Autostrade, quell’insegnamento dimenticato del liberalismo

Autostrade, quell’insegnamento dimenticato del liberalismo

A una settimana di distanza dalla tragedia di Genova, non possiamo dire se sia stata fatta un po’ di chiarezza o se piuttosto sia aumentata la confusione. Possiamo però riassumere l’atteggiamento delle parti in causa.

Innanzitutto le vittime. Al di là dello strazio, per il quale non ci sono parole, alcuni commentatori hanno notato che, per la prima volta nella storia delle nostre numerose disgrazie, i membri del governo sono stati accolti, durante i funerali, con un generale atteggiamento di simpatia, e qualcuno ha persino applaudito. È effettivamente una novità. Tuttavia la maggioranza delle famiglie colpite ha rifiutato i funerali di Stato. Parlare di cambiamento epocale è dunque quantomeno prematuro.

Poi la società concessionaria. Dopo un primo incomprensibile silenzio, ha manifestato il doveroso cordoglio e l’altrettanto doverosa disponibilità alle indagini (e alla ricostruzione) in modo abbastanza impacciato. Bisogna tuttavia ammettere che qualsiasi suo atteggiamento avrebbe comunque sollevato, in un’opinione pubblica inferocita, critiche aspre. La società deve solo sperare che, con il tempo, passi o si attenui l’emotività popolare; nel frattempo dovrebbe dimostrare concretamente una generosità che sinora è sembrata a dir poco insufficiente.

Poi la magistratura. Qui la situazione è, per così dire, di stallo. La Procura ha annunciato che le indagini saranno lunghe, che ci saranno acquisizioni documentali e consulenze, e che al momento nessuno è iscritto nel registro degli indagati. Non poteva essere altrimenti perché, come è noto, la responsabilità penale è personale: occorre accertare le cause del cedimento, le eventuali colpe sottostanti e, in caso affermativo, individuare le persone che, per negligenza e imperizia, non hanno previsto né impedito l’evento. Un’impresa lunga e irta di ostacoli.

Infine il governo. Qui la confusione è aumentata, e ha raggiunto livelli quasi grotteschi. In un primo tempo è stata infatti annunciata la revoca immediata della concessione. Annuncio tecnicamente improprio, perche l’eventuale revoca deve seguire una lunga e complessa procedura. Infatti il governo ha successivamente corretto il tiro, dicendo che intendeva avviare la procedura di revoca. Che è, come ben si vede, tutt’altra cosa.

Poi il presidente Conte ha detto che non aspetterà la decisione della magistratura, perche accanto al diritto penale e a quello civile esiste la responsabilità politica. Verissimo. Ma Conte sa perfettamente che dalle sentenze, soprattutto da quella penale (se e quando verrà) dipende il destino della inevitabile controversia tra Governo e Autostrade. Perché, se risultasse che non vi è colpa, non potrebbe esserci revoca, se non a prezzo di una penale stratosferica. Mentre al contrario, se colpa ci fosse, e magari colpa con previsione, o addirittura dolo eventuale, non solo la società concessionaria dovrebbe risarcire tutti i danni, ma nemmeno potrebbe pretendere l’indennizzo della revoca, perché il contratto di concessione cadrebbe da sé.

Chiedo scusa per queste divagazioni tecniche. Ma proprio perché la questione è assai complessa si pretenderebbe meno chiasso e più attenzione ai principi di diritto. Nel frattempo, si sono susseguite le belle pensate. È stata persino prospettata la possibilità di una legge ad hoc per la revoca delle concessioni. Un rimedio inutile per il futuro, perché ormai il disastro è avvenuto, e per il passato, perché non potrebbe avere effetto retroattivo.

Poi si è parlato di nazionalizzazioni. Qui si è raggiunto il massimo del dilettantismo giuridico, perché le autostrade sono già di proprietà dello Stato: altrimenti non ci sarebbe la concessione. L’unica idea saggia è che il sistema delle concessioni dev’essere rivisto. Non è infatti ammissibile che lo Stato consenta che i privati lucrino su beni pubblici senza garantirne l’efficienza e la sicurezza, e soprattutto che non tragga il massimo dei vantaggi quando affida a terzi la gestione delle risorse collettive. Perché questo è l’insegnamento del più vero e sano liberalismo: saper convertire i profitti privati in pubbliche utilità.

Carlo nordio, Il Messaggero 22 agosto 2018

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