5 maggio ’38: 80 anni fa, Hitler visitava Napoli

5 maggio ’38: 80 anni fa, Hitler visitava Napoli

Alla fine, nei dieci anni di “follia nazista”, quello in Italia fu l’unico viaggio ufficiale all’estero del Fuhrer. Durò sette giorni e si svolse giusto ottanta anni fa, dal 3 al 9 maggio 1938. Toccò tre città e, insieme a Firenze e Roma, Napoli fu una di esse. Nella città partenopea, Hitler arrivò nella notte fra il 4 e il 5 maggio dopo un’intensa giornata romana conclusasi con una cena di gala.

La giornata napoletana, molto piena, ebbe il suo culmine nella maestosa parata navale che si svolse nelle acque del Golfo e che fu prima di tutto una grande esercitazione militare volta a mostrare la forza della Regia Marina agli occhi di quello che era ormai diventato agli occhi di Mussolini l’alleato tedesco.

Anche se il “patto di acciaio” fra i due paesi, le “forze dell’Asse” come la propaganda del regime le avrebbe chiamate, sarebbe stato firmato solo un anno dopo, i venti di guerra già soffiavano sull’Europa e il Duce si teneva pronto a capitalizzare il conquistato rapporto di fiducia con lo scomodo ma sempre più potente (anche grazie all’appeseament degli altri Stati europei) alleato. Non era sempre stato così: all’inizio dell’ascesa al potere di Hitler, Mussolini aveva manifestato sia la sua contrarietà verso l’antisemitismo dei nazisti sia verso la loro politica di espansione fin verso i confini italiani.

Il Fuhrer aveva invece dimostrato apprezzamento per Mussolini: per la capacità che aveva mostrato di saper conquistare il potere e mettere in scacco la democrazia rappresentativa e la vecchia classe dirigente liberale; sia per le sue idee inneggianti all’antichità classica e pagana. Lo considerava un ispiratore, in qualche modo, della sua politica. Mussolini cambio presto idee sui nazisti vuoi rper opportunismo e vuoi anche perché, superata la fase del consenso, dalla conquista dell’Etiopia in poi egli andava ponendo poco alla volta le basi per un regime non più autoritario ma totalitario.

Quello di Hitler in Italia fu un viaggio perciò tutto all’insegna del militarismo, delle parate e delle sfilate, degli esercizi ginnici. E il tono superbo e bellicoso la fece da padrone nei discorsi ufficiali, nella retorica e nella magniloquente pompa del regime. Mussolini intendeva dimostrare al sempre diffidente “amico” che degli italiani ci si poteva fidare, che il regime aveva trasformato il nostro popolo riottoso in un fedele e attrezzatissimo alleato. Insieme, secondo Mussolini, se la guerra fosse scoppiata, avrebbero potuto mettere ai propri piedi l’Europa intera (Hitler in verità non pensava affatto ad un rapporto paritario con un popolo latino).

Illusioni che sarebbero cadute molto presto, a guerra iniziata, allorché lo Stato fascista avrebbe presto dimostrato di essere da un punto di vista militare un colosso dai piedi di argilla. Accanto alla bellezza della forza, il viaggio però cerco di suggestionare l’ospite anche con la forza della bellezza, cioè del paesaggio, delle espressioni artistiche e della cultura del Bel Paese.

A far da cicerone al Fuhrer, in rigoroso orbace fascista, fu lo storico dell’arte Ranuccio Bianchi Bandinelli, che subito dopo la guerra avrebbe fatto carriera nel Partito comunista: avrebbe scritto anche un libro di memorie sulla visita di Hitler, affermando di non essersi potuto sottrarre essendo nell’animo un antifascista. In verità, la sua vicenda è significativa sia del consenso che il regime godeva nel mondo degli studi sia del passaggio repentino dopo la guerra degli intellettuali del fascismo nel campo opposto.

Hitler, a Napoli, sfilò fra ali di folla lungo, col braccio alzato nel tipico saluto nazista (che suscitò qualche battuta sarcastica fra i sempre scettici napoletani). Gli edifici del lungomare erano addobbati coi simboli nazifascisti: svastiche, fasci littori, lupe capitoline. Cannoni che sparavano a salve accompagnavano il corteo. Arrivato al molo Beverello, Hitler si imbarcò su un piroscafo con il re e raggiunse la nave ammiraglia ove era ad aspettarli il Duce e da dove, tutti insieme, si sarebbero goduti lo spettacolo. Furono duecento le unità impegnate nell’esercitazione, che simulava possibili azioni di guerra, e che il regime, nei filmati dell’Istituto Luce, non ebbe tema di definire “la più grande manifestazione navale mai svoltasi nel Mediterraneo”.

La sera, per nulla stanco e sempre in alta uniforme, il Fuhrer concluse la sua giornata napoletana al san carlo. Ancora marce trionfali e inni: la rappresentazione dell’Aida di Verdi era stata scelta, non certo a caso, per soddisfare la parte più sensibile di un animo teutonicamente glaciale, ma anche a suo modo schizofrenico, quale era quello dell’uomo che stava portando l’Europa alla tragedia.[spacer height=”20px”]

Corrado Ocone, Il Mattino 5 maggio 2018

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