “liberista kantiano” invece non può fare a meno di chiedersi se non siano questi i campi in cui l’azione dello Stato potrebbe esplicarsi: si tratterebbe naturalmente di un’azione che potrebbe avere effetto solo se vi è un accordo multilaterale circa l’insieme di valori che le democrazie liberali ritengono imprescindibili.

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